di Emanuele Beluffi
Il poeta si diverte,
pazzamente,
smisuratamente -!
Non lo state a insolentire,
lasciatelo divertire
poveretto,
queste piccole corbellerie
sono il suo diletto.
Così Aldo Palazzeschi nel suo componimento ex post pre paleo futurista, E lasciatemi divertire!, che ben si addice alla querelle scatenata dalla pubblicazione sulla rivista chic Vanity Fair della cucina (artistica) più amata dagli italiani all’estero, quella di Francesco Vezzoli, che stavolta ritrae Chiara Ferragni nelle vesti della Vergine Maria con Bambino, rivisitazione del dipinto attribuito dal compianto Federico Zeri al Sassoferrato.

Anatema! Eretico!, gridano a destra i Difensori della Fede, mentre a sinistra i disoccupati con la erre moscia difendono il Libero Cazzeggio dell’arte. Povera Chiara, non gliene perdonano una: se ci fa vedere quant’è bello il Louvre le danno addosso, se i suoi social media MONAger venti-e-qualcosenni re-twittano un post altrui credendo di farle cosa gradita le fanno fare una figura di merda e se poi lei dice sì a Vezzoli sbaglia sempre e comunque.
Lasciamo perdere il suo post re-twittato sul fascismo brutto e cattivo (i suoi social media MONAger venti-e-qualcosenni sono come quelle Sardine che pensano che Aldo Moro sia stato ucciso dalla mafia, ignoranti come una tanica di benzina), ma la Chiara Ferragni Vergine Maria ritratta da Vezzoli è una splendida, meravigliosa opera d’arte contemporanea.
Se valesse lo sdegno artistico del Defensor Fidei, allora bisognerebbe buttare a mare, chessò, i quadri di Cosmè Tura perché ritraevano i Santi con le facce brutte, bisognerebbe nascondere il San Giuseppe di Michelangelo Merisi perché ha i piedi grossi e puzzolenti, si dovrebbe blindare il quadro di Salvador Dalì perché …“da lì” Sant’Antonio sembra immerso in uno scenario porno-horror e la lista potrebbe proseguire.
La verità è un’altra: l’arte ci spiazza, suscita scandalo e ammirazione, sommuove gli animi e a volte fa commettere reati (furti e sfregi) e i migliori sono (anche) quelli che la sfangano nel nostro immaginario collettivo.

Ci sono gli artisti di fama internazionale che escono dal proprio studio lo stretto necessario e ci sono quelli che invece fanno il cinema: di questi ultimi si occupano anche le riviste non di settore come Vanity Fair, per questa ragione giustificata dal non poter pubblicare anche le opere di Ettore Spalletti.
Chiara Ferragni è un’icona della cultura visiva contemporanea e non c’è da stupirsi che gli artisti visivi la eleggano a soggetto: chissà quanti artisti, né bravi né famosi, si sono ispirati a lei per fare quel quadro o quel disegno che con ogni probabilità non uscirà dal loro studio se non per qualche collettiva di provincia e chissà quanti artisti, bravi ricchi e famosi, invece hanno pensato di fare un’opera su di lei.
Vezzoli non è stato il primo, ma essendo un artista popolare che ha messo la Ferragni nei panni della Vergine Maria era degno di finire su Vanity Fair.

A maggior ragione doveva finirci anche Giuseppe Veneziano, che prima di lui aveva dipinto l’influencer più famosa nelle stesse vesti, ma qui andremmo fuori tema.
Lasciamo che i radical chic di Vanity Fair celebrino il Magnificat progressista: l’arte, come la rivoluzione, la fai coi soldi.
E lasciamo che Vezzoli faccia il suo mestiere, ritraendo il ministro Lamorgese nelle vesti di Giovanna d’Arco e la Ferragni come la Madonna. Se dobbiamo criticarlo facciamolo, suggerendogli magari di mettere il ministro Lamorgese nei panni del generale Cadorna anziché in quelli di una martire che fece scudo all’invasione, ma:
Cosa sono queste indecenze?
Queste strofe bisbetiche?
Licenze, licenze,
licenze poetiche.
Sono la mia passione.
E lasciatelo divertire!