Editoriale

Dietro l’apparente dinamicità, il sistema dell’arte è da decenni statico, immobile, noioso e sempre uguale a se stesso come un vecchio teatrante che abbia da tempo smesso di emozionare, di sorprendere, di scaldare il cuore anche dei suoi più fedeli spettatori. Banalità, ideuzze, reiterazioni, giochetti malpensati e malassemblati, trouvailles degne dello stanco repertorio di un prestidigitatore rimasto fatalmente privo di entusiasmo e di talento: questo è l’indigesto piatto che le fiere d’arte, le Biennali e le manifestazioni di regime sistematicamente ci propinano da anni. Ma il processo era, ed è, destinato a finire, a invertire al sua triste rotta priva di scopo e senza spazi per la gioia, la magia, l’irrazionalità, la propensione alla bellezza e alla felicità. La funzione magica e catartica dell’arte ha fatalmente il potere di rinascere ogni volta dalle sue stesse ceneri. Non sarà il coronavirus, ma la crisi innescata da questo non tanto a produrre il cambiamento, ma certamente ad accelerarne gli inevitabili meccanismi, già in atto sottotraccia da diversi anni. In che direzione si andrà? Dopo aver riempito per più d’un decennio le strade e i palazzi di tutto il mondo con immensi esempi di coloratissima arte urbana, specchio della necessità di fuga da un sistema asfittico, oppressivo e lontanissimo dai bisogni della società reale, oggi l’arte, complice la quarantena imposta a tutto il mondo, sta proseguendo la sua migrazione attraverso le mille forme del web. Le parole chiave per leggere il cambiamento sono: frammentazione, moltiplicazione, divertimento, ibridazione, seduzione, autenticità, uscita progressiva e sistematica dalle griglie e dalle regole imposte dalla dittatura ferrea imposta dai tristi camerieri che ancora oggi governano, senza eccezioni, musei, fiere, riviste e gallerie à la page di tutto il mondo. E, infine, semplificazione di un linguaggio ipercriptico e arzigogolato, ormai avvitato su stesso, che aveva fatalmente perso il contatto profondo con la natura, con il senso dell’esistere, con le emozioni umane e, in buona sostanza, con le stesse strutture-base del reale. La realtà parcellizzata, libera e gioiosa di un’arte senza più padroni si riprende la scena, il proletariato artistico rivendica i suoi spazi dal basso, senza mediazioni, esattamente come ieri l’ha fatto dipingendo illegalmente e irregolarmente strade, treni, ponti, muri, cavalcavia, e oggi lo fa inondando il web con la sua furente e anarchica individualità. Presto per dire cosa ne uscirà. Di certo, spazzerà via il vecchio regime, malinconico retaggio di un’arte che aveva perso il suo potere di incidere nel mondo, se non per sbeffeggiarlo e per irriderlo.