Ve la meritate Chiara Ferragni

di Emanuele Beluffi.

Il fatto che l’arte e i relativi operatori di settore siano totalmente fuori dal mondo reale è dimostrato dalla vicenda che ha appassionato i nullafacenti durante lo scorso weekend: la visita di Chiara Ferragni agli Uffizi e il conseguente boom di visitatori (9312 tra venerdì e domenica, + 24% rispetto al fine settimana precedente), effetto farfalla che ha indignato gli intellettuali propugnatori dell’arte per tutti, gli stessi che, finalmente e proprio grazie a Chiara Ferragni, adesso possono dire che il popolo suda e puzza: sono i critici, i curatori, quella “elite del caiser” (per citare il post di una che ne fa parte e che ha detto che il re è nudo) che in era pre-Covid cazzeggiava alle inaugurazioni milanesi facendo passare il cazzeggio per lavoro dandosi arie come fossero i protagonisti dell’estate con intorno il gruppetto di artisti scodinzolanti, mentre il pubblico vero, quello che i soldi li porterebbe per davvero al mondo dell’arte, o rincasava dopo una giornata di lavoro o beveva una birra al bar.

Gli intellettuali che si indignano della mercificazione della cultura non si rendono conto che l’arte, quell’arte che dicono di amare, non esisterebbe senza la birra al bar, senza i commessi viaggiatori e le commesse del supermercato: il quadro di Edward Hopper (sì, quello famoso) era talmente dirompente che nel 1975 ce lo siamo ritrovato in una altrettanto celebre scena di Profondo Rosso di Dario Argento e senza nemmeno citarlo, tanto era famoso.

Trovatemelo, un critico curatore intellettuale fra gli indignati speciali, che ha detto scritto o fatto qualcosa di altrettanto memorabile e così archetipico da ritrovarcelo pure in un film.

Non è vero che l’arte non sia per tutti: chi lo dice è in malafede, perché sa che è lui/lei stesso/a a svolgere un’attività, non retribuita o mal retribuita e nonostante questo darsi pure delle arie come sgomitasse lungo la Main Street, che è un “lusso” che si può permettere solo lui/lei.

L’arte, invece, deve essere per tutti, come il cinema, come la musica: perché quei soloni non si scandalizzano dei sold out ai concerti dei Metallica (quando ancora si poteva andare ai concerti) o degli sbanchi al botteghino del tal film al cinema? Musica e cinema non sono arte? O l’arte visiva è un’arte speciale? Eppure macina meno soldi del cinema, quindi a rigore non dovrebbe nemmeno esser considerata un territorio da eletti.

La verità è che solo democratizzando l’arte (in special modo l’arte contemporanea), solo rendendola popolare, possono girare quei quattro soldi che poi permettono alle madamine dell’arte di farsi anche la loro mostra col bastone appoggiato alla parete.