La mostra “Arte dal vero. Aspetti della figurazione in Romagna dal 1900 a oggi”ha avuto tra gli altri il merito di porre l’attenzione, a partire dal ricco laboratorio romagnolo, su un fenomeno che ha coinvolto l’intera arte italiana tra gli anni Novanta e i primi Duemila: il crescere, pur con modalità diverse e con grande attenzione alle esperienze straniere, di un rinnovato interesse per le identità locali, radicate nel territorio dove sono nate – dunque, paradossalmente, da un discorso sostanzialmente regionale, localistico, laddove il locale ha perso del tutto, però, la sua originaria patina provincialistica (anche negli aspetti più intellettuali, strapaesani, per dirla con Longanesi e Maccari), per assumere invece il sapore dell’argotcolto e intelligente (alla Meneghello, Camilleri o Gadda, per capirci), sapientemente mescolato, però, alle tendenze internazionali.
Quello che è avvenuto in quegli anni è stato infatti il riconoscere, da parte degli artisti, dell’importanza di una tradizione (anche) locale, nell’utilizzo del linguaggio come nella formazione personale dei singoli percorsi, senza per questo volersi chiudere alle esperienze internazionali.
Ecco allora nascere una serie di vere e proprie scuole regionali – dall’Officina milanese di Petrus, Pignatelli, Frangi e Velasco, alla scuola palermitana di Bazan, De Grandi, Di Piazza & Di Marco, al gruppo torinese, con Daniele Galliano, Pierluigi Pusole Paolo Leonardo e altri; fino alla nuova scuola pittorica romana.
In questo contesto, è innegabile che, tra i primi a sperimentare, in quegli anni, l’idea di “gruppo”, sia stato un piccolo ma significativo nucleo di artisti attivi tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta a Forlì, facenti capo a Silvano D’Ambrosio e Enrico Lombardi, autonominatisi, al tempo, come “Gruppo Eclissi”. Questa esperienza, poco conosciuta, e ri-conosciuta, perché poco e mal storicizzata, si può dire senza tema di smentita che sia stata a buon diritto il nucleo fondante di una rinnovata sensibilità, e una nuova modalità di approccio, della futura pittura romagnola che ne è seguita, senza nulla togliere per questo ad esperienze di grande rilevanza, giunte però a maturazione in seguito, come la fondamentale presenza del duo Bertozzi & Casoni, o i casi dei più giovani Nicola Samorì, Cristiano Tassinari e molti altri.
Di quell’esperienza – dalla nascita del Gruppo Eclissi, alla formazione di quella che potremmo chiamare l’Officina romagnola, fino al suo precoce autoscioglimento alla metà degli anni Novanta – ci dà qui di seguito una testimonianza dall’interno Enrico Lombardi, che ne è stato animatore e testimone privilegiato.
A.R.
Nuova figurazione romagnola. Un’avanguardia alla rovescia
di Enrico Lombardi
In anni recenti, prima che questa crisi devastante spazzasse via ogni economia dell’arte, insieme ad ogni vaga categoria estetica, l’idea di una “Nuova Figurazione Italiana” andava sempre più affermandosi nell’immaginario culturale collettivo come una specie di movimento coerente e fondato su radici nazionali comuni.
Questa idea, scaturita sicuramente dalle riflessioni, dal lavoro, dall’ostinazione del critico-scrittore milanese Alessandro Riva, che ne mostra un primo rilevante scenario nella grande esposizione “Sui Generis” (Milano, Padiglione d’arte contemporeanea, 2000), continua con tante altre importanti rassegne collettive in ogni parte del paese e viene ripresa da Chiara Canali nella mostra “La nuova figurazione italiana… to be continued” (Milano-Bollate, Fabbrica Borroni, 2007) che ne traccia meticolosamente i confini e le eredità e, in qualche modo, pur senza esserne il motivo dominante, impregna il delirante Padiglione Italiano di Sgarbi della Biennale di Venezia del 2011, nel quale le figure più rilevanti della “Nuova Figurazione Italiana” sono quasi tutte presenti.
Esiste quindi, in Italia, oggi, senza più tema di smentita, un recupero di modi di dipingere e scolpire improntati al recupero degli strumenti tradizionali, liberamente interpretati alla luce del nostro tempo, avente per tema la raffigurazione di cose, persone, paesaggi, ecc.
Dopo anni di concettualismo spinto sino alla propria derisoria caricatura, di facile astrazione, di trucchetti e trovate circensi, un gruppo consistente di artisti, soprattutto in Italia, decide dunque di riprovare a dare forma e figura alla propria percezione del mondo, con esiti certamente difformi e non sempre all’altezza della missione, ma con intenzioni quasi sempre interessanti.
Di tutto ciò, la cosa più strana, è che lo zoccolo più duro di questo “movimento”, con un leggero anticipo su Milano e Roma, malgrado una tragica mancanza di appoggi critici e un desolante isolamento (interrotto solo dall’alacre lavoro di Riva, di Arnaldo Romani Brizzi e, occasionalmente, di Claudio Spadoni), nasce proprio qui in Romagna, tra Forlì, Ravenna e Rimini, ed è presente, quasi al completo, in questa mostra così fortemente voluta da Franco Bertoni.
Intorno al nucleo originario del “Gruppo Eclissi” di Forlì, in cui lavoravano fianco a fianco, anche teoricamente, il sottoscritto (Enrico Lombardi), Silvano D’Ambrosio, Stefano Gattelli, e il più giovane Marco Neri, si trovò a collidere e collaborare lo scultore Alberto Mingotti.
Questo sodalizio terminò nel 1993 con la pubblicazione di un testo teorico, da me stilato, intitolato “Documento per 5 artisti”, che si presentava come una sorta di manifesto di consapevolezza e di congedo, a testimonianza di un lavoro e di un impegno già decennali, in seguito ad alcune bellissime e ignoratissime mostre, e che, pur senza aver la pretesa di voler ‘dettare la linea’ a un’intera generazione, si sarebbe rivelato – a rileggerlo col senno di poi – profetico, e illuminante per molti artisti che allora vivevano una condizione non dissimile dalla nostra, e che precedeva esperienze che in seguito si sarebbero ritagliate un loro spazio di forte rilievo nella ricerca pittorica degli anni a venire.
Si analizzava, infatti, in quel “Documento per 5 artisti”, l’atteggiamento di chi, come noi, si trovava ad esprimersi “fra l’apice teorico-operativo dell’atteggiamento scientista (freddo e concettuale) recentemente rafforzatosi per reazione alla grande onda della Transavanguardia (così viscerale, espressiva) e l’eterna marea della mediocritas astratto-figurativa che, immune da ogni storia e da ogni mutamento, lambisce come un’onda di petrolio le coste della creatività, conquistandosi sempre ampi equivoci spazi”.
E, con fatica, si cercava già di tracciare confini e discrimini: “Che sia difficilissimo, in un momento come questo”, scrivevo, “capire le ragioni profonde del nostro lavoro, mettere a fuoco le differenze, tracciarne, in qualche modo, una mappa di intendimenti, è chiaro, poiché il nostro operare assume su di sé tutte le istanze e le problematiche attuali senza arrendersi, in nessun punto, alle cosiddette necessità della storia e del progresso (o di qualsiasi altro agente di pressione) per seguire una ‘vocazione ontologica’ che in apparenza depista ogni tipo di lettura e lo colloca fuori da ciò che comunemente viene considerato come contemporaneo. Ma, di fatto, proprio qui sta il paradosso: poiché se lo pensiamo con gli strumenti dell’attualità e come ‘atteggiamento’, il nostro lavoro ha tutte le caratteristiche di un’avanguardia, senza l’esibizione dei genitali. Un’avanguardia alla rovescia…”.
E, più avanti ancora: “Che il fare sia totalmente precipitato nell’essere, che l’artista proponga il suo percorso – unico e irripetibile – all’attenzione del mondo, è l’unica vera novità del nostro ‘gruppo’ (se di novità si deve proprio parlare); perché in questo atteggiamento anche gli strumenti del fare trovano un loro sottile, sostanziale rinnovamento, che è poi sempre un volgersi all’origine, un esserci”. Fino ad una specie di stigmatizzazione conclusiva: “….noi non costituiamo, né individualmente né come ‘gruppo’, una qualche sorta di avanguardia, né rappresentiamo uno dei tanti atteggiamenti retrogradi oggi così in voga fra chi non è capace di guardare davanti e dentro di sé. Siamo semplicemente contemporanei a noi stessi”.
Anche Angelo Fabbri, purtroppo prematuramente scomparso, e Massimo Pulini, nato in ambito di citazionismo colto, contribuivano, nello stesso momento, ad alimentare questo clima estremamente favorevole alla rinascita dell’arte figurativa, che ha reso possibile e più facile l’affermarsi poi delle nuove generazioni.
Ancora oggi, in questo buio fittissimo, penso che, ben oltre questa mostra, la critica nazionale avrebbe il dovere di interrogarsi sulla rilevanza di questo fenomeno, per cercare di tracciarne influenze, confini ed esiti, e riconoscerle, finalmente, il posto che si merita nello scenario della nuova arte italiana e non solo.
Enrico Lombardi
Arte dal Vero | Aspetti della figurazione in Romagna dal 1900 a oggi
a cura di Franco Bertoni
7 novembre 2014 | 8 marzo 2015
Centro Polivalente Gianni Isola, Piazza Matteotti 4
Museo di San Domenico, via G. Sacchi 4, Imola
Tel +39 0542 26606