Nuovo appuntamento con la compilation Rock Targato Italia– la più celebre rassegna del nuovo rock italiano, prodotta ogni anno dall’associazione Milano in Musica – in abbinamento con l’arte contemporanea. Dopo aver collaborato con molti artisti italiani e stranieri (tra gli altri, ricordiamo le copertine realizzate da artisti come Dany Vescovi, Davide Nido, Federico Guida, Felipe Cardeña, Stefano Abbiati e Desiderio Sanzi), quest’anno la compilation più ambita dalle giovani rock band italiane ha scelto di avvalersi della grafica e dell’immagine del pittore e scultore milanese Leonida De Filippi.
Una scelta di continuità: De Filippi, pittore “mediale”, nei cui quadri spazia spesso da una figurazione pop a una forma di astrazione che ricorda da vicino le griglie della grafica digitale, è infatti sempre stato legato, professionalmente, ad alcuni degli artisti già presenti nelle rassegne precedenti di Rock Targato Italia. Con Guida, Vescovi e Davide Nido, De Filippi è stato infatti tra i membri di Pentathlon (la cosiddetta “Nuova Palestra artistica milanese”), titolo di una celebre mostra che li vide protagonisti alla Permanente di Milano, una quindicina di anni fa, facendoli conoscere e apprezzare nel mondo dell’arte italiano.
Anche dal punto di vista musicale, la compilation di quest’anno si svolge all’insegna della continuità con una tradizione rock che in Italia ha avuto grande fortuna: questa edizione di Rock Targato Italia, ironicamente intitolata Ignoranza e Pregiudizio, ha infatti voluto raccogliere e ospitare musicisti che hanno partecipato o sostenuto, nelle diverse edizioni, il buon nome e la qualità della musica indipendente italiana. Oltre alle giovani band emergenti, quest’anno la compilation (giunta alla sua ventinovesima edizione) ospita infatti anche brani inediti di musicisti del calibro di Omar Pedrini (che proprio grazie a Rock Targato Italia spiccò il volo trent’anni fa con i Timoria), i Vallanzaska, i Matrioska e gli Anhima.
Il quadro di De Filippi che campeggia sulla copertina della compilation di quest’anno fa parte del progetto più recente dell’artista milanese, intitolato “Circolarity”, e rappresenta un grande cerchio colorato, che sembra catturare lo sguardo e l’energia dello spettatore verso il proprio interno, e che allo stesso tempo appare però anche come un invito a muoversi dall’interno all’esterno, quasi fossimo trasportati da una grande forza centrifuga. “Il cerchio”, spiega il pittore milanese, “è il simbolo di energie che si diramano dall’interno all’esterno, dal proprio centro a ciò che esiste al di fuori-di-noi, come simbolo di apertura all’infinito verso l’altro, verso le culture diverse dalla nostra, verso il mondo intero; ma che allo stesso tempo ci permette di concentrarci anche su noi stessi, sulla nostra persona, sull’individualità, sulla singolarità della nostra cultura, della nostra sensibilità e umanità”.
Il progetto “Circolarity” ha la sua base di partenza nei quadri che De Filippi ha cominciato a realizzare un paio d’anni fa, come sviluppo naturale del suo lavoro, nel quale utilizza da sempre l’immagine del retino fotografico, traportato però nel linguaggio pittorico, come esempio di scambio e contaminazione tra generi e linguaggi; ma, se nei quadri precedenti l’artista aveva utilizzato il linguaggio del retino per la realizzazione di grandi ritratti, paesaggi o scene tratte dalla cronaca – soprattutto di guerra –, dal 2016 ha invece cominciato a concentrarsi sul simbolo del cerchio, riducendo l’iconografia all’essenziale e approdando così all’astrazione.
Proprio pochi mesi fa, De Filippi fa aveva anche portato uno dei quadri appartenenti al progetto “Circolarity” in giro per la Cina: in un viaggio di lavoro artistico ma anche di ideale amicizia e di conoscenza, l’artista ha utilizzato uno dei suoi quadri circolari come sfondo di fronte al quale mettere in posa e fotografare persone comuni, passanti, lavoratori, studenti. Un progetto in divenire, che intendeva privilegiare il dialogo tra i popoli al di là delle barriere linguistiche e culturali.
Ora, quel cerchio diventa lo sfondo per un nuovo progetto, che vedrà il coinvolgimento di persone, etnie e popolazioni tra le più distanti: partendo dalla Cina, per approdare momentaneamente al rock, arrivando infine in terreni spesso poco frequentati dagli artisti, come le carceri, le scuole nel deserto africano e i campi nomadi. “È un progetto in fieri”, spiega l’artista, “che si sviluppa nel tempo, e che ho intenzione di far diventare sempre più itinerante: dalla Cina alla Grecia, dove a breve metterò in piedi una galleria d’arte nei campi per rifugiati vicino a Salonicco, fino all’Africa”. Mentre in Italia si presta a dare vita a una serie di laboratori, intitolati “Target Refugees”, con i rifugiati della cooperativa Ezio Onlus di Pieve Emanuele, che vedrà coinvolti trenta ragazzi provenienti da Camerun, Gambia, Eritrea, Nigeria, Costa d’Avorio e Senegal, l’artista si prepara infatti a partire per il Marocco. Destinazione: il deserto dell’Erg Chegaga, nel Sahara marocchino, dove c’è una piccolissima scuola nomade costituita da due tende, con non più di una quindicina di piccoli alunni. L’artista, con altri volontari, porterà materiale didattico, computer, medicinali e apparecchi sanitari. Ma anche arte. Per far diventare il suo cerchio dipinto “un simbolo di un nuovo esperanto, un linguaggio di pace universale, basato su un’idea che non crea differenze ma al contrario unisce e affratella”. Parola di De Filippi.