Street art, è un mondo per donne?

di Vlady Art.

Ci siamo spesso interrogati sulla presenza storica delle donne nel mondo della cultura. Presenza che, nel caso dell’arte, è stata marginale e collaterale per tutta la storia e che solo nel XX secolo ha potuto definitivamente consolidarsi. In un film di recente nelle sale, Tim Burton ci racconta la storia della pittrice Margaret Keane, americana di Nashville, che per buona parte della sua carriera omise d’essere la vera mano dietro le opere del marito, Walter Keane. Una cruda testimonianza dagli anni ‘60 di come alle donne di tutto il mondo fosse preclusa la carriera artistica. “Se l’artista è un uomo, venderà di più, sarà più credibile”.

Malina Suliman
Malina Suliman

Quante sono le donne invece nella più giovane ed esplosiva corrente artistica d’oggi, cioè la street art? Restiamo ancorati alle logiche del passato o stiamo già respirando una nuova aria? Ebbene, anche se per ragioni totalmente diverse, il leitmotivdello scorso secolo sembra permanere: ogni cento nomi ci sono così poche donne da potersi contare sulle dita di una mano. È vero, l’outlookè al rialzo e prevale un forte ottimismo ma chiedetevi se i vostri idoli della street art siano uomini… oppure donne. La risposta è scontata: anche qui, le artiste donne sono rare. Proviamo a capirne i perché.

L’arte di strada è stata per decenni un dominio quasi esclusivamente maschile. Gli uomini sono più inclini al rischio, disposti e pronti a tutto, dall’azione illegale alla fuga. Se fosse una dottrina, una filosofia di vita, dovrebbe a parer mio chiamarsi “trespassing”, che è una versatilissima parola inglese che racchiude tutto: abusare, sconfinare, trasgredire, entrare abusivamente, violare, infrangere la legge nonché disobbedire. Molti artisti di strada esordiscono di notte, violando la proprietà privata e infrangendo la legge; nascondono quindi il viso e indossando scarpe fatte per la corsa. La notte ha le sue incognite, specie se parliamo di luoghi degradati o luoghi dove è vietato l’accesso. Senzatetto, drogati e cani randagi non sono esattamente incontri impossibili all’interno di cascine, stazioni o fabbriche abbandonate. Che dire poi, di scale pesanti e grossi carichi di vernici?

Fin qui i problemi che hanno determinato una ratio così impari tra i due sessi; ma poiché anche l’arte di strada sta cambiando e non tutti (tutte) hanno dovuto necessariamente misurarsi con problemi simili, le artiste donne sono in forte aumento e stanno dimostrando di poter puntare a livelli di appeal altissimi. L’attuale esplosione di artiste è globale: in America, Europa, Brasile, Colombia, Afghanistan, Egitto, Asia e oltre. In verità, proprio alle donne infastidisce questa categoria di genere e l’aumento del loro numero dovrebbe solo indicarci una sorta di “normalizzazione” della street art. Ma non dimentichiamoci che in certi paesi è difficile che una ragazza possa fare anche solo una passeggiata, immaginate quindi dipingere da sola. Ecco perché per alcune, questi gesti hanno assunto un valore culturale e politico enorme. Consideriamo la giovane Malina Suliman, di Kandahar. Iniziò a disegnare graffiti di notte munita solo di torcia. La folla le si riuniva attorno gettandole sassi contro. Quando dipinse sulle pareti della sua città natale le immagini di uno scheletro indossante un burqa, i talebani colpirono suo padre. Malina non si è mai fermata, anzi, è andata avanti usando la street art come bandiera di libertà. Difficoltà simili e tenacia da leoni anche quella di Mira Shihadeh, di El Cairo. Nel pieno degli scontri d’Egitto, tra violenza e anarchia, l’artista dipinse di donne e abusi sessuali, di storie di segregazione e d’emancipazione. Graffiti così “temibili” che il ministero dell’interno si adoperò subito a cancellarli sistematicamente.

Mira Shehadeh
Mira Shehadeh

E se altrove le condizioni sociali sono sicuramente migliori, le donne non rinunciano a farsi carico di valori importanti, manifestando una sensibilità unica non solo nei riguardi del tema, ma nei riguardi della pittura stessa. Ultimamente sulle riviste anglosassoni impazzano le liste delle migliori “top (aggiungi un numero a caso: 10, 24, 100…) female artists” mondiali. Spiccano con prepotenza alcuni talenti che non hanno nulla da invidiare ai loro colleghi uomini, come Faith47, sudafricana bianca. La sua pittura è monumentale, con stupendi echi dal passato romantico (grafica Jugend), protesa al sociale e verso il suo Sud Africa, benché abbia assunto una dimensione internazionale da anni. Di Faith47 si può solo dire che dipingere bene torna utile, e in lei si vede. L’americana Maya Hayuk, nota per le sue coloratissime trame geometriche, ha avuto l’onore d’essere la terza donna di sempre a dipingere l’iconica parete ad angolo tra Bowery e Houston, a Manhattan. La nota fotografa “di strada” Martha Cooper conferma che si sta passando in breve da una presenza femminile dello 0,1 per cento all’1 per cento; sembrano sciocchezze ma, a suo dire, è un significativo balzo in avanti.

Parlando di donne ci si accorge che non basterebbe un libro per includerle tutte; il mondo è grande e non si vuol far torto a nessun talento lì fuori. Ogni donna in quest’arte “furtiva” ha una storia che meriterebbe d’essere raccontata. Come non menzionare l’illustrativa Miss Van, le bellissime maglie colorate di Olek o gli origami di Mademoiselle Maurice? Che dire sulla sensibilità dei paste-up di Swoon, sulla catanese Microbo o della nostra più attuale e iconica artista nazionale, Alice Pasquini? Essere donne è anche avere una marcia in più.

Miss Van
Miss Van

Ultimo dei nomi, mi soffermo volontariamente su Bambi, cioè quella che è stata definita dal “Guardian” – a torto o a ragione – la Banksy donna. Poiché mi trovavo per caso a New York nei giorni dell’isteria collettiva scatenatasi con la “residency” di Banksy, mi sono imbattuto, altrettanto per caso, nella mostra di Bambi, il cui vernissage a porte chiuse lasciava intravedere all’interno solo compratori dai generosi portafogli. Se Banksy non è una Lei, come circolava provocatoriamente sui giornali di mezzo mondo, Bambi potrebbe benissimo essere la sua compagna di merende. Anche nel suo, non ci è dato di sapere quale sia la sua vera identità. E che dire sull’arte di Bambi? Beh, anche lei adopera stencils in grandi quantità e attinge dal pop, dal trendy e dalle celebrities; come dire, la scorciatoia iconografica verso il successo, la rampa di lancio per chi o ha fretta o non possiede un vero talento. E Bambi di strada ne sta facendo parecchia, producendo tele a raffica, mercificando profumatamente la sua produzione urbana. Qualcuno ha ipotizzato che la sua stima (economicamente parlando) possa un giorno raggiungere quella di Banksy stesso, ma alla fine importerà sempre meno, perché non ci sono due categorie, nell’arte, che si possano contraddistinguere dal sesso. L’arte è oltre, anche in questo.