“Roma, turista si tuffa nella Fontana di Trevi: ‘Voglio purificarmi’. Maximulta da 450 euro per uno spagnolo”. Titola così Il Messaggero, non diversamente dal Corriere della Serae da altri quotidiani (mentre La Repubblicascrive: “Ancora oltraggi ai monumenti: turista nudo lancia fiori nella Fontana di Trevi”), per commentare la perfomance del giovane artista catalano Adrián Pino Olivera, che ieri pomeriggio, sabato 22 aprile, si è per l’appunto “tuffato” nudo nella Fontana di Trevi, coperto solo con un mazzo di fiori.
Un “bagno mistico”, lo definisce ancora Il Messaggero, sostenendo che il giovane avrebbe voluto “camminare sulle acque della fontana in cui si bagnò la bella Anita Ekberg negli anni della Dolce Vita”. Solo che lui, secondo il quotidiano romano, “voleva espiare le sue ‘colpe’ e purificarsi ‘davanti al Signore’. Così almeno avrebbe spiegato alla vigilessa che lo ha convinto, parlando a lungo con lui in spagnolo, a uscire fuori dall’acqua e a calmarsi”. “L’uomo”, continua il quotidiano, che lo definisce “un performer non nuovo a queste boutade”, “intorno alle 15.15 ha approfittato di un momento di confusione e super-affollamento dei gradoni e della piazza per sgattaiolare dentro l’acqua vestito unicamente di una tunica, un velo bianco. Poi si è denudato coprendosi solo del mazzo di rose viola. Condotto immediatamente dagli agenti del gruppo Trevi presso il Comando di via della Greca, è stato multato con un verbale di 450 euro, come previsto dalle norme vigenti. Altri accertamenti sono tuttora in corso. Appena una settimana fa un altro turista si era gettato nella Fontana di Trevi completamente nudo”.
Questa, la… nuda cronaca dei fatti. Peccato, però, che dietro all’ “oltraggio” del giovane artista catalano verso la Fontana romana vi sia ben altro che un semplice atto di vandalismo o di esibizionismo. L’artista (che proprio in questi giorni è a Roma per partecipare alla collettiva “Inediti” presso la BQB Gallery di via di Panico 23), è infatti già noto per avere utilizzato “el poder poético y político del cuerpo desnudo”, come lui stesso lo ha definito, a Firenze, agli Uffizi, nel 2014, dove si è messo a pregare, sempre nudo, di fronte alla Venere del Botticelli, e nel marzo di quest’anno a Parigi, al Museo del Louvre, dove si è esibito di fronte alla Nike di Samotracia. Provocazione? Sì, ma anche atto profondamente politico, come lo stesso artista ha spiegato recentemente in un’intervista: “l’atto di denudarmi è un manifesto di lotta contro la gran massa di complessi che ci sono in questa società nella sfera del pudore, a cominciare dal tabù del corpo”, ha detto Olivera. “Il sesso, l’eros e il piacere non vanno vissuti come un tabù, ma come qualcosa di normale e quotidiano”. Il suo è dunque prima di tutto “un atto di bellezza”, di “ritorno a uno stato naturale, materno, che è anche uno stato divino, spirituale”; ma anche un atto fortemente “provocatorio” e in qualche maniera “violento”, perché compiuto in luoghi, come i musei o, in questo caso, una fontana antica, dove questo tipo di naturalezza non è più consentita.
“Di solito scelgo i musei”, ha detto l’artista, “perché sono governati e gestiti da uomini che sono la perfetta rappresentazione di una società in cui tutti dobbiamo starcene buoni e tranquilli, muoverci a piccoli passi senza toccare nulla… Dentro questi musei e dentro queste istituzioni, che sono l’esatta metafora della società in cui ci tocca vivere, a volte c’è qualcuno che prende l’iniziativa di mostrare un’altra realtà possibile, e di relazionarsi con l’arte da questa prospettiva. Attraverso questi atti, quello che faccio è di risvegliare in un certo senso l’energia di queste opere. I musei sono un cimitero di cadaveri, io faccio rivivere opere che altrimenti appaiono morte”. Ma perché, dunque, oggi ha scelto un luogo pubblico e aperto come la Fontana di Trevi? “Ho scelto la Fontana”, ci spiega Olivera, “perché per me rappresenta la Fuente Madre, una fonte fortemente legata con il femminile: la Fontana si trova a Roma, la città-madre dove nasce la nostra cultura. Tutti noi conserviamo nella nostra memoria la splendente Anita Ekberg ne La Dolce Vitache si bagna nelle sue acque, la cui morbida superficie blu mi fa pensare proprio al mare della Nascita di Venere, il quadro per il quale provo un amore intensissimo e al quale porto costantemente omaggio. Per questo, ieri, nella Fontana ho compiuto un rito di fede: alla mia dea Venere, a mia madre, al mio credo e alla mia origine”.
Ecco, dunque, l’interpretazione corretta di quello che i giornali hanno superficialmente bollato come un “oltraggio” alla Fontana: un atto di fede, un omaggio, un invito a una sorta di risveglio interiore, di ritorno a uno stato primordiale e selvaggio (non a caso, nella sua performance fiorentina di fronte alla Venere, l’artista aveva una mano dipinta di rosso, simbolo della parte oscura e selvaggia che coviamo dentro di noi), ma anche di uscita simbolica dalle regole e dalle costrizioni sociali cui siamo sottoposti fin dalla nascita, a cominciare dall’atto di coprirci; e, infine, anche un atto profondamente politico, contro i musei, le istituzioni artistiche e, più in generale, contro l’intera catena di leggi non scritte che governano i nostri comportamenti: “La società contemporanea occidentale limita la nostra libertà, ci spinge a ragionare entro schemi precostituiti”, ha detto ancora l’artista. “Bisogna liberarsi di questa maschera, presentarsi nudi al mondo: questa è la chiave della vera felicità”.
“Il mondo, un tempo, era come il Giardino delle delizie”, sostiene Olivera, “un mondo in cui il piacere non era ancora un tabù”. Poi è venuto il Cristianesimo, che “ha imposto una completa colpevolizzazione dell’eros. E siccome inconsciamente siamo tutti cristiani, in quanto la nostra cultura è cristiana, noi tutti consideriamo il sesso e il corpo come qualcosa di sporco. Io, con le mie performance, voglio ricordare che il corpo non è qualcosa di sporco, ma qualcosa di bello. Perciò quello che sto facendo adesso è in sostanza una messa in discussione del Cristianesimo”.
Il corpo nudo, dunque, come simbolo del ritorno alla naturalezza originaria, non mediata dalle regole sociali, economiche, di potere. Un inno alla libertà, oltre che alla spiritualità: non a caso, sempre nella performance di Firenze, di fronte alla Venere del Botticelli, Olivera aveva concluso la sua azione rivolgendosi al pubblico gridando: “Freedom, freedom!”. Anche in quel caso, i giornali avevano capito ben poco della performance dell’artista: “Nudo davanti alla Venere di Botticelli: il turista va in estasi e si spoglia agli Uffizi”, titolavano infatti i quotidiani all’indomani della sua azione. Ma, anche in quel caso, Olivera non si era scomposto più di tanto: “Non mi importa quello che la stampa scrive di me”, aveva detto tempo dopo, in un’intervista. “Ognuno è libero di pensare quello che vuole e io non pretendo di cambiare l’opinione di nessuno. Potete chiamarmi pazzo o esibizionista ma c’è, senz’altro, chi è riuscito ad andare al di là del mio gesto banale: tutti possono spogliarsi, ma sono pochi quelli che riescono a sentirsi davvero liberi”.
“Il corpo”, ha detto ancora Olivera, “per me è un linguaggio che mi collega con uno stato materno e femminile, perché tutta la realtà attuale entro cui viviamo l’hanno costruita gli uomini. Per questo, per me, provocare è mostrare l’altra realtà possibile, quell’energia che muove tutto, che è di segno femminile, grazie alla quale gli esseri umani che sono connessi alla natura mostrano il proprio corpo in modo letterale, senza aver bisogno di mettersi niente addosso”. Niente, o quasi. Al massimo, un mazzo di fiori.