In favore dei distruttori di statue

I nuovi moralisti (che pure non sanno di esser tali) si scandalizzano delle statue degli schiavisti e dei razzisti di ogni sorta e grado abbattute, distrutte, bistrattate o imbrattate in America e in tutto il mondo a seguito dei sommovimenti del cosiddetto Blak Lives Matter. Noi no. Non ci stiamo al giochetto del paragone tra gli imbrattatori (o distruttori) di statue e gli iconoclasti dell’Isis. Non stiamo neppure a far filosofemi sulle opinioni di chi vede in questo proprio il segno dell’iconoclastia contemporanea di stampo puritano (il guru di questo tormentone è, in Italia, il pictor optimus Nicola Verlato, che stimiamo, anzi a dirla tutta amiamo follemente, come artista, ma che, come teorico, ci sembra invece soffra di una sorta di sindrome paranoidea, che vede in ogni fenomeno contemporaneo un riflesso delle proprie privatissime ossessioni estetico-ideologiche).

A noi la realtà sembra invece di ben altro tenore, un po’ meno filosofico ma assai più pratico e diretto: e cioè che le rivolte, da che mondo e mondo, hanno la loro logica, la loro estetica, la loro forma espressiva. E i loro simboli su cui accanirsi, anche: altrimenti non sarebbero rivolte. La rivolta, come la ribellione, è una forma di critica superiore e spesso assai poco raffinata, ma senz’altro efficace, più di milioni e milioni di discorsi e giri di parole. Perciò, una delle forme espressive predilette della rivolta è, da sempre, l’abbattimento, il saccheggio, la deturpazione, la violenza, il luddismo, lo spernacchio, l’urlo, lo sputacchio, l’insulto, l’attacco, la barricata, la sassaiola, e via sfigurando e devastando e ruinando ciò che a buon diritto appare come contrario al senso stesso della medesima rivolta.

Pensare che i monumenti siano “neutri” e non portatori di alcunché se non della loro pura forma estetica è un pensiero altrettanto banalizzante di quello che li vuole carichi in eterno di quell’aura “magico-poietica” che il tempo va loro, per forza di cose, sottraendo. Se oggigiorno il ritratto di un imperatore romano non reca più con sé la forza mitico-guerresca che possedeva un tempo, poiché il trascorrere dei secoli ha trascinato con sé nell’oblio anche le nefandezze che egli, in qualità di imperatore, aveva certamente commesso per consolidare il suo potere, ciò non vuol dire che lo stesso valga per ogni monumento che costella le nostre città, i nostri porti o le nostre rotonde. Se uno qualsiasi dei motivi per odiare e detestare e ribellarsi a un re, a un imperatore, a un condottiero, a un generale, a un politico, a un uomo di potere di qualsivoglia genere, torna prepotentemente in auge, poiché l’ideologia o i comportamenti che stanno all’origine del suo pensiero, o i principi di cui s’era fatto portatore, hanno ancora ragion d’essere e terreno di coltura tra i nostri contemporanei, ebbene, che la sua statua sia pure imbrattata, abbattuta, deturpata dalla folla in rivolta, cento, mille o diecimila volte: noi non ci strapperemo certo i capelli.

Statue of Saddam Hussein being toppled in Firdaus Square in downtown Baghdad on April 9, 2003. (AP Photo/Jerome Delay, File)

Se ciò sarà in qualche modo utile a far germogliare nelle coscienze dei nostri contemporanei un’idea che crediamo di condividere con i promotori della rivolta che ha portato a quell’imbrattamento o a quell’abbattimento, ebbene, noi sì, saremo solidali con i rivoltosi, e gioieremo, con loro, anche dell’abbattimento, dell’imbrattamento, del deturpamento di questa e di altre mille statue. Gli altri – i sofisti, i freddolini, i sopracciglioalzati, gli azzeccagarbugli, i filosofi da boudoir 2.0 che sdottoreggiano dietro le loro brave tastiere su ciò che è giusto, contemporaneo e accettabile è ciò che invece non lo è – stiano pure a sottilizzare su quanto poco sia “civile” e corretto buttar giù statue e imbrattar monumenti nell’epoca surmoderna. Noi invece, che prudenti e corretti non lo siamo stati mai, continueremo a simpatizzare con ogni rivolta, poiché nella rivolta c’è la vita, e nella vita c’è sempre una porzione di futuro. E se per questo dovremo anche fare a meno di certe statue, beh, che dire? Ne faremo a meno, e ciccia il culo.

 

Dottor Zivago