Ottant’anni di vita e quasi altrettanti di pittura racchiusi in 120 metri quadri di tela, da dipingere in 25 giorni di “lotta con la materia e col colore”. È la sfida che Ercole Pignatelli, pittore di lungo corso amatissimo da critici e storici dell’arte come Raffaele Carrieri e Luigi Carluccio, pugliese di nascita ma milanese d’adozione da oltre sessant’anni, ha accettato di mettere in scena pubblicamente, e che avrà luogo a partire dal 5 novembre 2015 fino al 29 dello stesso mese.
Titolo, fortemente simbolico, serio e ironico allo stesso tempo, “Le fatiche di Ercole”. Sede della singolar tenzone, la Triennale di Milano. Luogo in cui sviluppare la lotta, un ring “estroflesso”, creato appositamente per lui dal designer Fabio Novembre, nel quale le persone si siederanno al centro della sala e il pittore, muovendosi lungo le pareti della sala stessa, sarà libero di creare il suo immenso “dipinto autobiografico”. I temi affrontati nel ciclopico lavoro? “I tre classici temi che ho affrontato sempre nei miei dipinti”, racconta Pignatelli. “I fiori, i nudi femminili, e le architetture della mia terra, le masserie avvolte nel paesaggio pugliese”. “Questo è uno dei miracoli della pittura”, raccontava del resto il pittore tempo fa in un’intervista: “poter riconoscere degli elementi comuni anche a sessant’anni di distanza, come un fil rouge che segue tutto il lavoro… fin dai miei primi quadri, c’erano già certe atmosfere di oggi, certi elementi così tipicamente del sud, anche certe figure di donna, le forme tondeggianti, e poi i colori forti, le terre, una drammaticità tutta mediterranea…”.
Già, perché Pignatelli è sempre stato molto legato al paesaggio mediterraneo, quello in cui ha passato l’infanzia, benché sia approdato a Milano quasi sessant’anni fa (“a quel tempo Milano era favolosa, tutto era mezzo distrutto dalla guerra, c’erano macerie da tutte le parti, ma c’era anche un fermento, un entusiasmo, una voglia di ricominciare tutto da capo straordinario”, racconta, ricordando gli anni passati tra bevute e discussioni al Bar Jamaica e cene con galleristi come Cardazzo e con artisti come Fontana, Klein, Manzoni…). E, della sua terra, sono sempre rimasti gli echi nella sua pittura: le masserie immerse nel sole di puglia, le palme, i limoni, le viti, il clima caldo del sud Italia… “Credo che ogni uomo sia figlio della terra che l’ha generato. Non credo che ci si possa liberare delle proprie radici: esse tornano sempre, in un modo o nell’altro. Così tornano le mie, di radici, attraverso i colori, le forme, quelle masserie, quei paesaggi assolati e quelle Siccitàdi cui sono così ricchi i miei quadri. Perché li metto al centro dei miei quadri? Non lo so, escono da soli, come un richiamo ancestrale della terra d’origine che spinge per uscir fuori. Alla pittura, del resto, non si comanda mai. È una necessità di vita, energia vitale allo stato puro, e come tale si impone al mondo, e persino al suo stesso creatore”.
La stessa energia e la stessa impellente necessità che gli ha fatto accettare la scommessa che il designer Fabio Novembre, assieme ad alcuni amici (tra gli altri il figlio Luca Pignatelli, artista di punta dell’attuale scena artistica italiana, e Giuseppe Lezzi della M77 Gallery) gli hanno proposto: dipingere in pubblico, per 8 ore al giorno, in una sede esclusiva come quella della Triennale di Milano, una tela gigante, di 40 metri lineari per 3 metri di altezza, che racchiudesse idealmente l’intero suo percorso pittorico. E nella quale sviluppare, appunto, i tre temi che hanno caratterizzato l’intera sua produzione.
“Fiori, masserie e nudi saranno le linee-guida che seguirò nella stesura dell’opera, ma senza bozzetti preparatori o composizioni preparate a priori. Non sarebbe nella mia natura, per me dipingere vuol dire mettermi costantemente in gioco, lottare con la materia e con il colore, inventare ogni giorno da capo quello che andrò a dipingere sulla tela”. E proprio la metafora della lotta e dell’agonismo è l’idea che ha seguito Novembre per il suo omaggio a Ercole Pignatelli alla Triennale: col ring come luogo esclusivo (e simbolico) della creazione artistica, e una foto-simbolo, studiata e realizzata appositamente nello studio del designer, in cui l’artista è riprodotto come un boxeur, di spalle, subito prima del combattimento. “Io vedo questo ring come una specie di oasi, dove io creerò, combatterò e vivrò per 8 ore al giorno, dalle 10 del mattino alle 8 di sera, e il pubblico, la gente, carovane ideali di persone provenienti da tanti luoghi diversi si fermeranno a curiosare, a guardare, ad abbeverarsi, trovando un po’ di ristoro in un frutto, un fiore, un po’ del sole della mia terra…”. Ad affiancare Ercole nel suo lungo “combattimento” pubblico ci saranno due giovani assistenti, studentesse dell’Accademia di Brera, che lo aiuteranno nell’impresa. La colonna sonora di questa lunga performance? “Molta musica sinfonica. Forse cambierà a seconda dei temi che affronterò di volta in volta. Le fughe di Bach quando affronterò i nudi femminili, Vivaldi per i fiori, e poi Brahms, Stravinskij, Rostropovich…”.
Di certo, non sarà uno spettacolo noioso, né tranquillo. “Lo so, molti miei colleghi, alla mia età, difficilmente avrebbero accettato una sfida del genere. Ma io mi nutro di vitalità e di energia. Dove c’è caos, stress, io alimento la mia energia vitale e creativa”. Quel che è certo che, per Ercole Pignatelli, dipingere è davvero una fatica senza fine. Anzi, una fatica di Ercole.
Alessandro Riva
Ercole Pignatelli | Le fatiche di Ercole
performance live
tutti i giorni tranne il lunedì
dalle 10 alle 20
Triennale – Palazzo dell’Arte
Sala Impluvium
Viale Emilio Alemagna 6
+39 02724341