Più di Ottocento opere. Tre anni di lavoro. Un chilo e mezzo di chiodi. E una settimana di lavoro per montare il tutto. Sono i numeri di Thomas Berra, in mostra alla Room Gallery di Milano con una sorprendente, multiforme e iperstratificata installazione, che ricopre tutti i muri della galleria in un continuum di tele, disegni, schizzi, manifesti, manufatti tra i più vari, con un effetto di horror vacui che non lascia agli occhi del visitatore un solo attimo di tregua o di riposo. Ad aprire la mostra, una scritta “Thomas” in caratteri luminosi, come in un surreale luna park pittorico. A Thomas Berra abbiamo rivolto alcune domande proprio a partire dai “numeri” della mostra, che fanno da filo conduttore del complesso (e riuscitissimo) progetto installativo.
A.R.
Thomas, allora, quante opere hai esposto?
Più di ottocento. Ottocentonovanta, per la precisione.
Di questi, molti sono disegni, altri quadri, altri ancorasemplici schizzi, volantini, fotografie, poster…
Sì. L’installazione riunisce tre anni di lavoro e di progetti che si mescolano tra di loro. All’inizio, avrei voluto fare una cosa più metodica, iniziando sulla parete con un progetto, a cui sarebbe seguito un altro, poi un altro, etc. etc. Poi ho preferito optare per una soluzione più caotica, apparentemente più incoerente, ma che rispecchia di più il mio modo di lavorare e di procedere, che vede spesso i progetti andare avanti parallelamente, incrociandosi e contaminandosi tra di loro.
Che progetti ci sono dentro questo fantastico “melting pot” visivo? Ce ne racconti qualcuno?
Ad esempio c’è un progetto che avevo realizzato in Sicilia, a Scicli, durante una residenza, in cui prendevo delle antiche foto di famiglia di coloro che mi ospitavano, e le “doppiavo”, realizzandole col disegno. La cosa buffa, però, è che una volta che i disegni mi sono stati rispediti indietro, mi sono accorto che i lavori erano stati dimezzati: le foto erano sparite. I discendenti della famiglia che mi aveva fornito le foto, permettendomi di ridisegnarle, alla fine si erano infatti pentiti di avermele lasciate, adducendo una sorta di ritrosia a far girare, ed eventualmente esporre, foto di famiglia così intime e personali. Così, oggi, accanto a ogni disegno c’è una cornice vuota, dove un tempo c’era stata la fotografia…
Sembrano quasi dei vuoti lasciati apposta, come a testimoniare un’assenza di tempo e di memoria… Altri progetti o altre serie di lavori?
C’è ad esempio una serie di lavori su vetro. Una serie, invece, è costituita dai lavori che ho eseguito su vecchi quadri trovati sui mercatini, a cui io ho aggiunto, per esempio, un graffito su un muro o altri elementi spiazzanti… poi una serie ispirata ai fondi di Bacon, da cui ho “cancellato” le figure umane.
Una fatta a Belgrado. Una fatta a Tangeri, dipingendo ritratti di persone, scene, paesaggi: una sorta di diario di viaggio per immagini. Una serie di lavori di arte sacra “cancellata”. Una serie ispirata a “8 e mezzo” di Fellini. Una serie ispirata a un lavoro di Tracey Emin che aveva realizzato, appunto, una serie di disegni e li aveva chiamati “One Thousend Drawings”.Così, in quel caso, ne ho fatti anch’io mille…
In tutto, quante serie ci saranno esposte?
Tante.
Quasi in ognuno c’è dipinto o disegnato un volto.
Sì è vero. Mi viene spontaneo. Dipingo spesso volti…
Quanti volti ci saranno in questa mostra?
Mah, almeno 700.
E molti recano scritte: parole, frasi, lettere…
Sì, quasi su un disegno ogni due c’è anche una scritta..
Molti lavori sono su tela, altri sono su carta. Quanti sono i disegni e quanti i quadri?
Ci saranno una ventina di tele, gli altri sono tutti disegni.
Sempre.
Dove?
Spesso su quadernini, che mi porto sempre dietro. Disegno ovunque, dove mio capita, in maniera compulsiva.
Ne hai molti?
Un’infinità.
Quanti quaderni riempi all’anno?
Una trentina, ma spesso non li finisco neanche.
Mi sembra di capire che tu abbia una certa propensione all’accumulo…
Sì, quasi patologica.
Cosa accumuli?
Di tutto. Quando vado in un mercatino mi devo trattenere, comprerei ogni cosa.
Tipo?
Oggetti, libri, soprammobili, disegni, stampe… Ultimamente ho iniziato ad accumulare crani.
Crani? Non umani, spero.
Anche: ne ho uno umano, me lo ha dato un mio collezionista, che era un ex anatomopatologo. Per il resto di animali: conigli, cerbiatti, castori, un cane. Ho persino il cranio di un piccione, piccolissimo.
Una quindicina.
Li farai entrare a far parte di un lavoro?
Forse.
E dove tieni tutto questo materiale?
Sparso. Però i lavori di questa installazione, una volta finita la mostra, vorrei metterli tutti insieme, archiviarli come un’opera unica, da consultare, da sfogliare, da guardare. Da installazione, si trasformeranno così in un’altra cosa ancora, una sorta di archivio comprendente tre anni di lavoro.
Per attaccarli hai dovuto usare anche molti chiodi.
Sì, ho comprato, e usato, circa un chilo e mezzo di chiodi.
E di tutti quei chiodi cosa ne farai?
Potrei archiviare anche loro. In un sacchetto a parte, saranno anch’essi parte dell’archivio di questi tre anni di lavoro. Oppure potrei utilizzarli di nuovo per un altro lavoro, farli entrare in una installazione o in una scultura…
Tu vieni dalla street art?
Sì, facevo parte della The Bag Factory. Ho fatto diversi lavori in strada.
Quanti?
Mah, un centinaio, credo. Un po’ in tutt’Italia.
Da quanti anni dipingi?
Da dieci anni in maniera continuativa. Ma sognavo di farlo da sempre…
Quanti anni hai?
28.
Sei ancora giovane. E a che età vorresti andare inpensione?
Non so, probabilmente mai: la mia speranza è di lavorare, com’è accaduto a tanti artisti, fino alla fine, magari lasciando un quadro non finito sul cavalletto …
Thomas Berra | Solo Show
dal 5 febbraio 2015 al 5 marzo 2015
Room Gallery
via Francesco Hayez 4, Milano