Anna Muzi Falconi: Objects Trouvés

 

Da sempre nel mondo poetico di Anna Muzi si avverte una fascinazione straordinaria, quasi un amore visionario per tutto ciò che la circonda, per gli oggetti che l’accompagnano nel tempo e che nel tempo ha raccolto – inconfondibili sedie e poltrone vintage, radio Brionvega, appendiabiti Eames, souvenir e maschere africani, suppellettili cinesi, tappeti orientali, foto d’annata – che nelle sue opere silenziose si trasformano, acquistando un potere evocativo e quasi misterioso. D’altra parte Anna Muzi, figlia di nobili diplomatici e predestinata a una vita da “globe trotter”, ha vissuto fin da piccola in giro per il mondo, tra l’Argentina, la Spagna, l’Africa, Roma, Parigi e Londra, dove ha frequentato la Saint Martins School di arte e disegno, assimilando con uno sguardo ancora inconsapevole una serie di immagini esotiche e un gusto per l’accostamento miscellaneo, quasi casuale che avrebbero segnato la sua sensibilità pittorica.

Pur esordendo nel mondo dell’arte con una serie di opere astratte, un filone presto abbandonato,”ero in un periodo complicato e doloroso della mia vita” racconta Anna, “e tutto quel colore, quel movimento libero, mi sembrava più facile e avevo l’impressione che quasi come una forma di terapia mi potesse aiutare”, fin da giovane è attratta dalla figurazione, dal ritratto – per lo più ritratti di amici e conoscenti, di gente vista per strada e di giovani ragazzi, “mi mantenevo così, appena arrivata a Milano… quando ho preso lo studio a Chinatown, ero incantata da questi ragazzini cinesi curiosi, senza timidezze, pieni di energie, che entravano e uscivano dal mio studio liberamente, e li ritraevo” – e insieme dalla rappresentazione degli spazi interni, spesso luoghi irriconoscibili, sospesi ma intimi, in cui collocare segni e oggetti. Qui riordinando e raccogliendo forme, pezzi e colori che hanno colpito la sua immaginazione nel tempo, incomincia  a lavorare sulla composizione e sugli accostamenti cromatici, con un principio che sembra riecheggiare, forse retaggio dei suoi esordi, i primi “assemblaggi” di ascendenza dadaista. “Mi piace molto studiare la disposizione nelle mie opere, ed è una parte importante del lavoro. Ora uso molto la macchina fotografica e riprendo gli oggetti che mi incuriosiscono, li dipingo e poi fotografo di nuovo il quadro; quindi provo a reinserire a video altre immagini, in un processo continuo di scambi. Spesso accosto e assemblo elementi secondo un ordine formale e compositivo che sembra casuale, ma che in qualche modo riordina quello che ho in mente.”

Dunque come in un gioco di composizioni astratte, dove le figure e le forme compaiono come semplici colori e geometrie, l’artista si diverte a ricomporre gli obiects trouvès della sua vita, passata e presente – la poltrona Wassily vecchio regalo di nozze o la maschera africana donata dalla nonna materna di ritorno dall’Africa – facendo scorrere sulla tela le immagini ricomposte di un proprio diario intimo: come in un fotogramma di una pellicola alla nouvelle vague – “adoro andare al cinema,” racconta infatti l’artista “amo i film francesi, Truffaut, Godard, Cassavettes, e tutta la nouvelle vague” – riproduce sulle sue tele l’emergere disordinato e confuso dei ricordi alla realtà, alla ricerca dell’immediatezza del divenire, della “vera anima delle cose” che si nasconde negli oggetti; “nella realtà trovo già tutto,” dice ancora l’artista, “non mi interessa il mondo immaginario, l’invenzione, ma solo la quotidianità.”

Così in Aretha, un intenso olio dal tono seppiato, il colore delle vecchie fotografie, convivono una foto di Aretha Franklin, copertina di un vinile, con scarpe vintage e un cesto indonesiano acquistato a Bali, quasi a raccontarci insieme la storia di un viaggio fatto chissà quando o a rievocare ricordi che possiamo indovinare comuni. In Le corps dont vous revez est le votre, una bionda femme fatale alla finestra, parte di un fotogramma di una scena di Gloria, film cult di John Cassavetes, è ritagliata nello spazio di una macchina del caffè industriale con una tazzina abbandonata e il fondo nero di un cassetto dimenticato aperto, a suggerire forse il racconto di un abbandono, o di un’infelice storia d’amore. Le suggestioni del cinema ricompaiono anche in Seduttrice di 3 grado, dove un’immagine dell’attrice Anna Karina “seduttrice di 3 grado” del film di fantascienza di Godard Alphaville, è ritratta accanto a un’elegante poltrona Wassily rossa, salottiera ambientazione del mondo privo di sentimenti e alienato raccontato nella pellicola. E ancora, una vecchia fotografia di uno scontro scattata dal fratello è appoggiata accanto a una tanica vuota in G8, in un gioco di rimandi anche formali tra le sottili strisce bianche della strada degli scontri e il fulgore della superficie di plastica, mentre in Linda I’ll give you love, in un’atmosfera rarefatta dalle tonalità rosa, una statuina cinese del Kamasutra adagiata su un cuscino rosso è posta accanto a un’elegante silhoutte di una poltrona disabitata, forse ritratto del tempo passato e futuro di un fugace incontro erotico; così anche nell’ambiente solitario di Eccitazione sinaptica, una stanza abbandonata racconta di incontri e abbandoni, forse della stanchezza di un rapporto perduto.
In un continuo gioco di rimandi tra passato e presente, ricordi e citazioni questi oggetti ci parlano di una pittura ricercata, ma rigorosa ed essenziale, dove ogni elemento cromatico e compositivo si raccorda come un tassello, per ricomporre le trame di storie insieme personalissime e universali.

Silvia Fabbri

Anni Muzi Falconi | Objects Trouvés

a cura di Silvia Fabbri

dal 6 al 15 maggio 2014

Galleria Francesco Zanuso
Corso di Porta Vigentina 26, Milano
www.galleriafrancescozanuso.com
www.annamuzi.com
Orari: 15.30 -19.00 e su appuntamento

inaugurazione: martedì 6 maggio dalle 18.30