di Giuditta Elettra Lavinia Nidiaci.
Ma l’amor mio non muore è un film del regista romano Mario Caserini del 1913, considerato dai critici uno dei film muti maggiormente significativi nell’Italia degli anni che precedono la Grande guerra. Ma questa è un’altra storia.
Ma l’amor mio non muore è anche il titolo di un’installazione luminosa del collettivo francese Claire Fontaine, esposta nel marzo del 2012 alla galleria T293 di Roma e della quale il collettivo stesso scriveva: «Che noi amiamo il comunismo – e che lo amiamo ancora – vuol dire che per noi il futuro esiste e non è soltanto la proprietà privata dei dominanti di oggi o di domani.
Vuol dire che l’amore che alimenta il passaggio del tempo, che rende possibili i progetti ed i ricordi, non è possessivo, geloso, indiviso, ma collettivo; che non teme né l’odio né la rabbia, non si rifugia disarmato nelle case, ma percorre le strade ed apre le porte chiuse».
Ricordando queste parole ho pensato subito ad alcuni versi del brano Emilia paranoica dei CCCP contenuto in un album e in una raccolta del gruppo guidato da Giovanni Lindo Ferretti, rispettivamente 1964-1985 Affinità-divergenze fra il compagno Togliatti e noi – Del conseguimento della maggiore età e Enjoy CCCP – Fedeli Alla Linea:

Emilia di notti, dissolversi stupide sparire una ad una
Impotenti in un posto nuovo dell’ARCI
Emilia di notti agitate per riempire la vita
Emilia di notti tranquille in cui seduzione è dormire
Emilia di notti ricordo senza che torni la felicità
Emilia di notti d’attesa di non so più quale amor mio che non muore
L’Emilia a cui si fa riferimento è chiaramente la regione che da sempre ha sviluppato un forte legame con l’ideologia comunista. Giovanni Lindo Ferretti, nel scrivere il brano prima e nell’interpretarlo poi, mostrò parte della sua disillusione ma anche la speranza che i tempi potessero tornare ai vecchi fasti.
È quello che alcuni si augurano ancora adesso, a distanza di tanti anni da quelle copertine cult.