Aldo Mondino, viaggio Milano-Calcutta con calembour

Aldo Mondino (1938-2005) è stato uno dei grandi maestri dell’arte italiana, in bilico tra concettualismo ironico e ridefinizione del mezzo pittorico e plastico. Ora il suo talento eclettico, irriverente e fantastico torna, grazie a una doppia mostra, alle gallerie milanesi Bonelli arte contemporanea e Giuseppe Pero. «Aldo Mondino. Milano, Venezia, Calcutta» è il titolo della doppia esposizione. Per l’occasione, ripubblichiamo un articolo-intervista, con visita alla sua casa-laboratorio nel Monferrato, uscito nei primi anni Duemila sul mensile “Carnet Arte”.

Aldo Mondino
Aldo Mondino

La prima cosa che Aldo Mondino mostra a chi capita nella sua casa tra le colline del Monferrato, non è, come si potrebbe credere, la famosa piscina in stile arabo che prende buona parte del salotto, né le statue a forma di uomo-pesce, o di elefanti ammontincchiati uno sull’altro, o di donna con due bocce da bowling al posto del seno (titolo: “La mamma di Boccioni”), o ancora di busto senza testa – ma rigorosamente con cappello -, che lo decorano, e neppure i bovindi in vetro e senza tende su cui, come gli ospiti imparano presto a loro spese, si affacciano tutti i bagni della casa, bensì la sua sterminata collezione di autografi.

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L’artista, infatti, ne possiede più di cinquecento, per lo più sparsi per i muri della sala da pranzo e di qualche stanza adiacente, e tra questi compaiono lettere e biglietti di scrittori come Samuel Beckett, Agatha Christie e Victor Hugo, poesie inedite come quella, bellissima, battuta a macchina in inglese su un foglio a quadretti da Montale, misteriosi e bizzarri fogli scritti a caratteri geroglifici da Max Ernst, un biglietto di Mallarmè che prega un pittore inglese di nome Brown di dar lezioni di disegno a “un certo Monet”, un pezzo di musica palindroma di Arrigo Boito, e poi foto firmate di toreri (altra grande passione dell’artista), lettere istoriate da Sironi e molto, molto altro. “La collezione l’ho iniziata a Parigi, negli anni Settanta”, ricorda Mondino. ”Passavo sempre davanti a un negozietto antiquario e vedevo in vetrina una lettera di Céline. Così, un giorno, avendo appena incassato i soldi di un quadro, mi fermai e chiesi timidamente se per caso fosse in vendita: pensavo fosse lì solo in esposizione. Con mia sorpresa il negoziante mi disse che era invece in vendita e mi fece un prezzo basso. ‘Meno di una lito di Baj’, commentai stupito, e la comprai. Da allora mi ha preso la mania”.

Aldo Mondino, Dervisci, 1993, olio su linoleum, cm 190x140.
Aldo Mondino, Dervisci, 1993, olio su linoleum, cm 190×140.

Già in questo aneddoto c’è, per chi lo conosce, tutto il personaggio Mondino: nell’aver creduto inizialmente una cosa per un’altra (molte sue sculture iniziano proprio così: come quando, in India, scambiò, anche a causa della sua miopia, una vecchia macchina da cucire per una scimmia, e così elaborò la macchina da cucire-scimmia, o come quando scambiò delle reti per la pesca in immense stelle di David, che gli ispirarono un’altra scultura); e poi nella decisione fulminea e irrazionale, nell’aver approfittato dell’occasione di un’improvvisa vendita di quadri, e, soprattutto, nell’eclettismo e versatilità degli interessi più svariati, che coinvolgono, tra le altre cose, la musica, la scienza e la corrida, la floricultura, la gastronomia (molte sue sculture sono fatte di cibo, dallo zucchero al cioccolato), la danza, la filosofia e la religione, l’arte e la letteratura – con una spiccata propensione per il giallo e una passione assoluta per Simenon, di cui possiede centinaia di copie dei suoi innumerevoli libri sparsi un po’ per tutta la casa.

Il personaggio Mondino è, infatti, prima di tutto, e forse prima ancora che uno dei grandi artisti italiani (ha 65 anni compiuti ma sembra essere arrivato ora nel suo momento più felice, corteggiato come non mai da mercanti, critici e collezionisti, e invitato a preparare una grande mostra antologica a Ravenna), una leggenda vivente: quella di artista fuori dagli schemi, pittore che non frequenta i pittori, con una propensione al concettuale ma pochissimo amato dai concettuali, vicino all’arte povera ma tenuto rigorosamente fuori dal giro poverista, esuberante e ironico fino al parossismo, divertente e irriverente, amante del gioco e del calembour, surrealista senza scuderia fuori dal tempo e dalla storia, innamorato dell’oriente e di Parigi ma radicato quanto mai nella sua piccola campagna italiana, picaresco e intimamente guascone, intellettuale privo della spocchia di molti intellettuali, eclettico e generoso nel darsi, nello sprecarsi e nel parlare di tutto con tutti: prima di conoscerlo, chiunque abbia bazzicato il mondo dell’arte (o anche solo il Monferrato) avrà già sentito parlare di lui da un amico capitato per caso in campagna e trovatosi improvvisamente a bere vino con lui in una bettola fumosa, o da qualcuno che l’ha conosciuto al tempo in cui bazzicava Brera o ancora da un giovane pittore che racconterà le sue esperienze formative nel suo celebre atelier, dove si è fatto le ossa quando era poco più che un ragazzino (da qui, infatti, sono passati, con funzione di assistente, molti dei protagonisti più in vista della nuova pittura italiana, da Alessandro Bellucco a Federico Guida a Dany Vescovi a Davide Nido e Coda Zabetta).

Mondino in sella a un cammello nel 1985 di fianco al Giamaica
Mondino in sella a un cammello negli anni Ottanta in zona Brera

O, ancora, a qualcuno può essere magari capitato, una quindicina d’anni fa, di averlo visto fare il giro di Brera su un cammello, dentro al suo inconfondibile cappotto arancione che a quel tempo non lo abbandonava mai (“Avevo appena preso i soldi di una vendita, e volli dare una grande festa al Giamaica che restasse memorabile. Chiamai danzatori, acrobati e molti amici. Il difficile fu trovare il cammello, poi finalmente si fece vivo il proprietario di uno zoo privato che ce lo spedì a Milano in camion. Fu un bello spasso, farmi il giro delle strade che conoscevo a menadito, ma a dorso di cammello come un principe africano!”). O, ancora, qualcun altro ricorderà di una Biennale di Venezia di qualche anno fa (era il 1993), nella quale l’artista portò nientemeno che trenta dervisci e li fece ballare per ore sotto il sole (“mi piacque subito”, dice, “la dimensione di raggiungimento dell’estasi attraverso la danza dei dervisci, è una dimensione che si trasmette, in parte, anche a chi li guarda: così li contattai e li feci venire a ballare in Biennale. Fu un’esperienza entusiasmante”).

Quella di Mondino, del resto, è una figura insolita, sebbene il suo percorso sia tutt’altro che atipico: figlio della più classica borghesia torinese, un bel giorno si ribellò al padre scegliendo di non seguire le sue orme. “Fu dopo il servizio militare”, ricorda. “Un lunedì mattina dovevo decidere: o mi alzavo e andavo a lavorare in ditta con mio padre, o restavo a letto. Scelsi la seconda strada, e decisi di fare l’artista”.

Aldo Mondino, Tappeti Stesi, 1997, olio su eraclite, cm 175x135
Aldo Mondino, Tappeti Stesi, 1997, olio su eraclite, cm 175×135

Iniziarono così le prime prove, i primi bizzarri quadri giocati già sul filo dell’ironia e del calembour: come i Quadri a quadretti, composti su grandi tele a quadretti che i visitatori dovevano, come in un gioco per bambini, colorare, o i quadri coi palloncini, che sembravano prendere il volo sui muri della galleria. Qualche anno dopo, però, da artista d’avanguardia che era, amico e compagno di strada di Pistoletto, Merz e Gilardi, oltre che di galleristi d’avanguardia come Sperone e Stein, finito sotto i riflettori per il clima tra il ludico e il pop del suo lavoro (un suo quadro comparve anche nel celebre volume “Pop Art” di Lucy Lippard), finì per rimanere isolato, quasi costretto all’esilio: “Era il 1969”, ricorda, “e io, stufo del clima supponente di certa avanguardia, ne decretai la morte, e decisi di riprendere in mano i pennelli. Per un anno non feci altro che una serie di autoritratti, ognuno a un’ora precisa del giorno, che chiamai i King. Purtroppo sbagliai di dieci anni. In un attimo mi ritrovai isolato, guardato come un pazzo da critici e direttori di musei. Dovetti emigrare: qua in Italia, i galleristi non appendevano quadri alle pareti neanche a pagarli”.

Aldo Mondino, Dervisci, Biennale di Venezia, 1993, olio su linoleum, cm 190x240.
Aldo Mondino, Dervisci, Biennale di Venezia, 1993, olio su linoleum, cm 190×240.

La sua mèta diverrà allora Parigi, dove aveva già passato la prima giovinezza, studiando arte. “Me ne sono stato 10 anni senza rientrare in Italia”, ricorda. “E avendo molto tempo a disposizione, poiché non vendevo quadri, visitavo moltissimi musei e gallerie… tutto sommato, fu un periodo molto utile”. Quindi, col clima mutato grazie anche all’avvento, se così si può dire, della Transavanguardia, Mondino tornò in Italia. “L’atteggiamento generale era mutato… si poteva respirare, e non esser guardati di traverso solo perché si teneva in mano i pennelli”.

Da lì, la strada di Mondino è tutta in discesa, e il successo arriva come una valanga. Pochi anni dopo, inizia il suo periodo orientale, che dura, a sprazzi, tutt’ora. “Sentivo che qualcosa stava cambiando… era un’epoca che finiva, e ne iniziava un’altra. E come sempre nei periodi di crisi, si tende a rifugiarsi nell’esoterismo o nell’interesse per le altre culture. Anch’io, in fondo, non sono sfuggito a questa regola”. Ma, ancora una volta, è un malinteso, una  bizzarra associazione di idee a farlo approdare all’Oriente e al sud del mondo. Era il periodo in cui aveva nuovamente abbandonato Milano per rifugiarsi nella sua bizzarra casa in Monferrato, dove oggi vive assieme alla sua compagna (anch’essa artista, e figlia d’artisti) Jessica Carroll. “Avevo fatto un quadro sul ritorno alla campagna, una citazione da Millet… lo chiamai Millet et une nuit. Pronunciando questa parola, m’è scattato qualcosa in testa, e sono partito per il Marocco, di punto in bianco”. Da allora, l’interesse per le altre culture e per l’Oriente, in Mondino, non s’è mai spento. Dai dervisci agli ebrei ortodossi (che l’hanno affascinato al punto da fargli riscoprire i riti, le dinamiche e la religione dei suoi antenati), dalla cultura araba a quella africana, l’universo di Mondino è in continua ricerca di stimoli e di suggestioni che possano arricchire la sua pittura o il suo sguardo sul mondo.

Alessandro Riva

 

«Aldo Mondino. Milano, Venezia, Calcutta».

22 novembre 2o13 – 1 febbraio 2014

Galleria Giovanni Bonelli
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