di Silvia Fabbri e Sabina Spada
Ha senso parlare di 8 marzo anche per l’arte contemporanea? L’artista donna è in qualche maniera ancora discriminata, o comunque meno avvantaggiata? Ha meno accesso al mercato e al potere in ambito artistico, o ha pari diritti e pari opportunità rispetto ai suoi colleghi uomini? E soprattutto, ha senso parlare, in qualunque modo la si voglia mettere, di “arte al femminile”, di una specificità dell’arte prodotta dalle artiste donne, magari con una maggiore propensione a temi etici e sociali, o con una maggiore disponibilità alla libertà espressiva e linguistica, o, alla fine, l’arte è arte e basta, al di là di qualsiasi definizione di genere, e le definizioni tra arte maschile e femminile sono prive di senso? In occasione della giornata internazionale della donna, abbiamo chiesto ad alcune artiste donne, italiane e non solo, un loro parere su questi temi, per cercare di indagare, attraverso le parole delle dirette interessate, il rapporto tra lo specifico femminile e l’arte contemporanea.
Ecco cosa ci hanno risposto.
Chiara Dynys: La donna ha una maggiore attenzione al sociale
Credo che le donne siano state molto penalizzate, ma ora molto meno. Diciamo che adesso c’è un atteggiamento più internazionale anche in Italia. Episodi di discriminazione ne ricordo tanti, ma non è bello raccontarli, meglio dimenticarli, così si superano, si volta pagina e si annullano. Ho avuto e ho, però, aiuti da donne. Per esempio vorrei citare Emanuela Baccaro, Danna Olgiati e Marionne Hollenbach, Candia Camaggi, e non sono certo le uniche. Donne che stanno davvero dalla parte delle donne che stimano.
Sul piano dell’impegno “etico” del lavoro artistico, credo che la donna artista abbia uno sguardo più “attivo” sulla società in generale. La donna artista agisce sul sociale col suo lavoro. Mi viene in mente il mio lavoro “Sipario”, dove nel 2008, prima dei conflitti in Medio Oriente, denunciavo i diversi livelli di energie (anche parossiste) e di depressione in Occidente e in Medio Oriente.
Come figure di donne artiste a cui ho guardato, cito Louise Bourgeois, Meret Oppnheim e Katharina Fritsch fra i contemporanei. Penso che non a caso sono tutti nomi stranieri. L’Italia con la sua cultura cattocomunista è stata ed è ancora un po’ più maschilista di altri Paesi. Credo che anche per questi motivi poche donne abbiano lavorato sul tridimensionale.
Quanto a libertà espressiva, non credo che si tratti di una caratteristica eminentemente femminile: la libertà, quando c’è, può appartenere a tutti: uomini e donne senza nessuna preclusione di età. Capita a volte, infatti, che gli artisti giovani siano più conformisti di quelli storicizzati. Ti faccio un esempio: credo che un grande innovatore sia Giulio Paolini, che non è né donna né giovane.
Silvia Levenson: Troppe poche artiste nelle aste e nei musei
Naturalmente esiste anche nell’arte una forma di discriminazione. Personalmente non mi sono mai sentita discriminata, nessuno mi ha mai detto, come si faceva negli anni ’70, “non posso prenderti in galleria perché ho già una donna artista”, ma quello che vedo io è molto più sottile e per questo, forse più forte. Stavo leggendo che nella collezione del MART di Roverto solo il 12 % sono opere di donne, in quella del Maxxi, su 157 artisti totali, il 33 % è donna, e anche nella Biennale di Venezia grosso modo siamo fra il 20 ed il 33% di presenza femminile. Io non credo che le donne debbano essere “protette”, ma non penso nemmeno che gli artisti maschi siano migliori delle artiste donne. Se vai alle accademie o alle università di design, la maggioranza sono ragazze. Eppure qualcosa di misterioso accade fra il mondo dello studio e il mondo del lavoro, perché nelle aste, nei musei, nel mondo “ufficiale” dell’arte, le donne sono sempre una minoranza. Negli Stati Uniti, le Guerrilla Girls ogni anno puntano il dito sulle esposizioni del MOMA, del Whitney Museum ed in generale sui musei americani, elencando le “sviste” sull’inclusione di artiste donne nelle mostre che comunque sono sullo stesso livello dei nostri musei). Sicuramente non è solo una questione che riguarda il mondo dell’arte, ma chiama in causa un modello sociale che penalizza la maternità, e che ancora oggi vede negli uomini un investimento più sicuro. Bisognerebbe fare un collettivo con il compito di monitorizzare questo fenomeno anche in Italia. Sono curiosa di vedere, per esempio, quante donne avrà invitato Vincenzo Trione, autore della ricerca “L’arte delle donne” dove mette in evidenza queste diseguaglianze, quest’anno nel “suo” Padiglione Italia.
Per quanto riguarda una propensione a fare un lavoro maggiormente “etico” e “sociale”, del lavoro, non sono sicura che sia una caratteristica prettamente femminile. Sicuramente il femminismo, con l’idea che “il privato è politico”, ha influenzato il mondo dell’arte, ma credo che le tematiche etiche e sociali siano affrontate da artisti uomini e donne in ugual modo. Piuttosto sono stanca degli stereotipi, delle mostre dell’8 marzo con solo donne, della “sensibilità femminile”, perché io non voglio pensare che la soluzione sia il ghetto, né essere complici di amministrazioni comunale e musei che aprono le loro sedi alle donne solo l’8 marzo per dare una specie di “contentino” e sentirsi a posto per un anno. Da un po’ di tempo ho deciso di non accettare più inviti per mostre per sole donne per l’otto marzo.
Invece mi è piaciuta molto la protesta di un gruppo di uomini turchi, che per protestare contro la violenza di genere si sono travestiti di donne, con le gonne e tacchi alti. È questo coraggio che mi aspetto dagli uomini artisti. Come si fa a percepire come “normale” che alla Biennale di Venezia le donne siano solo circa il 25, 30%? E come mai siamo sempre noi a parlare del tema, quando invece è un dibattito che chiama in causa i meccanismi del mondo dell’arte, curatori, galleristi e dealers?
Recentemente ho letto che il primo libro di poesie nella storia della umanità è stato scritto da una donna, la sacerdotessa sumera Enheduanna, che ha vissuto 2.300 anni prima di Cristo. Eppure solo adesso queste informazioni cominciano a venirne fuori, perché la storia naturalmente è stata scritta dagli uomini che avevano la percezione che le donne dovessero avere un ruolo subalterno. Dunque a questo punto, dopo tanti anni di società maschilista, è difficile immaginare cosa sarebbe successo se tutte le donne artiste avessero avuto le stesse opportunità degli uomini. Sicuramente sarebbe stato un mondo più vario e interessante, forse più divertente, ma questa ahimè è solo un’ipotesi. Siamo figlie/i del nostro tempo, e purtroppo mi sembra che, finché il modello sociale sarà una proiezione del mondo maschile, le donne saranno una minoranza nel mondo dell’arte, avranno le quotazioni più basse nelle aste e si troveranno sempre a dover scegliere fra lavoro e famiglia. Già è importante parlarne, come stiamo facendo adesso.
Sul piano del lavoro, non so se ci sia maggiore libertà espressiva nel lavoro delle donne artiste: forse le donne a volte hanno più coraggio nel mettersi in gioco. In Italia ogni tre giorni una donna è ammazzata dal suo partner o ex partner, e tante donne hanno lavorato sul tema, eppure pochissimi artisti uomini, che naturalmente condannano questi fatti, hanno sentito che è anche il “loro problema”. Inoltre credo che ci siano artiste donne bravissime e mediocri, e idem per gli artisti uomini. Il problema sono le percentuali. Perché se nel mondo dell’arte sono rappresentati grosso modo 75 % di artisti uomini e 25 % di artiste donne, facendo due conti semplici, vediamo molti più uomini artisti mediocri in rapporto alle donne artiste. Kiki Smith in un’intervista diceva che per molto tempo aveva cercato di usare dei materiali “seri” tradizionali per la scultura per non sentirsi dire che la sua arte era “cosa di ragazze”, finché ha capito che i materiali che le interessavano in quel momento erano la carta, la ceramica, il vetro, tutti materiali non tradizionali per creare il suo proprio linguaggio. Per fortuna nostra è tornata a usarli con ottimi risultati.
Paola Pezzi: L’arte non ha steccati di genere
Premetto che, naturalmente, devo tutto alle mie ave, che hanno lottato e sofferto per ottenere il diritto di essere donne, e tutto ciò che siamo oggi lo dobbiamo a loro.
Verso la fine degli anni Novanta, appena ventenne, scrissi a una nota critica d’arte (attivista femminista) una lettera, in cui, spiegando la mia natura artistica, rifiutavo la partecipazione a una mostra solo al femminile, ritenendo che l’arte non ha sesso, che l’artista è un angelo, che un’opera d’arte riuscita è tale e basta, sia essa maschile o femminile, senza distinzioni di sorta. Nel corso degli anni, facendo vedere il mio lavoro in studio, parecchi interlocutori mi dicevano sorpresi: “Fai un bel lavoro… peccato che sei donna!”. Sinceramente non mi son mai posta il problema, non capivo nemmeno cosa volessero dire, io ero un’artista e basta.
Non ho mai fatto discriminazioni, la vita di un’artista è sempre stata dura, la creazione artistica comporta molti sacrifici, ma si fanno volentieri, si risponde come a un segnale divino e si procede senza tentennamenti, con coraggio, lottando, perseguendo la propria libertà d’espressione, irrinunciabile come la vita stessa.
Credo che ognuno di noi, su questa terra, è un mondo, credo nell’individualità dell’arte (anche se oggi anch’essa è globalizzata da un sistema sempre più forte), dove ognuno è un tassello fondamentale.
Florencia Martinez: Com’é che nessun artista maschio parla di femminicidio?
Tra gli episodi di più o meno velata discriminazione, ne ricordo uno che sembra una barzelletta, e invece è successo veramente. Non farò nomi, dico solo il luogo e la data: Fiera di Forlì, 2013. Mi presento da parte di un critico a una galleria dell’Emilia Romagna, e la risposta dei galleristi (padre e figlio, ma soprattutto il padre, un personaggio che sembrava uscito da “Amarcord” di Fellini) è stata questa: “Noi non lavoriamo con donne. Come vedi esponiamo solo uomini”. In un primo momento ho pensato fosse uno scherzo. Invece era tutto, drammaticamente vero.
Un altro esempio invece me l’ha raccontato una critica d’arte, che si è vista spostare “a data da destinarsi” una mostra di otto artiste donne, che avrebbe dovuto tenersi in uno0 spazio pubblico milanese, il cui tema sarebbe stata la paura. Quando lei ha chiesto spiegazioni al funzionario di turno, si è sentita dire, come spiegazione, che l’ente che avrebbe dovuto promuoverlo (non ricordo bene se fosse Regione, Provincia o Comune, ha poca importanza) doveva realizzare prima un’altra mostra dedicata alla disabilità, perché, parole testuali, “prima vengono i disabili, poi le donne”. La mostra sulle donne, rimandata a data da destinarsi, non si è poi mai fatta. Evidentemente, la disabilità “tirava” di più oin termini di visibilità politica.
Per quanto riguarda le tematiche del lavoro artistico, non trovo che ci sia una distinzione netta tra tematiche “maschili” e “femminili”: certo, è difficile trovare un artista uomo che parli di tematiche femminili come la violenza, il femminicidio, ecc., anche se qualcuno lo fa. Amo molto i percorsi solitari delle artiste che poi emergono proprio per la forza e la potenza del lavoro, non per mettersi in lotta con altri.
Tra le artiste donne amo molto il lavoro di Maria Lai, di Kiki Smith, di Louise Bourgeois, di Diane Arbus, ma anche quello di Frida Khalo e di Shirin Neshat. Di sicuro penso che il lavoro delle artiste donne abbia una libertà espressiva che a quello degli uomini a volte manca.
Svitlana Grebenyuk: Finalmente non dobbiamo più spogliarci per dimostrare che siamo libere
Credo che oggi come oggi in Europa non esista alcuna discriminazione verso la donna. Il fatto però che donna prima o poi decida di costruire una famiglia potrebbe suscitare un timore riguardo agli investimenti su un’artista donna. Ma è una questione relativa.
Sono felice che al giorno d’oggi la donna non debba più spogliarsi per dichiarare la sua libertà “artistica” e non abbia più bisogno di mostrare attraverso il proprio corpo “sofferente” o “compromettente” di essere alla pari con un uomo libero.
Per quanto riguarda le tematiche del lavoro, la donna in se è una creatura pacifica, la società e l’etica spesso non funzionale turba anche la mente di una donna, ma ora anche la donna può avere la sua opinione e creare le premesse per il cambiamento.
Un esempio eccezionale ed esemplare di mentalità femminile universale e antica è la storia di Lady Jane Grey, che fu regina d’Inghilterra per soli 9 giorni, piena d’amore verso l’umanità e Dio, ma incapace di cambiare l’eterna ingiustizia creata verso il povero e il debole. Ora invece la donna può cambiare in meglio questo mondo. Amen.
Per quanto riguarda la libertà espressiva, non vedo differenze tra l’arte maschile e femminile.Tra i nomi di artiste che amo, mi viene in mente una grande protagonista come Artemisia Gentileschi, che artisticamente è superiore a tanti pittori della sua epoca. Credo che quello delle artiste donne sia come un libro sfogliato ma non ancora letto con attenzione.
Eloisa Gobbo: La strada è stata lunga ma la lotta non è ancora finita
Credo che la parità di genere in questo, come in altri settori, non sia ancora raggiunta e lo dimostrano dati oggettivi. In ogni parte del mondo, quando si analizzano le quotazioni delle artiste rispetto a quelle dei colleghi maschi, sono sempre mediamente inferiori, a parte naturalmente qualche eccezione. L’essere donna quindi è ancora uno dei fattori discriminanti, come lo sono l’età, le preferenze sessuali, la razza e altro. Ci sono galleristi in Italia e all’estero che hanno nella loro scuderia solo artisti uomini, possibile che in tutto il mondo non ci sia un’artista donna altrettanto brava? Personalmente non sono mai stata apertamente discriminata, perché queste cose si fanno ma non si dicono, né tanto meno si raccontano in giro.
Non credo però che esistano tematiche “femminili” e “maschili”. A volte si vedono opere che possono far pensare che l’autrice sia una donna, ma è vero anche il contrario. Così come non credo ci sia una maggiore propensione alla libertà stilistica da parte delle donne. Un tempo la discriminante poteva essere la forza fisica, infatti non esiste una corrispondente di Bernini o Canova, artisti cioè che scolpivano il marno, lavoro per sua natura molto faticoso. Oggi le nuove tecnologie e un cambio di mentalità che dà importanza più all’idea, non al fatto che l’opera sia fatta a mano dall’artista, ha appianato le distanze fra i due sessi.
Le donne sono artiste probabilmente da non più di cinquecento anni, da quando cioè Sofonisba Anguissola lascia un primo esile segno nella storia dell’arte. Gli uomini lo sono da molto di più se ancora oggi possiamo studiare le opere di autori come Fidia, Policleto, Prassitele e Lisippo tra i tantissimi altri. Da questa prospettiva, il cammino fatto in poco più di cinque secoli è forse notevole, questo non significa però che alle donne basti. È difficile immaginare contesti sociali diversi dal nostro passato, ma è chiaro che se nei secoli scorsi i maggiori collezionisti nonché storici dell’arte e critici erano uomini che sostenevano altri uomini, cioè gli artisti, la storia non avrebbe potuto essere diversa.
Barbara Nahmad: Lo sguardo femminile è più aperto ai deboli
Per quanto riguarda la discriminazione, ho un aneddoto divertente. Ero assieme a un amico e si parlava proprio del rapporto controverso tra sistema dell’arte e donne artiste, e a me è venuta spontanea la battuta: “eh, certo… le donne sono i negri dell’arte…”, e lui, di rimando: “cosa bisogna dire di te, allora, che sei anche ebrea e comunista!”, e siamo scoppiati a ridere. A parte gli scherzi, un po’ di differenza ancora c’è, ma sempre meno. Alcune gallerie in Italia non amano troppo relazionarsi con le artiste donne, forse è il mercato ad essere un po’ conservatore. Ma rispetto alle donne nei paesi islamici o in Africa, personalmente qui mi trovo bene.
Per quanto riguarda il lavoro, un occhio più attento alle problematiche dei deboli e degli oppressi è “connaturato” allo sguardo femminile, questo nella vita, in generale. Io però non metterei insieme le cose. La dimensione artistica è slegata da differenze di genere, se un’opera convince o desta meraviglia, dipende dalla forza e dall’intensità che ha saputo trasmettere.
Penso che oggi la sfida sia allontanarsi dall’obbligo della comunicazione e della visibilità a tutti costi, e ricercare una distanza dalle cose. Questo perché i “modelli” attuali non trasmettono alcun valore interiore, bensì misure esteriori alle quali tutti cercano di corrispondere, anche impiegando mezzi violenti. Le donne devono essere più libere e basta.
Personalmente, molte figure di artiste mi hanno attirato, per la loro forza e modestia: soprattutto mi ha sempre dato da pensare Louise Bourgeois, che ha tanto atteso prima di essere riconosciuta per il suo valore. Le sono tutti passati davanti, ignorandola, lei indomita ha resistito e, in tardissima età, è arrivata al successo. Deve essere stata un’impresa titanica. Finisco con una citazione di Wilma Scott Heide, che diceva che “Il solo lavoro per cui una donna non sarà mai qualificata è la donatrice di sperma”.
Tomoko Nagao: Ma in Europa la cultura maschile è ancora dominante
Mi sembra che gli uomini non amino parlare di affari con le donne, in Italia. Si preferisce parlare di business “da uomo a uomo”. È difficile per una donna infilarsi in questo meccanismo. Penso che questo sia una conseguenza del background della cultura e della società: ad esempio a Milano, dove attualmente vivo, c’è un clima più conservatore rispetto al Nord Europa, ma se il confronto è con l’Italia del sud, già le cose vanno decisamente meglio.
Credo che questa sia una peculiarità dei luoghi in cui c’è alla base una cultura in qualche modo di “mafia”. Nella cultura mafiosa, le questioni di business sono trattate unicamente tra uomini, le donne sono tagliate fuori. In Italia la cultura mafiosa, latente o no, ha ancora una forte valenza. E nella cultura mafiosa chi non ha potere né denaro è tagliato fuori, esattamente come sono escluse dagli affari le donne. Perché la discussione sulla questione femminile è la stessa che riguarda il potere nella società.
Credo che ci siano due grandi distinzioni nella cultura dell’arte contemporanea di oggi. C’è la cultura maschile (della paternità) e la cultura femminile (della maternità). In Giappone, dopo la Seconda guerra mondiale, abbiamo avuto un incremento di cultura femminile rispetto al passato. L’attitudine della cultura giapponese è diventata più dolce, morbida, semplice e veloce e facile da capire. È come la nostra società avesse rinunciato alla cultura maschile. In Europa, invece, la società è ancora dominata dalla cultura maschile o della paternità.
Per quanto riguarda le tematiche affrontate dalle artiste donne, penso che dipenda molto a seconda dell’artista. Io ad esempio nel mio lavoro utilizzo come soggetti i simboli e le icone di consumismo e della società capitalista, oltre che le icone della storia dell’arte: la mia è una sorta di critica della società di massa, anche se non è solo questo. Sto cercando di bilanciare gli elementi “femminili” con quelli “maschili” nel mio lavoro. Ad esempio utilizzo due diversi linguaggi: quello pittorico e quello digitale, con elaborazioni di immagini al computer. Quando dipingo, credo di utilizzare un linguaggio più “femminile”, formalmente più libero. Quando utilizzo il computer, invece, mi concentro sulla strategia formale, sulla chiarezza dell’immagine e sulla composizione del lavoro, in un modo più “maschile”. Ho sempre avuto grande interesse e ho imparato molto dai lavori degli artisti uomini, perché hanno costruito, con molta determinazione e chiarezza, la loro strada nell’arte. E so che la storia dell’arte è fatta soprattutto dalle loro opere. Però amo molte artiste donne: persino troppo. Per esempio amo moltissimo il lavoro di Yayoi Kusama, grande protagonista dell’arte giapponese contemporanea, che ha avuto un rapporto difficile con la società causato dai suoi problemi mentali. Ma questa è stata anche una grande strategia per il successo della sua arte.
Carla Mura: Basta con modelle e showgirl: meglio le artiste!
Credo ci siano ancora problemi di inserimento e riconoscimento reale per le artiste nel mondo di oggi, ad esempio le percentuali degli uomini che espongono in gallerie sono molto più alte rispetto a quello delle artiste donne. I motivi sono molteplici, e dipendono dai singoli casi, e anche delle diverse interazioni e rapporti. Per quanto riguarda le tematiche del lavoro, penso che sia le artiste che gli artisti uomini siano attenti a problemi sociali e alle tematiche etiche. La sensibilità e le diverse esperienze di vita di ogni artista fa la differenza sui temi da scegliere, da sposare, da trattare e quindi da sottoporre al pubblico sia come sostegno, sia come causa, sia come grido d’allarme a seconda del tema. Credo che nell’arte contemporanea si faccia molta fatica a prescindere dal contesto prettamente maschile. In Italia si ha più attenzione alle donne che si muovo in altri settori rispetto a quello dell’arte, come le stiliste, le modelle, le showgirl, le attrici e le cantanti. Sarebbe bello se iniziassero a dedicare le copertine dei magazine alle artiste brave, che possono essere un modello per giovani perbene, per ragazzine studiose e volenterose. Artiste che spieghino la sensibilità nei rapporti, la correttezza, l’onestà e che facciano riferimenti ai grandi nostri maestri d’arte che ci ricordano la bellezza del mondo. Artiste come Giosetta Fioroni che diventa “conosciuta” alla soglia dei settant’anni o Carol Rama che viene ricordata in pochissime occasioni. I materiali utilizzati da ognuna di noi sono totalmente proprio di noi stesse. A me non piace il rame, lo trovo freddo, utilizzo il filo, ho sperimentato vari materiali e sento di esprimermi bene con il filo di cotone, i suoi colori e la sua consistenza. Non penso sia il contesto sociale che cambi il corso della scelta del materiale utilizzato per la vita da un artista. Io ho scelto un materiale che mi appaga, che mi fa fare quello che decido e voglio, e riuscirei a trovarlo in qualunque parte del mondo. Credo che la differenza stia nelle sensibilità degli artisti, sia le donne che gli uomini possono essere e sono a volte persone straordinariamente sensibili, attente e concrete così come ci sono donne e uomini che non lo sono. Gli uomini e lo donne hanno lo stesso cuore. Gli uomini e le donne meritano lo stesso riscontro. Ci sono artisti che utilizzano materiali difficili come il marmo, o l’acciaio, come Jan Fabre o Ai Weiwei, ma il progetto può essere realizzato da un uomo così come da una donna.
Ciriaca + Erre: Donne nell’arte, un’Apartheid senza fine
Penso che sia giusto riflettere sul difficile clima sociale e culturale per la donna in generale, consideriamo che fino al 1981 in Italia era ancora in vigore il delitto d’onore, che solo nel 1996 lo stupro è riconosciuto come delitto contro la persona e non semplicemente un’offesa della moralità e del buon costume, il diritto al voto è arrivato solo nel 1948 in Italia, solo nel 1971 in Svizzera.
Per quanto riguarda l’arte, consideriamo che nelle accademie d’arte europee le donne non erano ammesse nelle lezioni di disegno del nudo, e che si esortava le donne a non farsi irretire dalla smania di voler eccellere in qualcosa. Si affermava che l’ingegno l’istruzione e la cultura erano ben graditi solo se favorivano le virtù morali ma erano un pericolo da schivare se le distoglievano dalle cose importanti o le conducevano nel “ginepraio delle lusinghe e dell’ammirazione”.
Fortunatamente oggi siamo in un momento storico di grandi cambiamenti e opportunità, e le cose sono molto cambiate. Anche se in molti paesi, purtroppo, la svolta si farà ancora attendere. Penso che il cammino per una nuova identità femminile, cominciato e sviluppatosi in maniera esponenziale nel corso del Novecento, dopo millenni di silenziosa subordinazione, richieda ancora determinazione e consapevolezza, in quanto scardinare secoli di sottomissione non è né semplice né scontato. Su questo tema sono molto sensibile, tanto che uno dei miei progetti in corso è proprio una mostra e un video sull’identità e la violenza sulle donne. La discriminazione, nemmeno tanto sottile, sicuramente non dichiarata, esiste anche nel mondo dell’arte. Per fare un esempio, le quotazioni di riconosciute donne artiste (come anche nel caso delle donne manager retribuite circa 40% in meno rispetto ai loro colleghi maschi) sono nettamente inferiori a quelle di artisti uomini di pari livello. Quanto ad episodi personali… ne cito un paio: alcuni anni fa, una galleria mi ha comunicato la cancellazione di una mostra a tre mesi dall’apertura, dicendomi chiaramente che avendo scoperto che avrei partorito in quel periodo, nonostante i lavori fossero quasi pronti, loro ritenevano che per me sarebbe stato difficile…
Quando ho avuto il secondo figlio, poi, sono venuta a conoscenza di una frase detta da un art dealeruomo a una collezionista: “Bisogna vedere se Ciriaca Erre vuole fare la mamma o l’artista”. Quanto alle tematiche, sicuramente la donna è per sua natura meno incentrata su se stessa rispetto all’uomo, e questo la porta ad avere uno sguardo più ampio e di conseguenza più sociale. Personalmente, amo il lavoro e la forza di molte donne artiste come anche di molti uomini. L’energia e la determinazione di alcune artiste mi è sicuramente di esempio. Per citarne solo alcune che toccano le mie corde, seppur con lavori molto diversi: Valie Export, Sophie Calle, Gina Pane, Mona Hatoum, Marina Abramovich, Shirin Neshat, Agnes Denes, Marinella Senatore, Marlene Dumas. Penso a Carol Rama, le cui opere furono talmente anacronistiche da risultare inaccettabili, e la sua prima personale nel 1945 fu bloccata e le opere sequestrate. Penso a Louise Bourgeois, che è diventata famosa molto avanti con l’età e nonostante 3 figli, e che nel suo libro Distruzione del padre / Ricostruzione del padredichiara che “essere giovane e carina non aiutava una donna nel mondo dell’arte, poiché l’ambiente mondano e il mercato erano in mano a donne ricche. E che nonostante la professione e la personalità del marito non la prendevano sul serio, in quanto lei non era socialmente utile come ‘artisti buffoni’ maschi in grado di intrattenere e affascinare la corte”. Tuttavia, non amo le suddivisioni e credo che essere artista significhi andare oltre il proprio sesso. Riconosco però che le donne hanno sicuramente, anche nel loro privato, un modo differente di percepire ed esprimere le proprie emozioni.
Per finire vorrei citare le parole del famoso critico Jerry Saltz: il fatto che le donne occupino solo il 24% delle mostre va visto come un fallimento che equivale all’apartheid. Dovremmo vederla come un’emergenza morale. Avere una maggioranza di uomini significa non raccontare metà della storia.
Aljona Shapovalova: Ogni artista è unico e supera le defini
zioni di genere
Vorrei precisare che spesso chiamano le cose che faccio “arte maschile”, ho sentito parlare della mia opera come “maschile”, etc. Questo mi lusinga e mi dà una certa fiducia nelle mie capacità. Parlando di discriminazione di genere, potrei dire che ufficialmente non sento alcuna violazione dei miei diritti. Ma la vita stessa non dà alle artiste donne parità di condizioni rispetto agli uomini.
Faccio un esempio: tutte le università d’arte della Russia (lo dico per l’esperienza che ho io nella mia regione, il Caucaso, e quella dei miei amici provenienti da altre regioni della Russia) le studentesse sono più del doppio degli studenti maschi, e in genere hanno voti più alti. Tuttavia, dopo il diploma, le donne per lo più abbandonano il mondo dell’arte. E pochissime continuano a lavorare nell’arte in maniera professionale.
Per quanto riguarda le tematiche, non ho fatto ricerche o comparazioni tra la creatività delle donne e degli uomini. Posso parlare solo per me stessa. E quello che so è che non provo molto interesse per i temi cosiddetti “femminili”, spesso incentrati su un maggiore intimismo. Per lo più la mia etica si pone al di fuori dello stato di genere e sono molto più interessata ai problemi universali.
Più in generale, non credo che le donne siano più degli uomini in qualcosa o che gli uomini siano in alcuna cosa maggiori rispetto alle donne. Credo che ogni persona sia unica, e che vada oltre il suo genere. Credo anche che ogni artista sia in grado di fare cose interessanti nell’arte e di esprimersi con mezzi diversi, e questo non dipenda dal genere. La storia dell’arte ha conosciuto grandi artiste donne, molto brave, ma spesso in conflitto con la società o che avevano il problema di farsi largo in un mondo dominato dagli uomini. Penso infatti che la storia dell’arte non possa essere separata della storia umana in generale.
Nel passato molte donne hanno fatto fatica ad emergere, entrando in conflitto con la società e col mondo maschile, ma non erano solo artiste, ma anche matematici, medici, insegnanti: soprattutto nelle professioni che per molto tempo sono state concepite come esclusivamente “maschili”.
Ester Grossi: Anche nell’arte atteggiamenti sessisti
Fortunatamente non ho esperienze personali di discriminazione nel mondo dell’arte, ma credo che, come in qualsiasi altro ambito lavorativo, anche in quello artistico ci sia un atteggiamento di discriminazione nei confronti dell’artista donna. Si tratta di un atteggiamento spesso “inconscio” e sottile, dovuto ad una cultura, la nostra, fondamentalmente maschilista per tradizione e che si manifesta spesso con atteggiamenti sessisti nei confronti della donna.
Solitamente quando mi avvicino al lavoro di un artista, non tengo conto del genere, credo che l’espressione artistica dipenda esclusivamente dalla persona, che sia un uomo o una donna. Credo ad esempio che alcuni uomini abbiamo un lato femminile più spiccato di alcune donne, e viceversa. Sarò una sognatrice, ma credo che alla fin fine, il buon lavoro emerga sempre, nel tempo, che sia di produzione maschile o femminile.
Nella storia dell’arte, le donne che hanno avuto maggior rilievo, lo devono in parte anche ad un carattere forte che le ha rese personaggi, e che le ha aiutate a farsi strada in un mondo dominato esclusivamente dagli uomini. Penso ad artiste notissime come Frida Khalo, Tamara De Lempicka o Tina Modotti. Si tratta di artiste che hanno dovuto, in un certo senso, farsi avanti anche con la loro presenza, la loro “corporeità” e la loro capacità di “caratterizzazione”.
Sono sempre stata affascinata, però, anche da donne in un certo senso meno “estrose” e che forse, anche per questo motivo, sono rimaste nell’ombra rispetto ai loro compagni noti (penso, ad esempio, alla relazione tra Georgia O’Kleeffe e Alfred Stieglitz).
Francesca Romana Pinzari: Io presa di mira perché performer
Il ruolo della donna nella società è stato ampiamente discusso, rivalutato e sostenuto negli ultimi cinquant’anni e, nonostante i notevoli progressi riguardo la sua emancipazione e le uguali opportunità, il problema sembra persistere. Essere una donna è discriminante in qualsiasi campo tutt’oggi e quello dell’arte contemporanea non fa eccezione.
Molte artiste contemporanee godono un meritato successo ma la percentuale rispetto al genere maschile è ancora molto bassa, i prezzi dei lavori a parità di carriera sono sempre inferiori e, nelle grandi aste, le opere d’arte di artiste donne sono battute con minore frequenza e non raggiungono mai le cifre dei colleghi uomini. Ho sperimentato da subito questa differenza di trattamento: gli uomini sono presi sul serio dagli addetti ai lavori sin dagli esordi delle loro carriere, probabilmente questo è legato ancora a un retaggio culturale dei secoli passati, dove le ragazze di buona famiglia venivano istruite alle arti ma solo per poter incarnare per tutta la vita la figura di abilissime dilettanti al servizio dei propri mariti, inoltre agli artisti uomini non viene chiesto di essere carini gentili e disponibili e non vengono fatte avancesin cambio di partecipazioni a mostre o all’acquisto di un lavoro.
Un episodio che mi è capitato nel 2012 mi ha fatto interrogare nuovamente sulla mia figura di donna e artista. Durante l’allestimento di una mostra a Berlino dove presentavo il video “I Am Not”, nel quale disegno sul mio petto dei simboli con del sangue e poi li cancello compulsivamente, sono stata avvicinata da un gruppo di ragazzini all’esterno della galleria che, avendomi riconosciuta come protagonista del video, mi hanno infastidito in maniera molesta ed esplicita accerchiandomi, strattonandomi e palpandomi. Fortunatamente sono riuscita ad allontanarli e a rientrare in galleria sana e salva anche se un po’ scossa. Se nel video in questione ci fosse stato un uomo e fosse stato realizzato da un uomo, tutto questo, ovviamente, non sarebbe accaduto. Per quanto riguarda le tematiche, penso che le donne siano più affini alle tematiche sociali ed etiche probabilmente perché sono al centro di una di esse. La discriminazione di genere per quanto sottile e velata che sia è sicuramente un tema che qualsiasi donna “in carriera” è costretta prima o poi ad affrontare. Anche per quel che concerne i linguaggi utilizzati, sicuramente la nostra natura diversa e la conformazione sociale dell’ambiente in cui viviamo ci porta a vivere esperienze differenti da quelle maschili, e per questo, forse, molte artiste tendono ad una manualità rituale ed ossessiva e a una cura del procedimento creativo maggiore. Riguardo alla libertà di espressione, credo che dipenda solamente dal contesto sociale nel quale un artista si forma: su questo punto penso che uomini e donne possano lavorare con la stessa intensità e libertà. L’unica differenza resta, come sempre, nell’occhio di chi guarda.
Ci sono moltissime artiste che stimo e che fanno parte della mia formazione, una su tutte da citare in questo contesto è Ana Mendieta. Sicuramente, se la situazione sociale fosse diversa, i nostri libri di storia dell’arte avrebbero molti più nomi femminili tra le loro pagine, ma non credo che la storia dell’arte in senso più ampio avrebbe subito dirottamenti di tematiche o tecniche.
Lidia Bachis: Rimettiamoci le mutande, non dobbiamo più dimostrare niente
Sono sempre favorevole alla lotta, meglio non abbassare la guardia, mai. La lotta intesa come confronto, partecipazione, opportunità da cogliere, presenza, determinazione. Se parliamo del contesto sociale come si può pensare di non combattere?
In Italia abbiamo coniato un nuova parola per raccontare l’orrore dei maltrattamenti che subiscono le donne, se allunghiamo lo sguardo oltre il nostro orizzonte sembra di essere precipitati in pieno medioevo. In india se sali sull’autobus dopo le nove di sera risulta tanto sconveniente da meritare uno stupro, nei paesi arabi non possiamo guidare – costrette a guardare il mondo attraverso una grata –, in altri non si può andare a scuola, uscire, parlare, camminare. Questa è cronaca, ma non so quanto ci si indigni veramente.
L’altro giorno mi è capitato di leggere l’intervista del nostro ministro (leggo di tutto) la Boschi, si parlava di cucina e bucato per intenderci, te la figuri una Thatcher a discutere del mezzo punto come due amiche, sedute a prendere un caffè? È questa immagine della donna bella stupida e tanto brava che vogliono venderci che ci obbliga – a chi ha ancora sale in zucca – a non sbandierare finte uguaglianze o peggio pari opportunità o squallide quote rosa.
Nel mondo dell’arte in generale le donne hanno fatto passi da gigante, sono star a pari merito, poi sappiamo tutti che in un mondo elitario come il nostro conta poco il genere maschile o femminile. Dipende da ben altri fattori. Poi, la storia la scrive chi vince, e se fino all’altro giorno le donne stavano in casa ad accudire i figli o a cucinare – senza una stanza tutto per loro –, si può quanto abbiamo fatto e quanto spazio abbiamo occupato da allora, in tempo brevissimo. Io le donne artiste le ho guardate, riguardate, studiate, lette, amate, invidiate (con amore e tensione), tutte. Da Artemisia Gentileschi a Sophie Calle, da Camille Claudel a Georgia O’keeffe, da Rosalba Carriera a Frida (povera, trasformata in un gadget per turisti fai-da-te), da Francesca Woodman a Marlene Dumas. Non voglio fare un elenco, è solo per rimarcare che l’arte, per farla, bisogna conoscerla.
Rispetto a noi, gli uomini hanno un vantaggio: non devono dimostrare nulla, loro fanno e basta, escono, lavorano, vivono, non devono giustificarsi. Per quanto concerne le tematiche etiche e sociali, certo, le donne sono state delle vere pioniere. Penso agli anni Sessanta e Settanta: come poteva d’altra parte una donna di allora – con l’esigenza o l’urgenza di fare arte – emergere contro i giganti della pittura americana, senza toccare tematiche forti o giocando con nuovi mezzi d’espressione, come il video e la performance? Sì, le donne sono state pioniere, irreverenti e coraggiose. Ora possiamo anche dipingere e basta, se ne abbiamo voglia, e rimetterci le mutande. Non se ne può proprio più di sangue e lacrime, basta! Non mi interessano i tagli senza la poesia di una Gina Pane. Per concludere ritengo – anzi – affermo, che un artista è, indipendentemente dal genere.
(ha collaborato Liza Savina)