Forse non piacerà neppure questa azione artistica ai fanatici del conservatorismo contemporaneo, pronti a bollare qualsiasi intervento artistico-politico su monumenti, statue e “simboli” urbani come “imbrattamento”, “vandalismo”, “iconoclastia”, quando non addirittura con l’epiteto infamante di “Cancel Culture”. Ma, con l’intervento artistico di Ivan Tresoldi detto Ivan il poeta, instancabile e irriducibile artista-attivista autore di azioni, sia illegali che legali, sui muri delle città del mondo, che per l’8 marzo ha colorato l’unghia del celebre “dito” di Cattelan (L.O.V.E.) in piazza Affari a Milano, la Cancel Culture c’entra poco o niente, e anche l’imbrattamento è tutto da dimostrare: è, più che altro, superfetazione artistico-politica su un’opera già di per sé controversa e discussa, sebbene legale e ormai istituzionalizzata, come il celebre dito dell’altrettanto celebre Cattelan, maestro di provocazioni patinate e amate dalle élite. Chi la fa l’aspetti, potremmo dire, e al momento, difatti, da Cattelan non sono venute (per fortuna) lamentele o proteste.
Ma, nei cortocircuiti iconici del contemporaneo avanzato, è fatale che nulla si inventi dal nulla, e tutto si rimescoli, si citi e riciti, si riproponga in maniera sempre simile e sempre differente. Capita allora che l’iconografia ricreata da Ivan sul “supporto” marmoreo (così l’ha definito, con corrosivo sarcasmo, l’artista-poeta) di Cattelan – il dito medio alzato, ma elegantemente smaltato di rosa – richiami, visivamente, la copertina di un celebre e “scandaloso” testo della più scandalosa, irriducibile, “folle” scrittrice, drammaturga e teorica del femminismo americano radicale che più radicale non si può, indigeribile anche per la scena underground americana degli anni Sessanta e Settanta: la scrittrice, polemista, attivista e quasi assassina (di Andy Warhol, simbolo dell’artista maschio più di successo dei favolosi anni Sessanta), Valerie Solanas, morta in miseria e nell’oblio a San Francisco nel 1988: Up your Ass, “In culo a te” (edito, dopo decenni di oblio, da Vanda Edizioni), pièce teatrale la cui protagonista è una giovane prostituta lesbica, sarcastica e spietata, castigatrice delle ipocrisie del potere maschile. Proprio questo testo fu, per un curioso caso del destino, la scintilla che portò la Solanas ad attentare, il 3 giugno 1968, alla vita di Andy Warhol: avendogli consegnato il manoscritto nella speranza che lo producesse, e avendolo lui perso, la Solanas, convinta della malafede dell’artista, fece irruzione alla Factory armata di pistola, e gli sparò tre colpi.
Ma il suo testo più celebre fu, ovviamente, lo scandaloso S.C.U.M., noto anche come il Manifesto per l’eliminazione del maschio, il cui incipit così recitava: “Per bene che ci vada, la vita in questa società è una noia sconfinata. E poiché non esiste aspetto di questa società che abbia la minima rilevanza per le donne, alle femmine dotate di spirito civico, responsabili e avventurose non resta che rovesciare il governo, eliminare il sistema monetario, istituire l’automazione completa e distruggere il sesso maschile”. Di questo celebre e scandaloso testo, riproduciamo, per l’occasione, la sezione in cui Valérie disquisisce di Arte, potere e maschilismo. Piaccia o no, vale comunque la pena di essere letto.
SCUM MANIFESTO: “GRANDE ARTE” E “CULTURA”
“L’artista maschio tenta di risolvere il suo dilemma costituito dalla sua incapacità di vivere e dal suo non essere femmina fabbricando un mondo altamente artificiale in cui il maschio viene eroicizzato, cioè esibisce tratti femminili, mentre la femmina viene ricondotta a ruoli estremamente limitati, insipidi, subordinati, cioè a essere un maschio.
Poiché l’obiettivo “artistico” maschile non è comunicare (non avendo nulla dentro di sé, non ha niente da dire), ma dissimulare la propria bestialità, egli ricorre al simbolismo e all’oscurità (la vecchia solfa della “profondità”). La stragrande maggioranza delle persone, specialmente quelle “istruite”, prive di fiducia nel proprio giudizio, umili, rispettose dell’autorità (“Papà lo sa meglio” in età adulta diventa “il Critico lo sa meglio”, “lo Scrittore lo sa meglio”, “chi ha il Dottorato lo sa meglio”), sono facilmente indotte a credere che l’oscurità, l’evasività, l’incomprensibilità, l’espressione obliqua, l’ambiguità e la noia siano contrassegni di profondità ed estro intellettuale.
La “Grande Arte” prova che gli uomini sono superiori alle donne, cioè gli uomini sono donne, dato che viene etichettato come “Grande Arte”, come gli antifemministi amano ricordarci, quasi tutto ciò che è stato creato dagli uomini. Sappiamo che la “Grande Arte” è grande perché così ci hanno detto le autorità maschili, e noi non possiamo contraddirle, perché ci vuole una sensibilità squisita, molto superiore alla nostra, per discernere e apprezzare le porcherie che apprezzano.
La degustazione estetica è l’unico diversivo degli uomini “di cultura”; i passivi e incompetenti, privi di immaginazione e di ingegno, devono arrangiarsi con quello che hanno; incapaci di crearsi i propri diversivi, di creare un piccolo mondo tutto per loro, di influenzare anche di poco il loro ambiente, devono prendere quel che passa loro il convento; incapaci di creare o di comunicare, contemplano. Assorbire “cultura” è un tentativo affannoso di trovare piacere in un mondo senza piacere, di fuggire l’orrore di un’esistenza sterile e insulsa. La “cultura” è un contentino per l’ego degli incompetenti, un mezzo per razionalizzare la contemplazione passiva: questi ultimi possono vantarsi della loro capacità di apprezzare le cose “più elevate”, di vedere un gioiello dove c’è soltanto una merda (vogliono che si ammiri la loro ammirazione). Privi di fiducia nella propria capacità di cambiare alcunché, rassegnati allo status quo, non possono far altro che vedere la bellezza nella merda, perché nel loro orizzonte non c’è altro che merda.
La venerazione dell’ “Arte” e della “Cultura” – oltre a spingere molte donne verso un’attività noiosa e passiva che le distrae da attività più importanti e gratificanti, e a indurle a trascurare il potenziamento di capacità attive – comporta la costante intrusione nelle nostre sensibilità di pompose dissertazioni sulla profonda bellezza di questa o di quella cagata. Ciò permette all’ “artista” di presentarsi come uno dotato di sentimenti, percezioni, intuizioni e giudizi superiori, di modo che la fiducia delle donne insicure nella validità dei propri sentimenti, percezioni, intuizioni e giudizi ne esce indebolita.
Diponendo di una gamma estremamente ridotta di sentimenti e, di conseguenza, di percezioni, intuizioni e giudizi molto limitati, il maschio ha bisogno che l’ “artista” lo guidi e gli riveli il senso della vita. ma poiché l’ “artista” maschio è completamente sessuale, incapace di rapportarsi a qualsiasi cosa fuorché alle sue sensazioni fisiche, e poiché non ha altro da esprimere oltre all’intuizione che la vita maschile è assurda e senza senso, non può essere un artista. Come può rivelarci il senso della vita qualcuno che non è capace di vivere? Un “artista maschio” è una contraddizione in termini. Un degenerato può produrre soltanto “arte” degenerata. L’artista verace è ogni femmina sana e sicura di sé, e in una società femminile l’unica Arte, l’unica Cultura sarà l’esistenza femmine insolenti, stravaganti, scatenate, capaci di ricavare piacere l’una dall’altra e da qualsiasi cosa nell’universo”.
Valerie Solanas, SCUM MANIFESTO, 1967