Me gusta Soñar. Sulle tracce di Felipe Cardeña, per le strade de L’Avana

di Manuel de Varga

Finalmente on line il film che ricostruisce “la vera storia di Felipe Cardeña”. A partire dalla fine di gennaio 2014, infatti, la versione originale del cortometraggio “Me gusta Soñar, La verdadera historia de Felipe Cardeña”, girato a Cuba dall’artista e videomaker Desiderio nel 2012 e dedicato alla vita e all’opera del misterioso (e controverso) artista di origine ispanica Felipe Cardeña, è stata messa permanentemente sul web “per dare la maggiore visibilità possibile al progetto”, spiega Desiderio, che ha appena presentato il suo cortometraggio qui in Cile (a Valparaíso, nel corso della Bienal del Fin del Mundo, e in contemporanea a Rio de Janeiro e a San Pietroburgo, ndr). “Mentre con i classici video d’artista spesso si mette sul web solo il trailer, in questo caso”, aggiunge l’artista, “abbiamo deciso di privilegiare la possibilità che la storia di Felipe, il mimo, quello vero, fosse divulgata in modo ampio. Perché è una storia identitaria, fortemente simbolica e fantastica, che, attraverso la vicenda di un personaggio fuori dalle regole e dagli schemi, racconta in realtà anche molto altro: L’Avana, i suoi abitanti, i tanti personaggi e comprimari che vi gravitano, provenienti un po’ da tutto il mondo… è un universo un po’ folle e a tratti allucinato, che non ha nulla a che fare con l’arte ‘ufficiale’, quella delle grandi manifestazioni internazionali e delle Biennali: un universo che sta a metà tra arte di strada, musica, spettacolo, danza, teatro spontaneo… un mondo fatto di gente piena di illusioni, di fantasie e di sogni che quasi mai si avverano… ma che qualche volta, come nel caso di Felipe, invece finiscono, come per magia, per diventare realtà”.

Il regista Desiderio Sanzi a L’Avana mentre gira il fim “Me gusta Soñar, La verdadera historia de Felipe Cardeña”

 

Ma che storia è quella di “Me gusta Soñar”? È la storia (vera) di un mimo, Felipe appunto, che si trova catapultato nel mondo dell’arte quasi per caso. Un ragazzo giramondo (nato in Spagna nel 1979) che ha sempre fatto il mimo di strada attraversando le strade dell’Europa, dell’Asia, dell’America Latina, sognando però di “sfondare” anche nel mondo dell’arte (quello vero), seminando per i muri delle città da cui passava strane creazioni a collage apparentemente ingenue, coloratissime, kitsch, fatte di fiori e di forme semiastratte. Ma la storia del film non è quella del “dopo”, con Felipe invitato alle mostre, alla Biennale di Venezia e preso a modello in laboratori di “arte condivisa” e “popolare” in tutto il mondo, con gruppi di ragazzi (la “Felipe Cardeña Crew”) che “ricostruiscono” i suoi quadri nelle strade o che li fanno diventare icone di strada (com’è avvenuto nel 2013 in Brasile, nella più grande favela di Rio de Janeiro, il Morro do Alemão, e nel 2014 in Cina con i ragazzi delle Accademie d’arte).

Una scena del film, in cui si vede un poster di Che Guevara in mezzo ai fiori realizzato da Felipe Cardeña appeso in una strada de l’Avana.

Ma è, invece, proprio quello che sta “prima” del suo ingresso nel mondo dell’arte, e della sua trasformazione in personaggio pubblico. La storia avventurosa e romantica di un mimo che, ancora per nulla famoso e sempre in giro per il mondo a fare gli spettacoli di strada (a L’Avana, coi suoi colleghi e amici della “Giganteria”, la più grande associazione di artisti di strada dell’isola caraibica), sognava però già di diventare artista, un artista vero, con la “A” maiuscola: e, in questo suo sogno lontano, amava giocare a rimpiattino con la mitologia del proprio personaggio: creando confusione, raccontando storie inverosimili e folli, divulgando di volta in volta aneddoti o ingigantendo episodi della propria vita che i suoi stessi amici e colleghi non sapevano mai se fossero veri o completamente inventati… insomma, creandosi, prima ancora di diventare ufficialmente un “personaggio”, la propria personale mitologia privata. Personaggio mediatico e “spettacolare” a dispetto di se stesso, il mimo Felipe aveva insomma, fin da quando era piccolo, l’abilità e la voglia di spiazzare, di creare diversioni, di “reinventare” eternamente la propria storia e il proprio passato.

Ma come nasce il film? L’abbiamo chiesto a Desiderio, che è qui Cile, a Valparaíso, ospite della Bienal del Fin del Mundo. “Non ho mai avuto”, spiega l’artista, “una vera traccia su cui lavorare. Sapevo solo che il ‘vero’ Felipe, quello su cui poi si era successivamente costruito il progetto artistico Felipe Cardeña, era un mimo e che aveva vissuto a lungo a Cuba, pur essendo originario di Balaguer, in Spagna. Niente di più. Io, che a L’Avana avevo vissuto diversi anni, facendo avanti e indietro con l’Italia, ho pensato di andare a seguire le sue tracce. L’idea mi piaceva: mi sembrava un bello spunto per un film, anche simbolico di molte vicende artistiche e letterarie: quasi una storia d’altri tempi, quando l’arte era più vicina alla dimensione mitica del sogno, e meno attenta alle esigenze e alle spinte del marketing e del mercato… questa incertezza sulla vera identità del personaggio, quel suo voluto nascondersi, il fatto che molti giornali addirittura dicessero che il nome Felipe non appartenesse neppure a una persona vera… tutto questo mi ha intrigato, mi ha spinto ad andare a Cuba, dove si diceva avesse abitato, e ad approfondire il personaggio”.

E come ti sei mosso per seguire le sue tracce? “Di reale non avevo molto, avevo solo degli spunti, delle voci… persone che dicevano di averlo conosciuto, di averne sentito parlare, di sapere dove aveva abitato, in che studio avesse lavorato. Compagni di lavoro che ne parlavano, e spesso anche ne sparlavano, perché troppo ‘strano’, ambiguo, esagerato anche per loro, che pure è gente di spettacolo e anche di strada, dunque abituata a vederne di tutti i colori… Così, muovendomi tra la dimensione del documentario e quella della video arte, ho creato un percorso fatto di supposizioni, idee, pensieri, sogni che lo potessero presentare e rappresentare. Poche indicazioni concrete, ma tutto scaturito dalla fantasia collettiva di averlo visto o forse no. Qualcosa che mi ha permesso di intrecciare la mia ricerca e sviluppare un piano narrativo dove inserire il mimo Felipe nella sua azione o riprendendo il suo modo di lavorare, tra collage, fiori, fogli di carta e iconografie immaginifiche e fantastiche, come il Ganesha, divinità molto amata da Felipe, o i tanti simboli orientali che da sempre ne scandiscono l’immaginario”.

 

Il rapper di strada Sicario, voce narrante del film.

Un inventario di tipi, di voci e di storie, dunque? “Anche, ma non solo. Io del resto non lavoro mai con uno storyboard preciso e impostato fin dall’inizio: parto da una nebulosa e pian piano le immagini e le storie prendono forma, esattamente come quando dipingo. In questo caso è stato molto difficile, c’era in fondo poco tempo (un paio di mesi per girare) e tante idee sovrapposte, che si mescolavano, tante storie che via via si sovrapponevano, si confondevano… diciamo che mi sono avvicinato al risultato finale per gradi, per approssimazioni. Con un po’ di fatica ma anche con molto, molto divertimento”. Nel film, infatti, si incontrano personaggi presi dalla strada, come negozianti, venditori dei mercati, ambulanti, carrozzieri o artigiani che lavorano sul marciapiede, e poi baristi, ristoratori, gestori di chioschi… ma anche persone ben conosciute a L’Avana. Come Yoss, scrittore di fantascienza già vincitore di diversi Premi internazionali (ha pubblicato anche in Italia con Feltrinelli), che ragiona con Desiderio sulla differenza tra “vero”, “verosimile” e “falso” nell’arte e nella letteratura; o come Edesio Alejandro Rodríguez Salva, famosissimo compositore di musica elettronica, inventore di uno stile originale, fusione di sonorità a metà tra rumba, rap, hip hop e funky (a Cuba è quasi una star), ripreso, come per caso, di sfuggita, tra le bancerelle di un mercato; o Sicario, rapper di strada che esercita la sua arte per le strade de L’Avana, e che nel film diventa il narratore, il filo conduttore dell’intera vicenda di Felipe, rocambolescamente narrata a ritmo di rap.

Ma perché quel titolo, così misterioso e fiabesco, che allude all’universo del sogno, che dice e non dice, e sembra mescolare incessantemente verità e finzione? “Il titolo”, spiega Desiderio, “nasce dall’idea che un artista, un mimo, non abbia solamente un corpo, una faccia o un paio di gambe per ballare… è nel nostro immaginario, si mescola tra il vero e il falso, tra un ricordo o il sogno di averlo incontrato. Prende forma da chi lo vorrebbe incontrare domani o diventare quello che lui, al di là di ogni aspettativa, nel corso della sua vita è diventato…”. Un tributo al sogno, e alla nostra capacità di sognare, sempre e comunque. Malgrado le circostanze, malgrado gli steccati, le avversità, le costrizioni, i pregiudizi. Anche di questo, soprattutto di questo, è fatta l’arte.

(traduzione di Tilde Arcelli)

La proiezione di “Me gusta Soñar – La verdadera historia de Felipe Cardeña”  è organizzata in occasione de:

Bienal de la Fin del Mundoa Valparaíso (Chile)

In collaborazione con:

Italian Factory(Italy)

Savina Gallery(San Pietroburgo, Russia)

Graphos:Brazil(Rio de Janeiro, Brasile).