Verlato: la pittura come impegno civile

img_3488_nicola_verlato_bIl più recente progetto di Nicola Verlato, realizzato appositamente per il Museo di Lissone, si intitola “Hostia” ed è dedicato alla figura (e alla morte) di Pier Paolo Pasolini. La mostra ruota intorno alla presenza di un grande quadro, concepito come una pala d’altare, nel quale si vede il corpo di Pasolini che, trasfigurato dalla morte violenta, rivive a ritroso (come in un sogno) l’intera sua esistenza, dall’infanzia a Casarsa, all’incontro simbolico con Petrarca ed Ezra Pound, alla sua personale “discesa agli inferi” nella “vita violenta”. Un enorme disegno a carboncino rappresenta scenari violenti e scene di sesso, evocando le atmosfere di Salò (l’ultimo, scandaloso film di Pasolini), ma anche le situazioni in cui ha vissuto e ha costruito la sua esistenza e la sua poetica. Infine, una scultura mette in scena il corpo stesso di Pasolini in “caduta libera”, perso nella “vertigine” della vita e della morte violenta. Il tutto rappresenta una sorta di progetto per un monumento a Pasolini e al luogo simbolico dove il poeta ha trovato la morte. Completa l’esposizione un brano musicale che interpreta in chiave sinfonica i “Canti pisani” letti da Pasolini nella dimora veneziana di Pound.

Abbiamo rivolto a Verlato alcune domande per sapere come nasce questa idea di mostra e cosa rappresenta all’interno del suo percorso.

Perché una mostra dedicata a Pasolini, oggi?

Semplicemente perché ho avuto una visione ascoltando alcune sue interviste e vedendo alcuni video. Sarebbe potuto succedere fra un anno o cinque anni fa, invece è successo ora…

Ci racconti come è sviluppata la mostra?

La mostra si è sviluppata a partire, come dicevo, da una visione che si è immediatamente tradotta in un quadro, dal quale è conseguito tutto il resto. Sono cinque anni circa che sto lavorando su di un progetto dove mi occupo di integrare arte e territorio: immagino infatti dei monumenti utopici per celebrare delle figure controverse ma fondamentali della nostra cultura che non sono ancora state celebrate in quella forma. Si tratta di edifici che contengono pittura e scultura, e che progetto scrivendo anche delle “colonne sonore” che mi permettono di entrare nel “mood” ogni qualvolta mi accingo a lavorarci. Ognuno di questi monumenti è concepito per luoghi specifici, luoghi dove qualcosa è accaduto che, per cosi dire, evoca la necessità che l’avvenimento stesso venga celebrato. Le singole opere in mostra sono quindi frammenti di un insieme che non esiste ancora ma che è possibile perché immaginabile.

Tra i tanti aspetti dell’opera pasoliniana, tu hai scelto di dedicare la mostra alla vita e alla morte di Pasolini come punto culminante della sua opera, quella destinata (secondo la profezia dello stesso Pasolini e secondo l’interpretazione che ne ha dato il suo amico di sempre Giuseppe Zigaina) a “dar senso” all’intera sua opera. Perché?

La fine tragica di Pasolini, se si vuole dare ascolto a Zigaina, sarebbe l’atto conclusivo della migliore opera di Pasolini stesso, la sua propria vita. Anche a me sembra, infatti, che nella biografia pasoliniana si possa facilmente scorgere la trasformazione del poeta in una sorta di figura mediatica, che si stacca progressivamente dalla poesia aulica professata durante l’adolescenza per attraversare il dialetto, la prosa, il cinema, fino a fare coincidere l’arte con la vita stessa. È molto interessante l’aspetto paradossale di questo processo che si compie nei media moderni come radio e televisione e giornali da parte di una figura intellettuale che dell’opposizione ad essi aveva fatto il tratto dominante delle sue battaglie.

Zigaina, che nella morte di Pasolini ha letto un “martirio per autodecisione” (dunque una morte “costruita a tavolino” come atto di martirio volontario, per dar senso e consegnare alla storia, attraverso la sua “vita violenta”, anche l’intera sua opera), ha definito ”una vertigine” l’intersezione da sempre esistente tra vita e opera in Pasolini. Tu sembri voler delineare plasticamente questa idea della “vertigine”, nei quadri e nella scultura che rappresenta il Pasolini morto, o morente. È così?

Non ci avevo pensato, e ti ringrazio per avermelo fatto notare. In effetti, nel dipinto principale, la figura del protagonista che cade sembra riflettere questo concetto. Mi è stato anche fatto notare che l’inizio di “Petrolio” descrive una caduta di un corpo morto. Per lavorare su questo progetto mi sono volontariamente astenuto dal documentarmi troppo sulla figura di Pasolini: credo infatti che il processo di creazione delle immagini inneschi automaticamente dei processi conoscitivi alternativi a quelli letterari, capaci di rivelare aspetti fondamentali solo a patto che sia l’intuizione a indicare la strada piuttosto che l’analisi dei documenti.

Tu hai messo, tra i “numi tutelari” di Pasolini, Ezra Pound (che Pasolini incontrò nel 1967: dall’incontro tra i due nacque una memorabile intervista). Perché proprio Pound, grande poeta isolato e disprezzato nel dopoguerra per la sua adesione al fascismo e alla Repubblica di Salò, che Pasolini peraltro scoprì solo tardi?

Mi ha colpito moltissimo il confronto fra queste due figure, Pasolini e Pound. Diversissimi eppure accomunati da una stessa disperazione, quella del fallimento cocente delle loro ambizioni. Entrambi credo abbiano dovuto constatare la perdita della centralità della poesia (e delle arti in genere) nell’epoca della modernità, ed entrambi hanno inventato di conseguenza un ruolo per se stessi come antagonisti radicali al sistema, cercando un riscatto impossibile. La differenza fra i due, che, secondo me, è chiara nell’intervista, sta nel fatto che per Pasolini è la poesia ad aver fallito il compito, mentre per Pound il fallimento è da ascrivere al poeta, ed in particolare a se stesso: la poesia dunque rimane centrale per il poeta americano, ed egli può sempre trovare ristoro in essa. Per Pasolini, il poeta a cui la modernità ha strappato la poesia, il mondo è divenuto un inferno senza possibilità di salvezza.

Nella tua pittura tornano a volte temi in qualche modo riconducibili al sociale, seppure mascherato sotto forma epica o epico-drammatica: penso ai vecchi dipinti con i transessuali, a quelli con gli hoolingans, e più di recente con le nuove mitologie americane della velocità e della violenza, la morte tragica di James Dean, etc. Con Pasolini però, il nostro “poeta civile” per eccellenza, si affronta di petto il problema di una pittura che sia capace anche di affrontare i temi della politica o della convivenza sociale. Credi che possa esistere oggi una “pittura civile”, che abbia senso affrontare problemi legati alla politica o al ruolo dell’intellettuale nella società? Quanto peso hanno i temi che affronti nella tua pittura rispetto alla resa formale del lavoro?

Io credo che la pittura, e le arti in genere, debbano essere rivolte verso l’impegno civile, o che perlomeno debbano essere sottratte all’iconoclastia latente del mercato che le rende inutilizzabili dal punto divista sociale e che quindi le rende oggetto solamente di scambio invece che articolazione del territorio. Il fatto che le arti siano disgiunte le une dalle altre e che pittura scultura ed architettura non siano un tutt’uno, priva il territorio della valenza di un certo senso del sacro che solo le arti riescono ad inverare, ed è solamente questa valenza del sacro che dona valore emotivo al territorio e lo preserva dallo sfruttamento senza limiti. Il radicamento delle arti verso i luoghi può avvenire solamente grazie all’esistenza di narrazioni prodotte dai luoghi stessi – narrazioni mitologiche che si sono sedimentate a tal punto da richiedere l’esistenza di una risposta plastica. Le narrazioni richiedono una risposta in termini plastici e le arti necessitano delle narrazioni per articolarsi e per trovare la necessità stessa del loro insediamento in un luogo specifico. Ostia è il luogo della morte di Pasolini e a questo punto credo la sedimentazione narrativa che riguarda questo avvenimento sia tale, da poter pensare la possibilità di un ulteriore passo, quello dell’addensamento plastico monumentale. L’impegno civile delle arti credo quindi sia più nel pensare se stesse come parte necessaria del rapporto far esseri umani e territorio e nel materializzare la possibilità del sacro nei luoghi, piuttosto che nella scelta dei soggetti.

(intervista realizzata da Alessandro Riva)

Nicola Verlato | Hostia

dal 10 maggio al 22 giugno 2014

Museo d’Arte Contemporanea, Lissone

Viale Padania, 6

+39 73 97368
museo@comune.lissone.mb.it
www.museolissone.it