di Ardengo Soffici
Il faut être absolument moderne, diceva Gustavo Courbet: e diceva una sciocchezza o una banalità.
Diceva una sciocchezza se intendeva che l’artista deve idolatrare il proprio tempo ed ammirarne gli spiriti. La storia c’insegna che i più grandi creatori hanno sempre fatto il contrario: hanno sempre cioè disprezzato il proprio tempo, che giudicavano troppo degenere dall’antico splendore onde la loro anima era tutta circonfusa e che tendevano per proprio conto a perpetuare, con la coscienza di non riuscirvi che in parte minima (mentre poi, questa loro umiltà appunto, gli faceva invece capaci di ritrovare nuove forme di perfezione). C’è anche che l’essenza dell’arte è la nostalgia e il ricordo, né si può rimpiangere o ricordare in luce poetica ciò in mezzo a cui viviamo.

Diceva una banalità, se intendeva che nell’opera dell’artista deve rispecchiarsi lo spirito del tempo nel quale egli vive. Giacché, in questo senso, a nessuno è possibile non essere moderno, cioè del tempo suo. Sia rivoluzionario o reazionario, verista o simbolista, il pittore o il poeta sempre incarnerà, e necessariamente, i gusti o le idee del tempo suo: ne incarnerà le verità o gli errori, le sane aspirazioni o le aberrazioni; ma la sua espressione sarà onninamente tinta del colore spirituale proprio del momento o dell’ambiente in cui egli agisce. Anche se s’ispirerà al passato, anche se copierà ciò che altri hanno fatto in epoche antiche o remotissime, egli non potrà farlo che in un certo modo, e questo modo sarà quello particolare del tempo suo.
Ma tant’è. “I più imbecilli”, diceva Moréas, “vogliono essere uomini moderni. È una maschera che mettono alla loro stupidità. Come se noi potessimo essere altro che uomini moderni”.
Sta di fatto che l’importante è fare opera sincera e bella, cioè viva. Être absolument moderne, être de son temps, non significa niente se poi si è mediocri o nulli.
Ardengo Soffici, Periplo dell’arte – Richiamo all’ordine, 1928.