di Alessandro Riva
In dialetto lombardo si usa il termine “Barlafüs” per indicare una cosa che ha poca importanza, una cianfrusaglia, ma anche, se riferito a una persona, un incompetente, un buono a nulla. Singolare, ma molto coerente con l’ironia (e l’autoironia) che da sempre caratterizza il lavoro di entrambi, che Omar Ronda e Francesco De Molfetta abbiano scelto questo vocabolo per il titolo della loro bipersonale in corso a Pietrasanta, alla galleria Armanda Gori. L’idea della mostra, e di conseguenza il titolo, nascono in maniera spontanea e quasi casuale: è stato De Molfetta, a quanto racconta Ronda, a utilizzare per primo il termine “Barlafüs” per indicare gli “strani oggetti” d’arte che entrambi realizzano, in sottilissimo e precario equilibrio tra demistificazione delle icone del contemporaneo, kitsch elitario e gioco ironico e intelligente sul senso stesso del fare arte in una fase di declino delle ideologie e di crisi delle avanguardie.
“Un giorno io e De Molfetta stavamo parlando della mostra”, racconta Omar Ronda, “e, guardando le sue opere di fianco alle mie, lui a un certo punto è sbottato: a vederle tutte insieme potrebbero sembrare delle cianfrusaglie, delle cose un po’ inutili, tipo barlafüs… a me è venuta un’illuminazione: ma certo, ho detto, le nostre opere sono proprio dei barlafüs, cose inutili, allegre e spudoratamente kitsch… nella vita e nell’arte l’importante è divertirsi, la vita è corta e va presa alla leggera e col sorriso sulle labbra”. Poi aggiunge: “Peccato che oggi vadano di moda quelle cose un po’ tristi e seriosette, da geometri… noi no, noi apparteniamo a un’altra genia, quella degli artisti che non si prendono mai sul serio, che sanno ridere, far ridere e sanno anche ridere di se stessi, che poi è la cosa più difficile da fare… è molto più facile far piangere o piangersi addosso”. “È vero”, conferma De Molfetta, “le nostre opere prendono spesso spunto da quelle cianfrusaglie presenti da sempre nelle case, oggetti d’arredo appartenenti alla cultura popolare a cui tutti in qualche modo siamo legati, e che si esprime in piccoli oggetti affascinanti e kitsch: cose belle, allegre e inutili, perché l’arte di fatto è sempre allegra e inutile…”.
Come non sorridere, del resto, di fronte al cavallo zoppo di Jeff Koons rimesso in piedi da Omar Ronda in un tripudio di decorazioni “spudoratamente kitsch”, di fronte alle sue bellissime Marilyn annegate in una mano di resina colorata e attorniate da cornicette che sembrano fatte all’uncinetto anche se sono sempre e rigorosamente realizzate in plastica, e ancora di fronte alle statuette raffinate e paradossali di De Molfetta, che raffigurano Elvis ciccioni, effigi della Madonna che tengono in braccio un bambin Gesù-You Tube, barbie che vanno allegramente a spasso su motoscafi guidati da orsi giganti, discoboli che danno lo straccio sul pavimento, Pinocchi affetti da priapismo…
Di certo, non poteva trovarsi un binomio più azzeccato per dare l’idea di un’arte che sorride, ride e si fa beffe del sistema con franchezza, intelligenza e un grande senso dell’ironia, senza snobismi e puzza sotto il naso, e che proprio per questo oggi è molto ricercata dal mercato (le opere di Ronda hanno battuto prezzi anche molto importanti nelle aste, non solo in Italia, e quelle di De Molfetta, in arte Demo, oggi sono richieste da gallerie e collezionisti un po’ in tutta Italia). “Io e Demo andiamo molto d’accordo”, dice Ronda, “siamo un po’ come zio e nipote, io sono più vecchio ma da sempre faccio un’arte spudoratamente kitsch senza temere il rischio di passare un po’ per matto e di essere guardato storto quando vado nei salotti buoni nell’arte: del resto mi conoscono tutti, ho fatto mostre con gallerie di grande livello, da Sperone in avanti, e non ho complessi di inferiorità verso quell’arte noiosetta con la puzza sotto il naso che spesso va per la maggiore qua in Italia… lui invece è più giovane ma sa divertire e far divertire, ha il gusto per l’ironia, per i giochi di parole e una grande attenzione per la forma… insieme ci divertiamo e rompiamo un po’ i coglioni a chi crede che l’arte debba per forza essere una cosa seria, troppo seria”.
Entrambi hanno una predilezione per l’infanzia, i suoi giochi e i suoi riti. De Molfetta lo sottolinea spesso, ricordando quando, da bambino, diceva di voler fare “il giocattolaio”, e di essere quindi rimasto fedele in qualche modo a quella sua infantile passione, modificando e decontestualizzando giocattoli in forma artistica. Anche Omar Ronda ha più volte ricordato come la sua vocazione d’artista sia nata proprio sfogliando i suoi quaderni di bambino, che riempiva di strane facce, di espressioni bizzarre e giocose: “Devo ringraziare mia madre che ha conservato quei miei quaderni”, ha raccontato una volta in un’intervista. “Come fanno tutti i bambini, disegnavo, coloravo, plasmavo la terra o la sabbia, mi creavo dei giochi con gli elementi e gli oggetti che trovavo intorno a me. Ricordo, ad esempio, che raccoglievo i tappi di sughero, con i quali formavo dei pupazzetti, utilizzavo anche stuzzicadenti e fili di lana che diventavano capelli e barbe colorate. Ripensandoci ora potrei dire che inconsciamente avevo realizzato i miei primi omini patafisici (la corrente artistico-filosofica creata da Alfred Jarry, alla quale aderì anche Enrico Bay, ndr), ai quali facevo dei grandi occhi tondi con le puntine da disegno. I bambini hanno grande immaginazione, inventiva e creatività. Quando non sono viziati dall’overdose di giocattoli o televisione, sanno riciclare gli oggetti per trasformarli e rendere concrete le loro idee. Con semplicità, in forme rudimentali – s’intende – ma così facendo, senza saperlo, nell’infanzia, ognuno di noi, almeno una volta, avrà messo in pratica la filosofia dell’Objet trouvé”.
Anche la sua passione per Marilyn, del resto, ha radici antiche: “Ho sempre avuto un grande amore per Marilyn, l’ho amata fin da bambino… in tutti questi anni, le avrò dedicato quasi settemila quadri…”. L’altra grande particolarità che accomuna i due artisti, del resto, è proprio la loro passione per le icone della modernità: dalle Marilyn “frozen”, cioè congelate sotto uno strato di resina, di Omar Ronda, agli Elvis o ai Batman ciccioni di Demo, entrambi fanno un uso tra il parodistico, il divertito e il colloquiale dei miti contemporanei, in una sorta di giocosa demistificazione che è insieme anche una forma di rinnovamento di quegli stessi miti con i quali i due artisti “giocano”. In fondo, anche le grandi icone della modernità, grazie a loro, trovano una nuova collocazione, e forse una nuova vitalità, nel nostro immaginario. E, non a caso, sul mercato, oggi, sia De Molfetta che Ronda godono di grande successo. Come dice Ronda, del resto, “oggi o sei in gamba o vai a farti fottere, noi per nostra fortuna apparteniamo a quel gruppo di artisti per cui il mercato funziona sempre…”. Alla faccia della crisi, dei menagramo e dei pessimisti di professione.
Omar Ronda – Francesco De Molfetta | Barlafüs
fino al 30 settembre 2015
Galleria Armanda Gori Arte
via Barsanti, 7 Pietrasanta
+ 0584 71846