Massimo Festi e l’instabile metafora del corpo

Sesso e morte, ovvero Eros e Thanatos: sono le due facce – apparentemente opposte e in realtà spesso in perfetto quanto instabile e reciproco equilibrio − delle pulsioni vitali fondamentali: quella del principio del piacere, e quella della morte. I lavori di Massimo Festi indagano da sempre i territori ambigui e fluttuanti dell’identità, del mascheramento, delle fragili barriere che ognuno di noi si costruisce per asserragliarsi meglio nel fortino delle certezze unanimemente condivise e dei codici sociali.

Massimo Festi, Circus of Love, 2014.

Ma a volte basta poco – uno strappo nel banale ritmo della quotidianità, una faglia nel percorso solo apparentemente lineare della propria vita – per trovarsi al di là dei rassicuranti confini del proprio “io” riconosciuto e pubblico.

Respiro
Masssimo Festi, Respiro, 2013.

Ecco allora un proliferare di sguardi ambigui celati sotto il poco rassicurante contorno di maschere d’ogni sorta, di corpi privi di un’identità predefinita e stillanti fuoco, sesso, sangue, carnalità, angoscia e violenza malrepressa… Corpi nudi, mascherati, impacchettati, offerti, offesi, lasciati alla deriva degli sguardi, delle manipolazioni e dei desideri altrui… i corpi che Massimo Festi mette in scena nelle sue ambigue e sconvolgenti visioni, senza concessioni né ammiccamenti ad alcuna forma di piacevolezza o di suggestione estetizzante, sono i nostri corpi privati e mai pubblicamente rivelati, i nostri corpi segreti e segretamente intrisi di desideri indicibili e irrappresentabili, corpi dimenticati, martoriati e (proprio per questo) inconfessabilmente sacralizzati, come in un antico rito d’iniziazione o di passaggio, al quale nessun occhio estraneo sia concesso d’assistere, e men che meno di partecipare.

Alessandro Riva