Un murale che rappresenta uno stralunato Van Gogh trasformato in writer, realizzato da Giuseppe Veneziano a Pordenone (nell’ambito della mostra “Pop Re-Generation”, a cura di Mauro Tropeano). Un modo per dire che oggi l’arte è cambiata per tutti, e che, se fosse vivo, forse anche il maestro dei Girasoli non si tirerebbe indietro di fronte alla sfida di “parlare” direttamente al pubblico della strada, realizzando i propri quadri direttamente sui muri delle città.
Il writing prima, e la street art poi, hanno infatti rotto un muro, quello che in maniera sempre più eclatante separava il pubblico generico, fatto di gente “comune” – quella che va al cinema, guarda la tv e ascolta musica, e magari a volte legge anche dei libri, oltre a postare foto su Facebook e twittare su Twitter –, dai cosiddetti “esperti d’arte”, quel piccolo circolino chiuso e autoreferenziale che negli ultimi cinquant’anni ha trasformato l’arte in sistema chiuso, asfittico e autoreferenziale, dove gli artisti pensano e producono solamente per farsi accettare da un’élite di pochi eletti, formata da critici, direttori di musei e di giornali, e collezionisti spesso incapaci di vedere e di apprezzare realmente quello che stanno comprando, ma che acquistano opere unicamente per una questione di prestigio e di accettazione sociale.
Un’arte sempre più incomprensibile, iper-concettualizzata e ripiegata su questioni di lana caprina (sperimentazioni linguistiche sempre più astruse, opere elitarie e comprensibili solo agli addetti ai lavori, provocazioni da due soldi e ideuzze senza capo né coda), ha di fatto portato l’opera d’arte a non avere più alcuna influenza sul pubblico “della strada”, creando una separazione irreparabile tra arte e tessuto sociale, che sembrava destinata a non risolversi mai.
La street art ha invece, nel giro di pochi anni, riaperto i giochi e scombinato le regole del sistema dell’arte, sottraendo l’opera all’arbitrarietà delle piccole mafie autoreferenziali, e riportandola allo sguardo e al giudizio di tutti, ridando possibilità a chiunque di dipingere, di esporre e di mettersi in gioco liberamente, senza regole né filtri, e riaprendo di fatto nuove possibilità, per le stesse opere, di essere viste, apprezzate, giudicate senza schermi o paraocchi critico-ideologici, senza le mediazioni pelose e interessate dei galleristi, senza la censura preventiva dei direttori delle fiere o dei giornali specializzati su ciò che “può” e “deve” essere visto, e ciò che invece “non deve” essere neanche esposto, perché non abbastanza contemporaneo, o non abbastanza all’avanguardia, o non abbastanza ammanicato col critico o col mercante di turno.
Quella di Giuseppe Veneziano per Pordenone è, quindi, prima ancora che una provocazione, una dichiarazione di poetica e un atto di stima e di riconoscimento verso un movimento che, nei fatti, ha cambiato il rapporto tra l’opera d‘arte e il suo fruitore. In questo breve articolo, Veneziano racconta la genesi di quell’opera, e lancia una sfida per il futuro.
A.R.
Urban Art, una sfida per confrontarsi col pubblico della strada
di Giuseppe Veneziano
L’idea di fare un murale mi aveva sempre creato delle difficoltà operative, nel senso che quando dipingo ho bisogno dei miei tempi (solitamente molto lunghi), di un luogo familiare (lo studio) che mi aiuta a concentrarmi e a creare una certa intimità con l’opera mentre prende forma e colore. Tutti elementi che vanno in contrasto con la realizzazione di un murale che solitamente viene realizzato in pubblico e in tempi brevi. Ma allo stesso tempo sono affascinato dalle sfide e dalla possibilità di superare i miei limiti esecutivi. Altre volte ero stato invitato a realizzare dei murali, ma avevo sempre declinato l’invito, oppure avevo trovato delle soluzioni di ripiego, stampando una mia opera in grandi dimensione e fissandola su muro tipo affiche.
Il nuovo invito è arrivato in occasione della mostra “Pop Re-generation” a cura di Mauro Tropeano a Pordenone. Un’occasione stranamente favorevole che mi ha dato la giusta carica per superare tutti i miei preconcetti. Da un sopralluogo insieme all’organizzazione abbiamo individuato un muro molto fatiscente in una piazza del centro storico (piazza Calderari). La possibilità di intonacare il muro e dipingerlo trasformava il mio intervento in un’operazione di vera e propria riqualificazione urbana.
Il soggetto dell’opera è un Vincent Van Gogh calato nei nostri giorni intento a realizzare uno dei i suoi famosi Girasoliattraverso l’uso di bombolette spray, colto nel momento in cui si accorge di essere stato beccato e gira lo sguardo verso lo spettatore. A completare la scena ci sono due elementi reali che fanno da cornice all’opera come il lampione (che illumina il murale anche la sera) e un idrante dei vigili del fuoco. L’effetto tridimensionale rende l’opera ancora più suggestiva.
Devo ammettere che è stata un’esperienza avvincente, sia per come ho superato tutte le difficoltà operative, sia per la reazione del pubblico che, passando casualmente sul posto, di volta in volta esternava il suo interesse, la sua approvazione e quasi sempre ci ringraziava per quello che stavamo facendo. Nonostante il freddo, la pioggia, e le giornate corte e poca luce (spesso bisognava lavorare di notte), sentivo dentro un entusiasmo crescente che mi dava una forte carica energetica per completare l’opera in pochi giorni. Dopo Pordenone ho avuto già l’invito di altre città italiane a realizzare altri murali. E sapete cosa vi dico? Ormai la strada è spianata… credo proprio che accetterò, e che il murale di Van Gogh non sarà che il primo di una lunga serie!