Né artista né migrante: a Cagliari è di scena l’uomo. Con i Politicians Contemporary Arts

La performance in stile Abramovic? A Cagliari, si colora di tinte politiche e sociali. “The man is present (A Tribute to Marina Abramovic)”, performance a sfondo artistico-poetico da poco svoltasi negli spazi del Lazzaretto, all’interno dell’ultima edizione del festival Alig’Art, mette infatti insieme il “linguaggio” e i temi della Abramovic – quelli di “The Artist is present”, in cui la performer rimaneva seduta immobile per 7 ore, fissando negli occhi chi si sedeva di fronte a lei – con l’attivismo sociale e politico. Non a caso, a mettere in scena la singolare performance è stato un collettivo di artisti, i Politicians Contemporary Arts, nato un paio d’anni or sono con l’obiettivo di “dar voce, forma e sostanza, espressione ed espressività, alla comunità multiculturale-multietnica-globale”.

Marina Abramovic

Proprio come nella performance della Abramovic, gli spettatori erano invitati a entrare a piccoli gruppi dentro una stanza bianca, e, a turno, uno tra loro andava a sedersi di fronte a un performer. A guardare negli occhi il pubblico, questa volta, però, non c’era (solo) un performer, ma (anche) un migrante: ovvero, il performer, di pelle scura, era appunto un migrante, che a sua volta fissava negli occhi, stando immobile, al buio e in silenzio, gli spettatori che partecipavano all’esperimento. La domanda (retorica) che accompagnava il titolo della performance era: “Sei capace di guardarmi negli occhi senza vergognarti dei tuoi pensieri”? Il che, ovviamente, presupponeva che chi si sedeva di fronte al migrante fosse, anche involontariamente, schiavo dei propri pregiudizi, tra la pietà, l’imbarazzo, il fastidio, il turbamento o la violenza repressa che la questione delle grandi migrazioni inevitabilmente porta con sé. “L’uomo e l’uomo”, spiegano gli autori della performance, “si scoprono l’uno di fronte all’altro, incrociano i propri sguardi e le proprie vite per tre minuti, un tempo di per sé breve diventa infinito”. Insomma, una chiamata ad essere e rimanere umani, a conoscersi e ri-conoscersi come uomini, prima che come artisti, spettatori, migranti o quant’altro la società ci porta a diventare. etichettandoci e dividendoci in categorie.

Ma chi sono i Politicians Contemporary Arts? A fondare il gruppo sono tre artisti e agitatori culturali: Carlo Salvatore III Laconi, Dino Serra e Mustafa Robert Bolleh. Cagliaritani i primi due, molto attivi sotto il profilo dei progetti pubblici e sociali di valorizzazione culturale dei territori (Carlo Salvatore III Laconi) o dei progetti poetico-artistici (Serra), eritreo invece il terzo, Mustafa Robert Bolleh. La sua biografia narra che Mustafa sia fuggito da un orfanotrofio eritreo, nella città di Aseb, all’età di 7 anni, “asfissiato dalla miseria e dalle regole”, quindi, “nascosto clandestinamente su un camion”, abbia viaggiato fino ad Asmara, dove è vissuto “di espedienti” ai margini della società, sniffando colla e trovando da mangiare come e dove poteva. Soltanto più avanti, arrivato in Europa, tra Spagna e Italia (dove, narra sempre la sua biografia, ha conosciuto ed è stato per un certo tempo assistente dell’artista di origine spagnola Felipe Cardeña), ha cominciato a lavorare sul rapporto tra arte contemporanea, performance e attività sociale.

The Man is Present

Ora tutti e tre insieme formano i Politicians Contemporary Arts, gruppo “per concezione e natura eterogeneo, multidisciplinare e aperto nell’accezione più ampia del termine“, che si ispira agli autori di “poesia popolare”, spesso misconosciuti o morti senza che nessun loro verso venisse pubblicato, sparsi ovunque per il mondo, dall’Africa all’Asia fino alla Sardegna. Poeti come Mohammed Daijimef, che Mustafa conosce nella drammatica traversata verso le coste siciliane, dove il giovane poeta perderà la vita, stremato da giorni di stenti, di freddo e di inedia. “Lo conobbi la sera stessa dell’imbarco, quando divise con me l’ultimo tozzo di pane duro che ancora aveva in tasca, che io istintivamente rifiutai”, racconta Mustafa. “Non batté ciglio, mangiò il suo mezzo e nuovamente ripeté la sua offerta, questa volta fissando i miei occhi, grondanti rabbia e disperazione. Tossì forte ma accennò un sorriso. Non seppi resistere. Fu l’inizio della nostra breve ma intensa amicizia. Senza sapere né capire il perché lo stavo ad ascoltare quando a fatica apriva il suo piccolo quaderno nero a quadri rossi e leggeva i suoi versi. Non conoscevo bene la sua lingua, non sapevo neppure leggerla, mi bastavano il ritmo, il suono, il canto, ne ero ipnotizzato. Gli cedetti la mia coperta, visto che la tosse non accennava a smettere”.

Il seguito è un racconto tristemente noto: la morte, le discussioni sull’imbarcazione strapiena, infine l’eliminazione del cadavere (“Il suo corpo venne gettato a mare da uno scafista senza scrupoli, preoccupato del possibile panico e di una eventuale epidemia”), e poi l’indifferenza, l’oblio: una delle moltissime vittime collaterali di una delle tante guerre che funestano il pianeta. “Prima di morire, però”, ricorda Mustafa Robert Bolleh, “volle ricompensarmi facendomi dono dei suoi tesori più grandi: il suo prezioso quaderno ed una scatola con delle lettere. Fu l’inizio della mia seconda vita”. Da questo momento, infatti, Mustafa decide di darsi all’arte, alla poesia, alla scoperta e valorizzazione dei mille poeti e artisti misconosaciuti, nascosti o dimenticati. L’incontro coi due cagliaritani fa il resto. Da qui la nascita di quello strano gruppo, che il mondo dell’arte fatica a comprendere e ad assimilare, che sono i Politicians Contemporary Arts. Che dell’arte fanno una questione poetica ma (anche) molto politica.

A.R.