a cura di Giuditta Elettra Lavinia Nidiaci e Diego Bernardi
Seicentomila visitatori in pochi giorni. Code chilometriche. Stazioni d’arrivo affollatissime. Coppie, persone sole, gruppi di amici, comitive, intere famiglie che si sottopongono a stressantissime marce sotto il solleone di luglio, pur di salirci sopra e dire “io ci sono stato”. Situazioni, e numeri, che, più che all’arte contemporanea, fanno immediatamente pensare ai mega-concerti rock o alle grandi manifestazioni spettacolar-commerciali come l’Expo. Per non parlare della rete: da giorni e giorni, un’infinità di selfie e di fotografie stanno invaendo i social network. Chiunque ci sia stato, ha immediatamente immortalato l’evento sulla sua bacheca. E non solo gente comune: attori, cantanti, presentatrici tv. Tutti pazzi per Christo. Non potevano mancare gli eventi “esclusivi”: visite riservatissime, feste, cene con chef stellati a casa della famiglia Beretta, che con Christo e la sua istallazione ha avuto fin dall’inizio un rapporto assai stretto. Serate vip di cui i giornali mormorano, ma di cui si riesce a sapere poco, forse per non rovinare la festa ai poveri cristi che si son fatti le code sotto il solleone, e vogliono lo stesso pensare di fare parte di un “avvenimento eccezionale”. The Floating Piers, meglio nota semplicemente come “la passerella di Christo”, sta suscitando clamore, discussioni, interesse come raramente è avvenuto nel mondo dell’arte contemporanea. Merito della spettacolarizzazione dell’installazione? Del suo essere arte “popolare”, alla portata di tutti, e che tutti possono “sperimentare”? O del nostro conformismo atavico, che ci porta a voler sperimentare le cose di cui tutti parlano, per poterci illudere di far parte della massa dei “conoscitori”?
Abbiamo chiesto a una ventina di personalità dell’arte e della cultura di darci il loro parere sul senso estetico, sociale, culturale della passerella di Christo. A cominciare da Giorgio Forattini, che ha disegnato, in esclusiva per If Magazine, la vignetta che pubblichiamo qua sopra. Ecco le loro risposte. Cominciamo con un editoriale diAlessandro Riva, che del Magazine è l’ideatore e l’anima. A seguire gli altri interventi.
Se l’arte è ormai solo uno spettacolo inutile e affollato, allora viva Christo (sempre meglio della merda d’artista)
di Alessandro Riva
Per qualche settimana, la “passerella” di Christo farà assurgere l’arte contemporanea, questo strano oggetto che nessuna persona di buon senso riesce, anche con tutta la buona volontà di questo mondo, a capire dove voglia andare a parare e a quale fine tenda, a dibattito pubblico e popolare. Come ai tempi dei “bambini impiccati” di Cattelan a Milano, la gente “normale”, che solitamente nutre poco o nessun interesse verso quell’oscura, spesso arzigogolata, idiota e poco comprensibile materia per eruditi che è appunto l’arte contemporanea, ha invece sentito la necessità di intervenire, dire la sua, scaldarsi – in difesa o contro. Sul web sono fiorite le vignette, le parodie, le citazioni. È una “baracconata” e una “pirlata”, come ha subito tuonato Daverio, il primo dei critici a schierarsi? O una grande opera d’arte che commuove e fa partecipare il pubblico al grande gioco dell’arte, come in migliaia sulla rete si affannano a scrivere, a loro volta contraddetti da altre migliaia che la ritengono invece un’idiozia senza senso?
Di certo, è un investimento milionario, che ha mosso immense energie e messo in moto (in misterioso accordo reciproco) istituzioni, politica locale e nazionale, poteri pubblici, forze di polizia, sponsor, sovrintendenze, albergatori, appaltatori, aziende, media… la prima delle battaglie vinte da Christo è inevitabilmente questa, in un paese dove per costruire un muro ci vogliono spesso anni di litigi e carte bollate tra sovrintendenze, privati e amministrazioni pubbliche, spesso anche con interventi di magistrati, denunce, aperture di fascicoli e scontri intestini tra poteri dello Stato.
Ed è certamente questa – la “misteriosa” velocità con cui Christo è riuscito a mettere d’accordo tutti senza colpo ferire per un’opera megalomane, strutturalmente e programmaticamente inutile, eccessiva e di immenso impatto ambientale, in un paese dove un privato che monta l’anta di una finestra di venti centimetri oltre i permessi ottenuti si trova i carabinieri a casa e il magistrato di turno alle calcagna, la prima vittoria dal punto di vista del cosiddetto “uomo della strada”, che ammira sempre chi riesce a far muovere milioni e a smuovere le istituzioni – in breve a fare ciò che a lui, povero diavolo, non sarebbe mai concesso. Paradossale, dunque, una volta di più, il senso di extraterritorialità che l’arte, questo bene che a nulla serve e che nessuno capisce, gode in questo paese: l’avessero voluta fare le autorità del Lago per attirare i turisti a vedere i “veri” capolavori (come dopotutto avrebbe voluto Sgarbi), ci sarebbero stati litigi, scontri e dibattiti giornalistici per anni prima che un sindaco o un amministratore potesse mettere sull’acqua un quarto del pontile che ci ha piazzato Christo in quattro e quattr’otto; l’ha fatta invece un artista per andare da nessuna parte, senza altro scopo se non il suo sogno folle e impossibile di coprire tutto il mondo con le sue stoffe colorate, e nessuno ha avuto nulla da dire: anzi, è “il sogno bellissimo” di far camminare sulle acque le persone (cioè di far quello che tutti i pontili, da che mondo e mondo, fanno, senza scomodare i biblici poteri soprannaturali di Cristo).
Che poi come opera d’arte abbia realmente un senso, al di là del sogno megalomane e utopistico dell’artista che l’ha ideata, ormai sempre più perso in una propria deriva egotistica di “ricostruzione” del paesaggio mondiale che non vuole né può avere alcun limite – frutto perfetto, e specchio assoluto e innegabile di un’epoca di megalomanie lasciate a se stesse, senza fondamenta storiche né collegamento con la storia e con l’ambiente che le circonda: esattamente come avviene coi palazzi dei cosiddetti “archistar”, uguali in ogni angolo del mondo, che non celebrano nulla se non il gigantesco e spropositato ego di chi le ha ideate e fatte costruire –, questo è davvero un altro paio di maniche.
Se, sulla carta dei progetti che l’artista dissemina per il mondo per autofinanziarsi i suoi sogni megalomani, il progetto “The Floating Piers” è lineare, folle, utopistico e affascinante come quello di un’architettura fantastica, va detto che, riportato poi nel magma e nella trivialità della vita quotidiana, esso diventa – un po’ come quelle grandi utopie rivoluzionarie, tanto affascinanti da immaginare o da studiare sui libri e tanto cupe, dittatoriali e folli da vivere poi nella realtà –, squallido e sfibrante come una fiera paesana, affollato e inutile come un Expo, traboccante di code, di vociare, di inutilissime e assai poco poetiche fatiche sotto il solleone come una spiaggia romagnola. Se è vero che spesso l’arte, se popolare e non d’élite, ha a che fare con lunghe code e file di persone in calzoncini, il punto è che di solito questo costituisce solo il preludio per vedere qualcosa di grande o di bello – un quadro, una mostra, una Biennale, quel che vi pare; mentre, in questo caso, non c’è nulla da vedere, se non, propriamente, lo spettacolo della ressa che fa la fila e si accalca sulla passerella. Lo spettacolo, insomma, è propriamente questo: la gente che si affolla su una passerella, convinta di prender parte a un avvenimento imperdibile, eccezionale. Ma di eccezionale, ahinoi, non c’è nulla. C’è solo un fiume di gente che, come negli spettacoli di illusionismo o di prestidigitazione, si auto-convince che abbia un senso fare ore e ore di fila per salire sopra una semplice passerella arancione e, semplicemente, camminare, per ore, senza andare da nessuna parte: per credere che quello che sta vivendo, pur faticoso, inutile, affollato e oggettivamente assai poco poetico e riflessivo, sia una grande esperienza che – così dicono – ha che fare con lo spirito dell’arte, o con quello che ne è rimasto. Se l’arte si è ridotta a questo, dopotutto, viva Christo e i suoi sogni megalomani. Sempre meglio della merda, reale o metaforica che sia, che ogni anno qualche furbastro ci spaccia per l’ultima trovata nella manifestazione del momento.
Sgarbi: il Lago ha perso l’occasione storica di far conoscere i propri capolavori
Il “territorio” del Lago d’Iseo, reclamato a gran voce come oggetto di visibilità turistica e di approfondimento culturale per larghi strati di persone grazie alla “passerella” di Christo, ha in realtà perso un’occasione storica. Quella di essere, e di tornare ad essere, un luogo reale, e non ideale, evocato senza essere non dico conosciuto, ma neppure visto dalla maggior parte delle persone che oggi solcano, sudati e affannati, la “miracolosa” passerella. Che avrebbe potuto, se diversamente concepita, stabilire invece un formidabile collegamento con paesi, monumenti, chiese, siti archeologici che meritavano, dopo anni di disinteresse e di oblio, di diventare mete di un percorso delle meraviglie. Ma nulla di questo è stato fatto. La passerella non porta a nulla, se non a se stessa, non evoca nulla, se non il proprio stare, solitaria e un po’ triste, in mezzo al lago.
L’attrazione della passerella, con la bella idea di camminare sull’acqua, non può oggi che “coinvolgere emotivamente”, con l’entusiasmo del neofita, davanti al “miracolo di Christo”. Ma il “coinvolgimento emotivo” non basta. Si sarebbe potuto utilizzarla, con maggior profitto e intelligenza, per metter fine alla scarsissima conoscenza che il grande pubblico ha delle bellezze del Lago, ponendo in collegamento capolavori segreti, meraviglie nascoste, ville sconosciute al vasto pubblico e affreschi che oggi solo gli studiosi conoscono, in sostituzione del vano accorrere in massa sulla passerella, per la facile ebbrezza di “camminare” per qualche ora sull’acqua, senza neppure sostare in alcuni mirabili luoghi dove l’arte universale si è espressa nel modo più alto.
Così, ad esempio, a pochissimi chilometri da Montisola, cui la passerella conduce, si sarebbe potuti fermarsi a vedere le terme romane di Predore, affacciate sull’acqua in un suggestivo spazio miracolosamente recuperato. E di lì a Sarnico, con le meravigliose ville Liberty e le terrecotte e i ferri battuti di Alessandro Mazzucotelli. Appena più in là, Credaro, con una cappella affrescata da Lorenzo Lotto che, da sola, vale cento volte l’opera di Christo, certamente mai visitata da Germano Celant, ma centovent’anni fa riscoperta da Bernard Berenson. Inevitabili, a pochi chilometri, il borgo medievale di Castelli Calepio, la chiesa romanica di Cividino e, poco più in là, il Castello Camozzi Vertova di Costa di Mezzate, con capolavori di Van Dick, Baschenis, Ceruti, Frà Galgario, Lorenzo Lotto. Di quest’ultimo grande artista non è perdibile in alcun modo la Cappella Suardi a Trescore Balneario, il cui rilievo nella storia dell’arte è pari a quello della Cappella Sistina di Michelangelo e delle Stanze Vaticane di Raffaello.
A Solto Collina, poi, imperdibile la Pieve di Santa Maria Assunta con l’organo di Andrea Fantoni e la Pala d’altare di Giambettino Cignaroli e, nella Cappella della Disciplina, il ciclo di affreschi di Giacomo Busca; e, ancora, gli affreschi quattrocenteschi di Gargarino nella Chiesa dei Santi Ippolito e Cassiano. Poco lontano, a Lovere, non andrebbero perse le belle collezioni dell’Accademia Tadini, con dipinti di Jacopo Bellini, Francesco Benaglio, Carlo Francesco Nuvolone, Giacomo Ceruti, Francesco Hayez. Imperdibile, poi, Pisogne, con i meravigliosi affreschi di Romanino nella Chiesa di Santa Maria della neve: la Maddalena ai piedi della Crocifissione è una delle immagini più travolgenti del Rinascimento italiano. Eppure, non una sola di queste meraviglie, che da sole valgono mille volte il viaggio fatto per arrivare fino alla passerella, vengono viste da alcuno dei visitatori “emozionati” per l’ebbrezza di aver “camminato sulle acque” del Lago.
La passerella di Christo avrebbe potuto avere il suo più alto significato proprio conducendo a quei capolavori che probabilmente lo stesso artista non ha mai visto, e non conosce. Non sarebbe stato faticoso dare un significato a quella magica e illusoria passerella, avendo consapevolezza della realtà meravigliosa tra il lago di Iseo e il lago di Garda che centinaia di migliaia di persone ipnotizzate, purtroppo, non conosceranno mai.
Dorfles: ma l’amore per il paesaggio è già di per sé una conquista
Il lago d’Iseo ha sempre goduto di una particolare privatezza rispetto ai più grandi laghi Maggiore e di Como, d’altro canto proprio per la sua eccezionalità e un certo senso di segretezza Iseo si è sempre prestato a costituire una sorta di zona privata per il turista e per lo stesso abitante.
Il fatto di aver ideato una ampia passerella (addirittura chilometrica) che permette di allacciare tra di loro due dei più notevoli scenari del lago è stata indubbiamente un’ottima idea non solo turistica ma ecologica. Una volta tanto assistiamo a un caso esemplare dove l’efficacia pratica è commerciale si sposa con quella che possiamo definire l’amore per il paesaggio e il rispetto per alcune delle nostre zone paesaggistiche più significative.
Mendini: opera titanica, con pro e contro. Ma a farne le spese è prima di tutti il pesce Lavarello
Bisogna tenere conto del fascino della simbologia. La coincidenza del nome di Christo con il nome di Cristo, la camminata sulle acque. Due valori inestimabili nella definizione di questa opera. Poi la forza titanica di portarla a compimento, sotto tutti gli aspetti: denaro, cantiere, organizzazione, promozione, polizia.
Questa opera non è retrodatata, perché conduce al compimento in modo spettacolare la lunga storia degli impacchettamenti di questo artista, ogni pacco un’avventura. In questo ultimo caso la criptica Land Art, fenomeno di pochi, si è trasformata miracolosamente in una passeggiata e festa popolare, il desiderio morboso e il bisogno di migliaia di persone di svolgere questo percorso di levitazione rituale. Arte per la folla, il segnale arancione di un maxi-saltimbanco di 81 anni.
L’altra faccia della medaglia? Le grandi opere di Christo e di Jeanne Claude hanno sempre inquinato i luoghi con i loro chilometri quadrati di tessuti, talvolta abbandonati negli oceani, e hanno sempre provocato assurdi sistemi di lussuosi flussi di denaro, nell’iperbole dell’arte d’elite. In questo caso del lago di Iseo, fortunatamente e impropriamente assurto in un solo giorno a notorietà mondiale, quello che proprio ci rimette è il pesce del lago il “Lavarello” che per anni avrà difficoltà di recuperare la purezza dei suoi fondali e del suo millenario habitat.
Il sonetto di Mathieu Vignon: Anvedi un po’ sto cristo d’un ammericano
Oggi l’arte nun se’ fa cor colore e cor pennello / devi da fa’ na cosa strana, grossa un macello / e più è strana e più è grossa la penzata / più la ggente dice che è arte la stonzata.
Mo’ ce’ un fregno, n’americano sverto sverto / che dice che l’arte è fa li pacchi; e pare certo. / M’pacchetta tutto quelo che glje’ vie’ davanti / ponti, palazzi, cajonne 1americani / e chiese co’ li Santi.
Penza che si na’ cosa è chiusa in un ber pacchetto / È mejo apprezzata, è arte de capoccia, de’ n’telletto / Stavorta poi, arricordannose / che e’ n’artista moderno / fa cammina’ la gente sull’acqua / uguale ar Padreterno.
Ha messo ar lago a lungo a lungo na’ pedana gialla / de’ rrobba de’ plastica leggera, / de quela che sta’ a galla / e tutti vanno li, a ppiedi scarzi / o dritto a pecoroni… / penzanno de’ galleggia’ / sull’acqua come i cojoni.
Io nun ce’ vado a fa sta’ processione / paro che già so’ tanti più de un mijone / in fonno in fonno nun e’ na’gran trovata / ė aria fritta coll’aqua, na’ baracconata.
Ma se sto’ Christo vie’ a Roma a fare n’impaccata, / che so’ San Pietro, er Colosseo, Torre Spaccata / ce deve fa’ attenzione; scrisse il grande Antonello / allitterato, poeta e communista, in nel suo stornello / der merlo de la Magnani 2, vista l’opera e l’andazzo / se becca sicuro sicuro: “a sor Mae’ m’pacchettame sto’ cazzo!”.
- cajonne: Gran Canjon
- il riferimento è allo stornello di Antonello Trombadori “Il merlo delle Magnani”
Daverio: è una baracconata senza senso, che stimola l’amore delle folle per i pellegrinaggi, ma senza più niente da venerare
La passerella di Christo è una pirlata, una baracconata senza senso priva di alcuno spessore estetico, culturale, storico. Non è un’opera d’arte, è un fenomeno, un’attrazione, un po’ come le vecchie sagre di paese che esponevano il gigante e la donna cannone per attirar più gente. Erano più belle le giostre delle Varesine nel centro di Milano, e ad andarci sopra di sicuro ci si divertiva di più.
È fuori contesto e priva di giustificazioni dal punto di vista storico ed estetico, manca completamente l’ambiguità e la complessità dell’arte, oltre alla capacità di emozionare veramente. Inoltre è fuori tempo massimo da un punto di vista estetico, e imbarazzante dal punto di vista del denaro speso, se non altro come impegno sul territorio per i costi di vigili, ambulanze, maestranze etc. È un peccato per un paese che non dà spazio ai suoi artisti, e poi però si inginocchia all’americano perché così van le mode. È un fenomeno di moda, tutto lì, che con l’Italia non ha niente a che spartire.
Del resto, queste sono cose che funzionano e vanno bene per i grandi spazi americani: tra le montagne del Colorado, nel deserto… qua diventano solo vagamente ridicole, grottesche. È una questione di spazi, certo, ma anche di sedimentazione culturale, che in questo caso manca completamente. Si potrebbe ascoltare duecento volte la fuga di Bach o ammirare per centinaia di volte il Davide di Michelangelo, e ogni volta si percepirebbero nuove sensazioni, ma se uno sale per duecento volte sulla passerella di Christo, il massimo che può ottenere è di entrare nella categoria dei cretini.
Le ore di coda per salirci sopra, poi, sono la quintessenza del masochismo… rappresentano un aspetto antropologico-culturale prima ancora che artistico: sono la sostituzione delle pene dei pellegrini della Controriforma con l’arte dell’americano. Prima c’erano le file e le salite al Sacro Monte, i pellegrinaggi lungo la via Francigena… ora c’è la passerella di Christo su cui salire dopo ore di coda a scoprire la bellezza del camminare sulle acque. Non c’è più niente da venerare, nessun fine se non il fatto stesso di esserci saliti sopra. Più che l’amore per l’arte, stimola un’attività psichica sedimentata degli italiani, che amano esporsi a lunghe ore di pseudo-sofferenze solo per lavarsi la coscienza per la loro atavica ignoranza.
Oliviero Toscani: a me piace, proprio perché non piace ai critici e a Daverio
Il lavoro di Christo non andrò a vederlo perché lo conosco bene. Mi piace perché non piace ai critici d’arte e soprattutto a Philippe Daverio, che dice che non è un opera d’arte ma in compenso celebra come opere d’arte tutte quelle cagate che si trovano in molti spazi d’arte contemporanea e che vengono vendute a suon di milioni a qualche moglie di un petroliere russo. Almeno l’opera di Christo, una volta finita la sua funzione, verrà distrutta e morta lì.
La vignetta di Giacon: isole e passerelle come metafore politiche?
Vlady Art: l’arte pubblica è sempre effimera e inutile
Per me, la land art è la forma d’arte pubblica spaziale più alta che ci sia. Fu proprio con questa deriva che negli anni ’60 s’incominciò a sentire come insufficiente lo spazio finito che può rappresentare una galleria o un museo. Per Christo e Jeanne-Claude, l’arte era totale e lo scenario ideale era l’esterno: valli, fiumi, monumenti. Venne chiamata Land Art, tuttavia gli interventi furono spesso invasivi e poco “environmentally friendly”.
Ma fu questa specificità a caratterizzare la Land di Christo e Jeanne-Claude, dove il contrasto e l’assurdo della plastica, in questo contesto, riescono a creare una nuova estetica. I due devono sempre aver amato l’Italia, se pensiamo che la prima opera di casa nostra fu nel 1970, con l’imballaggio del monumento a Vittorio Emanuele II in piazza Duomo a Milano. Nel ’74 seguì il celebre “impacchettamento” della Porta Pinciana a Roma.
Tuttavia, anche per il genere d’arte a cui io mio sento più vicino, l’opera chiave nonché anello di giunzione tra land e urban è senza dubbio “Wall of Oil Barrels – The Iron Curtain”, del 1962. Anticipando i tempi, la coppia al tempo ventisettenne, sbarrò lo stretto vicolo parigino Rue Visconti con 89 barili di benzina vuoti, a protestare contro l’installazione del muro di Berlino, l’anno prima. Dunque, un vero intervento in strada, tutto senza permesso e per lo stupore dei passanti. Vi ricorda qualcosa?
Quanto all’ultima, per me è rilevantissimo che Christo abbia scelto l’Italia. È una ventata di contemporaneità ai massimi livelli, un’opera che fa uso del paesaggio e totalmente a spese dell’artista. Una prova che è possibile sognare e che in Italia persino la burocrazia può cedere di fronte alla volontà dell’arte. Inoltre, mi piace l’ipotetica domanda che il cittadino qualsiasi potrebbe porsi: “a cosa serve tutto questo, perché tanti soldi per qualcosa che dura così poco?”. Io risponderei senza esitazione: perché oggi tutto il mondo conosce il Lago d’Iseo o il Comune di Montisola, e il ritorno di immagine ed economico impareggiabili. Ecco perché serve ospitare arte pubblica. Dura poco? Così è la bellezza.
Demetrio Paparoni: l’arte non serve a nulla. Ma aiuta a guardare il futuro da un’angolazione diversa
Ho sempre apprezzato il lavoro di Christo per la sua capacità di rapportarsi alla Storia dell’arte in maniera colta e intelligente.
Il modo in cui utilizza la morbidezza dei tessuti, per esempio, è sempre riferita alla rappresentazioni che dei tessuti ci vengono dalla storia dell’arte.
Anche il suo approccio al paesaggio si muove nella stessa ottica: interviene su di esso ridefinendo lo spazio con inserti che prevedono equilibrio geometrico e coloristico. Non ho visto l’installazione sul Lago d’Iseo, ma da quel che ho potuto vedere in tv e sui giornali è un bel progetto. È una passerella, ma come ogni d’opera d’arte non ha nessuna funzionalità. Permette di vedere il paesaggio in un contesto che prevede la partecipazione collettiva da un’angolazione inedita. Banalizzando direi che la grandezza di questa passerella sta proprio nella sua inutilità: non segue nessuna logica di funzionalità. L’inutilità materiale dell’opera, del resto, è una delle caratteristiche fondandi dell’arte di ieri e di oggi. Lo sanno tutti che l’arte non ci nutre, non ci protegge dal freddo… Non serve a nulla però aiuta a guardare il futuro da un’angolazione diversa.
Chiara Dynys: nella prossima opera mi aspetto che ci faccia camminare anche nell’etere
Trovo cheThe Floating Piers sia un superamento del lavoro dell artista, nel senso che questa volta Christo va oltre al corto circuito percettivo e rende il suo “intervento” praticabile dai fruitori, offrendoci un doppio registro di sperimentazione sensoriale. Il primo visivo: Christo impacchetta l’immateriale (acqua mossa dall’aria e attraversata dalla luce), il secondo fisico: ci porta a camminare sull’acqua, sulla luce, nell aria… mi aspetto che alla prossima ci porti nell’etere!!!
Marziani: ma l’unica cosa che vale è la geometria del disegno nelle foto panoramiche
A prescindere dalle scontate polemiche che ormai ritmano i grandi eventi culturali, direi una cosa su tutte: l’operazione di Christo sul Lago d’Iseo funziona soltanto con una panoramica aerea che evidenzi le geometrie territoriali.
Un progetto che si allinea ai capolavori storici della Land Art internazionale, dove è sempre la foto a campo lunghissimo a ricreare un linguaggio pittorico, sottolineando l’equilibrio formale del disegno in scala ambientale. Fateci caso, le foto ravvicinate del lago hanno il sapore di una banale massa umana che passeggia su una strada arancione, mentre la visione panoramica ragiona in termini iconografici, plasmando il paesaggio ideale dentro la forma del paesaggio storico.
Giovanni Albanese: The Floating Piersè soprattutto un atto d’amore, un volo nell’Iperuranio platonico
Credo che il cuore dell’opera di Christo si possa ricondurre al rapporto con sua moglie Jeanne Claude: più che un’opera d’arte, The Floating Piersrappresenta un sogno, un volo nell’Iperuranio platonico, guidato dall’idealismo di un amore e di un legame indissolubile. Il significato dell’intenzione di Christo nel portare a termine questo progetto, pensato proprio dall’amore della sua vita, si deduce dall’urgenza affettiva del realizzarlo prima possibile, scavalcando quindi i tempi burocratici e finanziandolo totalmente egli stesso.
Fortunato D’Amico: lo spettacolo diffuso nella rete è diventato il vero fulcro dell’opera d’arte
È difficile dare un giudizio su un’opera singola di un artista, soprattutto se bravo e riconosciuto internazionalmente come Christo, perché sarebbe necessario analizzarla nel contesto generale della sua poetica e delle finalità che con il suo lavoro l’artista si è prefissato di raggiungere. In modo sommario trovo quest’opera coerente con gli altri interventi che Christo ha realizzato lungo tutta la sua attività.
A tal proposito potrei dire qualcosa sul fenomeno mediatico al quale stiamo assistendo in questi giorni. Possiamo ormai constatare che l’installazione del lago d’Iseo è una operazione artistica di grande coinvolgimento popolare che, come sembra, attirerà in pochi giorni molti turisti, circa 500 mila, e porterà un grande economia nella zona intorno al territorio circostante. È scontato, ma non mi sembra inutile ribadire che il ridondante successo mediatico sia dovuto all’allusione creata dal nome dell’artista e dalle acque del lago: a chi non piacerebbe vivere il miracolo di camminare sulle acque come Christo? Mi piace pensare che nel loro subconscio le persone abbiano potuto leggere nel nome dell’artista anche la parola “crisi”, la stessa che a causa della finanza stiamo vivendo tutti noi a livello globale e che solo un Salvatore potrà aiutarci a venirne fuori: ci vuole proprio un miracolo!
In questa epoca siamo tutti uniti, “impacchettati”, identità imballate dentro un corpo unico che dà forma alla società di massa. Vogliamo essere protagonisti nella massa, come possiamo riscontrare in questi giorni dalle migliaia di fotografie scattate e pubblicate sui social network, che ritraggono la folla mentre cammina sulle pedane galleggianti. Tutti vogliono partecipare, essere parte attiva di un evento diventato “rito collettivo dell’attraversamento” in direzione della terra promessa. Il rischio è scambiare questo tipo di presenza con la partecipazione democratica o addirittura confondere l’iniziativa e chiamarla “arte sociale”. L’arte del millennio ha puntato a una spettacolarizzazione di se stessa senza precedenti nel passato. L’evento artistico è costruito per cercare il consenso non solo della comunità locale, come avveniva un tempo, ma anche quello della rete, cittadinanza globale invisibile, virtuale, materializzata in modo effimero dalle tecniche informatiche. Per questo l’operazione artistica è sempre di più sganciata dalla realtà e dal sito in cui interviene, anche se, come in questo caso, potrebbe sembrare strettamente attinente. L’artista non è più legato a nessun territorio e nemmeno alle sue storie e quindi ai problemi della sua gente. È inevitabile che, così facendo, l’arte centri il focus su se stessa e rimandando solo a se stessa e non più agli esseri umani, alla società e alle sue esigenze.
Giorello: il filosofo ci va di prima mattina
Christo ci fa camminare sulle acque mentre l’Altro ci camminava lui. Consiglio di provare il piacere di passeggiare sul Lago d’Iseo di prima mattina, quando i raggi del sole sfiorano le acque e incendiano i drappi arancioni. Ne guadagna l’arte e anche l’interpretazione poetica e filosofica dell’opera.
Crespi: è una perfetta operazione di marketing in modalità “selfie”
Di primo acchito direi, con Daverio e Sgarbi, che la passerella è una baracconata, a metà tra la festa di paese e il circo con la donna cannone. Anche se, da strapaesano, non mi dispiacciono le feste di popolo, specie quelle liturgiche dove alcuni archetipi esplodono come ai primordi delle nostre comunità, ridandoci il senso del nostro primitivo “stare insieme”. Nel caso della passerella questi elementi archetipici mancano, e sembra più un’operazione di marketing molto riuscita, dove tutti vogliono esserci in modalità selfie. Il che non è neppure il male assoluto, visto che quasi tutta l’arte contemporanea più sgunz si risolve in questo cortocircuito comunicativo.
La cosiddetta Land Art, credo, abbia come motivo il ragionare sul paesaggio e in questo senso l’opera di Christo è riuscita al di là delle aspettative. Molti che ci sono andati mi riferiscono che è una cosa straordinaria e non ho timore a creder loro anche se probabilmente eviterò la coda.
Omar Ronda: ma questo non è più il Christo di una volta!
Ho conosciuto Christo negli anni Ottanta quando facevo il gallerista, e l’ho avuto come artista in galleria, ai suoi tempi ho esposto alcuni progetti di impacchettamenti. Prima impacchettava gli edifici, oggi questo progetto lo trovo un po’ banalotto, sono i pontili che mettono nei porti galleggianti, poi gli metti su il suo vestitino arancione, e il gioco è fatto… Esteticamente non è brutto, vedere questa massa gialla sulle acque non è male, ma concettualmente la trovo povera: non è più il Christo di una volta! È la controfigura di Christo, un artista diverso, meno interessante.
E poi, parliamoci chiaro: il mio amico Pistoletto fa il Terzo Paradiso, lui cammina sulle acque, adesso che altri miracoli dobbiamo aspettarci dagli artisti? Con tutta questa voglia di miracoli, non vorrei si stesse avvicinando la fine del mondo…
Bros: ma l’arte pubblica è un’altra cosa. Piuttosto allora preferisco i ponti a Venezia con l’acqua alta…
L’opera di Christo, e moglie, è un lavoro di progettazione che si concretizza attraverso dei lavori di installazione al pari dell’architettura del secolo scorso. Da decenni il lavoro del duo artistico si concretizza nell’approdare in un luogo, senza spesso conoscere le tradizioni locali, per cambiarne l’aspetto. Quando immagino l’arte pubblica mi aspetto invece un gesto che tenga conto del contesto, riuscendo cosi a donare un esperienza tridimensionale al pubblico che si trova in quel luogo. Confezionare un packaging su oggetti o monumenti che da secoli fanno parte della quotidianità delle persone è un atteggiamento più pubblicitario che artistico.
Il ponte sul Lago d’Iseo è l’ennesimo esempio di quanto detto sopra, con il disvalore aggiunto dell’indotto turistico che ormai accompagna l’arte contemporanea di massa (ristorazione, pullman, code). L’appuntamento per un’esperienza di valore è rimandato alla festa del Redentore a Venezia. Lì si che un ponte fatto però da barche (dei veneziani) che collegano la Laguna alla Giudecca, con i residenti che banchettano davanti a casa propria condividendo vino e cibo con i passanti, può certamente trasformare la voglia di fare una passeggiata in esperienza vicina al concetto di arte pubblica.
Sonda: io ci sono stato. In mezzo alla folla (e non mi è piaciuto)
Sono andato a vedere The Floating Piersdi Christo. A parte la compagnia e il divertimento della gita fuori porta, l’opera in sé non mi è piaciuta molto. Forse è impossibile goderla nel contesto in cui viene proposta per la moltitudine delle folle, forse viene presentata come un’opera di Land Art ma non potendo godere l’esperienza come tale, diventa solo un’opera pop, anzi forse solo popolare. Ho anche avuto il presentimento che la vera opera celata fossimo noi, che abbiamo accettato ore di fila per poi transitare su una passatella dalla direzione obbligatoria, scrupolosamente ordinati come formiche ubbidienti che procedono tutte assieme, compatte ma senza un senso e un obiettivo nel procedere. Infine il dubbio, e se fosse il pubblico l’essenza dell’installazione? Forse rappresentiamo l’immagine riflessa del nostro vivere contemporaneo? O forse sono solo delle personali elucubrazioni nel cercare di trovare un senso più profondo a tutto ciò, un perché che si fa fatica a trovare. Una volta tornati, non ci rimane in tasca che l’opuscolo, con foto dell’installazione a veduta aerea, evocativa, invitante, solitaria avventura tra le acque del lago d’Iseo. Quella che noi poveri mortali non abbiamo potuto vivere.
Mascheroni: anch’io ci sono stato, ma in solitaria. Un’esperienza unica e impagabile. Ma è un privilegio per pochi
Ho avuto il privilegio, da giornalista, di vivere la passerella di Christo in solitudine, due giorni prima dell’apertura: quattro chilometri di moli fluttuanti, quattro chilometri di teli giallo-dalia ancora intonsi, un cielo cupo e coperto in una mattinata silenziosissima, la montagna incombente, villa Beretta sull’isola di San Paolo come fosse la location di un film giallo-padano. Tutto per me, e pochissimi altri. Sono convinto che sia stato qualcosa di meraviglioso, unico, che difficilmente risentirò nella mia vita. Poi ho visto le foto e i filmati del popolo ciabattone e vacanziero di Christo. E so che non verrei più tornarci.
La passerella di Christo è l’opera più fisica vista negli ultimi tempi di quest’epoca così virtuale. Quando ci sali, ci sei sopra, dentro, attraverso. Sotto le nubi e in mezzo al vento. Ti muovi con cautela, hai paura che il chilometrico telo steso sulla promenadeacquorea sotto di te non regga il peso di una persona, e invece ne può sopportare fino a 15mila contemporaneamente. Quindi prendi confidenza, allunghi il passo, ti guardi attorno, giri di qua e di là, sorridi. Cerchi il silenzio, immobile. Non pensi, non parli. Credo sia quello che vuole Christo. Ma ciò che vuole l’artista non è ciò che può permettersi la massa dei suoi devoti passeggiatori. Ciò che si “sente” camminando sui moli galleggianti in solitaria è completamente diverso – è un’altra cosa e un’altra opera – rispetto a ciò che si “sente” dividendo l’esperienza con altri 10, 12, 15mila chiassose e barbariche persone.
Laboratorio Saccardi: The Floating Piers? Una supercacata… galleggiante
Gherarducci (Gialappa’s Band): una folla del genere non la si vede neanche quando ci sono i saldi da Prada
Premesso che camminare sui Floating Piersnon dà minimamente la sensazione di camminare sull’acqua, bensì la sensazione di camminare su un pontile galleggiante (chiunque sia mai stato in vacanza a Sharm El Sheik ne sa qualcosa), rimane la bellezza dell’opera che rende ancor più suggestivo il lago d’Iseo e la capacità di aggregare migliaia di persone, roba che neanche i saldi da Prada sarebbero riusciti a fare…
Gastel: quello che mi emoziona è la sua capacità di entrare nello spazio e personalizzarlo
È sempre positivamente impressionante vedere un’opera di Christo. Ciò che mi emoziona di più è la sua capacità di entrare nello spazio e personalizzarlo sulla scala che normalmente non è quella dell’arte.
Boeri: la forza di Christo è di saper controllare il paesaggio
Christo è un land artistche sa lavorare sulla temporaneità, sulla durata breve dell’opera. Molto interessante, capace di controllare il paesaggio, geniale. Spazia dall’arte di impacchettare un monumento all’arte di aver concentrato l’attenzione dell’umanità rispetto al paesaggio stesso.
Piombo: è una straordinaria operazione di stilizzazione del paesaggio naturale
The Floating Piers è un’opera che gioca con la natura e col paesaggio, e in questo risiede la sua forza. Pur occupandomi da sempre di moda e di tessuti, la parte che mi interessa meno dell’installazione è proprio quella che riguarda il materiale con il quale è costruita: non so che tipo di materiale abbiano usato, e in fondo la cosa mi interessa poco.
Il suo interesse risiede invece proprio nella sua grande semplicità e sinteticità: in fondo, non sono altro che delle grandi rette che arrivano ad una piattaforma. È un’operazione di stilizzazione del paesaggio naturale, con una forte componente geometrica. Ma su queste rette la gente cammina, si siede, si sdraia, chiacchera, guarda, interagisce. In una parola, vive. Credo che questo aiuti anche ad avvicinare la gente alla natura, è un po’ come portare una ventata d’aria fresca sia all’arte che alla natura.
Tanto mi è piaciuta questa installazione, tanto poco invece mi appassionava il Christo “classico”, quello degli impacchettamenti. In fondo, credo che impacchettare qualcosa (un monumento, un ponte, un edificio) sia un atto di grande presunzione, un modo consumistico di giocare con l’arte altrui per la propria. Con la natura, invece, l’operazione è meno invasiva, più delicata. È il tentativo di andare oltre i confini, oltre la stessa natura. Ma se anche l’operazione non piacesse, in fondo dura poco, e dopo non ne restano che le fotografie, i filmati, e la memoria di chi l’ha vissuta di persona. Fa molti più danni un’opera brutta in un museo, che resta per l’eternità e può influenzare generazioni e generazioni di cattivi artisti, che un’installazione come questa, che vive solo lo spazio di una stagione.
Gaetano Pesce: indimenticabile instabilità. E soprattutto basta critiche: rischiamo di trasformare il nostro magnifico paese in un purgatorio triste
L’ultima opera di Christo mi fa pensare a delle precedenti simili esperienze, la più rilevante, quella di Mosè che guidò il suo popolo verso la libertà, camminando sulle acque del Mar Rosso. Christo, a suo modo, guida la moltitudine dei visitatori a sperimentare la libertà dal peso del loro corpo passeggiando sull’acqua. Non ho “provato” questa nuova opera dell’artista bulgaro, ma più volte sono andato dalle Zattere alla Giudecca a Venezia, su un tappeto di barche galleggianti e mobili: indimenticabile instabilità.
Ho sempre pensato che è meglio fare che non il contrario, e quindi applaudo ancora una volta all’intelligenza di Christo che usa l’arte e i suoi soldi per dare sensazioni nuove ai visitatori. Infatti alcuni di loro, amici di New York, sono andati all’apertura e sono ritornati entusiasti. Direi, concludendo, di fare attenzione a criticare la novità per partito preso: se qualcuno lo fa rischia di trasformare il nostro magnifico paese in un purgatorio triste.