di Vittorio Sgarbi

Difficile pensare ad Agostino Arrivabene come a un uomo maturo, un pittore consolidato e consacrato. Agostino era ed è un adolescente, curioso e scanzonato che ha fattop della pittura la ragione di vita e se ne è innamorato come di una fidanzata bella e capricciosa che non si conosce mai abbastanza e che promette e mantiene continue sorprese.
Il disegno e la pittura sono per lui strumenti di conoscenza che ruichiedono concentrazione e applicazione continua, studio e confronti. I tempi non sembrano richiederlo per le tante finzioni che avevano reso irriconoscibile il volto dell’arte, ad ogni metamorfosi. Ed ecco Agostino rivederlo dietro la maschera, nei volti scoperti dei pittori amati: Werner Tübke, Lucian Freud, Odd Nerdrum, Antonio López Garcia. Questi fari nella notte gli indicarono che la strada c’era ancora e la si poteva faticosamente percorrere. E questa è la sua partita con la pittura. Poi c’è quella con il sogno. Gran parte di ciò che Arrivabene racconta, di reale ha solo l’apparenza.


Lui non vede ciò che è, dipinge ciò che ha dentro, che ha sempre avuto dentro e che continua a riprodursi, generando apparizioni, fantasmi, mostri, infiniti volti di sé. La mostra con cui si presenta ora nel Panorama Museum di Bad Frankenhausen è la più completa che egli abbia mai concepito. Lo iniziammo a vedere vent’anni fa come un giovane artista curioso e capriccioso. Lo ritroviamo pra, oltre le nostre aspettative, in un percorso compiuto di rulitante manierismo e surrealismo. I vent’anni di ricerche iniziano con un quadro ipersimbolista come I figli della notte ed esprimono uno spirito marcatamente simbolista. La monografia-catalogo per l’occasione della mostra ce ne svela l’evoluzione fino ai rarefatti paesaggi che inaugurano il terzo millennio. Il mestiere si è perfezionato, il soggetto si è allontanato, fino ad assorbire ogni presenza umana. Il giardino pensile, La grande diga, L’antro del Minotauro sono prove elusive di pacificazione della forma. E intanto Arrivabene matura un magistero di cui dà prova in virtuosistiche nature morte o vanitas, alternate ad autoritratti carichi di pathos.
Così nel 2007 arriva a concepire un’opera misteriosa e allusiva come lo Psiconauta che mostra un corpo ignudo e per metà (la superiore) in ombra. In quell’ombra siamo noi. Arrivabene ci mostra imbronciate allegorie fino a quella rivelatrice con l’immagine leonardesca di un Lucifero che ha il buio al posto della testa.

Ma questo ritiro nel deserto apre la strada a opere bellissime e virtuosissime come il pasoliniano Autoritratto con lucciole, In Vanitas con Pieris Rapae, Endimione, Capro nero. E’ l’ultima felice stagione di Arrivabene con paesaggi mitologici come La fonte dei destini bifidi e Batteri al Foro d’Augusto. La mostra di Bad Frankenhausen documenta questa fase presente e ricca con numerosi esempi. Ecco Asfodeli, Prosperpina Entomofoba, Santa Dorotea, involontari omaggi al magistero di Colombotto Rosso. A partire dal 2011, con il peccaminoso Autoritratto Pantocrator, si accentuano suggestioni surrealiste con esiti spettacolari e sorprendenti: dalle rarefatte visioni di San Sebastiano con le piante dei coralli nelle ferite delle frecce, a Pizia, al Sognatore… Arrivabene cerca nuove strade, anche contro la pittura, con abrasioni e cancellazioni. E’ meno immediata la sua ricerca, più difficile. Fermiamoci qua, in attesa di altre evoluzioni, davanti alla realtà e dentro il sogno.

L’articolo di Vittorio Sgarbi, qui riportato integralmente, è stato pubblicato su “Il Giornale” il 22 ottobre 2013 in occasione della mostra personale del pittore lombardo, intitolata “To’ Pathei Mathos” presso il Panorama Museum di Bad Frankenhausen, in Germania, tenutasi dal 29 giugno al 20 ottobre 2013.