di Alex Urso
Pasquale De Sensi ha appena inaugurato una sua mostra personale all’ l’Istituto Italiano di Cultura di Varsavia intitolata Małe Limbo. Lo abbiamo intervistato per capire le motivazioni, il senso e le prospettive future del suo lavoro.
Innanzitutto: che cos’è Małe Limboe come nasce?
Małe Limbonon è una mostra costruita intorno ad un tema preciso, quanto una piccola collezione rappresentativa dei miei ultimi lavori. Questa scelta dipende proprio dalla natura istituzionale dello spazio per cui è stata pensata la mostra. Nonostante questo, nell’allestimento siamo riusciti a riprendere alcuni spunti tematici legati alla narrazione, all’interazione fra simboli all’interno di una sequenza randomica. L’idea della mostra, come sai, viene da una tua proposta di alcuni mesi fa. Io non ero mai stato in Polonia, ma non ho avuto dubbi nell’accettare la proposta. Conosco e seguo il lavoro di ricerca che stai portando avanti sulla scena contemporanea polacca, incrociandola con quella italiana, e trovo che sia utilissimo per un curatore avere l’abilità di mettere in relazione sistemi distanti e creare ponti che permettano lo scambio reciproco di informazioni e contenuti. Esattamente come hai fatto con le tue copertine su Lobodilatticee l’edizione italo-polacca di Sto*Disegnando!!!
La selezione dei lavori in mostra prevede sedici collage, tre poster e una grande tela. Inizialmente l’idea era quella di installare i lavori in maniera caotica nello spazio, cercando di creare movimento in un luogo già di per sé piuttosto rigido e formale. Durante il processo istallativo tuttavia abbiamo preferito conservare un aspetto più minimale e lineare, disponendo i lavori in brevi sequenze in modo da creare microstorie.
Negli anni passati ho esposto spesso i quadri disponendoli in ordine sparso, “a macchia”, giocando con gli equilibri che si stabiliscono sulla parete attraverso le distanze e le pause fra un pezzo e l’altro. È un approccio interessante perché è “musicale” e fornisce soluzioni illimitate, ma da qualche tempo mi ha stufato. Preferisco una disposizione razionale, che viene smentita dalla natura assurda delle immagini… è un modo per creare un doppio contrasto fra visione d’insieme e particolare. Credo che la prima cosa che salta all’occhio nell’allestimento di Varsavia sia la differenza di spessore e di carattere fra i collage e la grande tela di due metri e 60 per due metri e 10. Sono due tipi di lavori molto diversi che ho sviluppato in maniera parallela, ma che seguono percorsi divergenti, nel senso che quanto più i collage si fanno composti e calibrati, tanto più aumenta la dimensione fisica e gestuale nei pezzi su grande formato. Nella mostra presso l’Istituto abbiamo allineato i collage come in una sequenza narrativa illusoria, che viene ulteriormente coperta e interrotta dalla tela, che ne spezza il “filo”.
Quanta narrazione c’è nei tuoi lavori?
La narrazione mi interessa come struttura che pretende di collegare le immagini fra di loro, mi interessa la sua natura finalista e fatalista. Le varie tavole di un fumetto o di una via crucis sono legate fra di loro secondo uno schema di causa-effetto che tende a una conclusione e quindi a una morale. Ma questa è una pura astrazione. La realtà non segue una narrazione se non nel momento in cui viene rappresentata a posteriori come tale. Il tipo di narrazione che mi interessa è quella, ad esempio, dei romanzi-collage di Max Ernst, in cui i collegamenti fra un momento e l’altro sono creati da corrispondenze simboliche che rimangono allusive, vaghe, incidentali.
Qual è la tua formazione?
Ho iniziato da ragazzo con il disegno e la pittura, un po’ come tutti, ma anziché cercare il mio tratto personale o il mio stile, cercavo di eliminare qualsiasi dato di riconoscibilità e avvicinarmi a un tipo di figurazione il più possibile oggettiva e impersonale. La scoperta dell’automatismo surrealista basato sulle libere associazioni è stato un passo decisivo. Soprattutto la chiarezza compositiva di Magritte continua a piacermi. La sua pittura anestetica è molto vicina a quello che cerco di ottenere nei miei lavori. Per metà sogno e per metà teorema.
Da dove nasce la tua passione per la tecnica del collage?
Il collage è stata la tecnica che mi ha permesso di “farmi fuori” come autore e liberare le forme dell’immaginazione dalle mie impressioni personali. Si tratta di una operazione combinatoria piuttosto che creativa in cui io ho il ruolo di arbitro anziché di giocatore. Inoltre l’immediatezza con cui si crea un collage è molto simile al modo in cui un’idea si forma nella mente, per vie associative. La pittura invece ha inevitabilmente qualcosa di corporeo.
Sui collage talvolta intervieni con inquieti segni pittorici, conferendo tensione e instabilità alla lettura. Altre volte, invece, il collage si palesa attraverso composizioni minimali, in cui lo spazio delimitato del supporto diviene luogo di sintesi, campo neutro in cui i significati si rincorrono senza alcune soluzione. Quando senti di aver raggiunto un equilibrio compositivo? Quando senti che un collage è concluso?
Quando è concluso lo riconosco subito. Il problema è che non riconosco subito quando non lo è ancora…
Il tuo processo creativo sembra dettato da una costante necessità di contaminazione: contaminazione di linguaggi, di tecniche, di simboli e significati. In questa costante compresenza di elementi, il collage diviene sì accumulo, ma anche sintesi.
Beh, sì, prelevo immagini diverse dai contesti più disparati… cerco di non pormi limiti e di seguire diverse linee di ricerca. Come dici giustamente, c’è una fase di accumulo disordinato che segue semplicemente i criteri del gusto. In un secondo momento è la stessa tecnica del collage a richiedere una selezione e una sintesi. Non mi sono mai interessati i collage astratti che rimangono accumulazioni caotiche di frammenti. Li trovo gratuiti e tutti molto simili, ma in realtà vanno per la maggiore. Anche per questo non mi è mai interessato collaborare con altri collagisti soltanto a partire dalla condivisione della tecnica in sé.
Quanto istinto e quanto controllo c’è nella tua opera?
Il collage permette di sviluppare delle associazioni immediate e di giocare sui confini labili fra casualità e volontà, fra caso e organizzazione del caso. C’è una specie di bipolarismo fra istinto e controllo, uno scontro di correnti opposte che trova il suo equilibrio attraverso la composizione. Per composizione non intendo soltanto la giustapposizione delle aree e dei colori, ma anche tutte le relazioni di assonanza o di contrasto che si stabiliscono fra i simboli su un piano semantico.
Quale credi che sia il ruolo dell’osservatore di fronte ai tuoi lavori?
L’osservatore spesso cerca un significato che gli faccia sentire l’opera come propria, mentre nelle mie immagini non voglio rappresentare una nozione o una idea precisa riferita a un obiettivo dato. Non voglio dimostrare una tesi condivisibile o rendere poetica una mia opinione. Piuttosto quello che voglio è mostrare all’osservatore la fondamentale inconsistenza del reale, la sua dimensione soggettiva e immaginaria. Un po’ come nell’impressionismo, ma su un piano simbolico anziché atmosferico, mentale prima che sensoriale.
In quale fase del tuo percorso ti trovi?
È sicuramente una fase conclusiva, riassuntiva, in cui sto tirando le somme e scartando il superfluo prima di mettere in gioco nuove soluzioni. Le prossime mostre saranno molto diverse.
Pasquale de Sensi | “Małe Limbo”
a cura di Alex Urso
Istituto Italiano di Cultura di Varsavia, Marszałkowska 72