Frangi, il cantore della Natura

Giovanni Frangi, Samoa, 2007 tecnica mista su tela, cm 200 x 260.
Giovanni Frangi, Samoa, 2007 tecnica mista su tela, cm 200 x 260.

 

È da molti anni la Natura il soggetto preferito – forse, oramai, l’unico – dei quadri di Giovanni Frangi. Lo era quando dipingeva le lagune veneziane e le distese d’acqua grumose e intrise di materia pittorica, quelle “lagune senza Oriente”, come le definì Vittorio Sgarbi, come “un ciclo di Storie di Sant’Orsola abbandonato da eroi e eroine”, dove “il colore è infelice, sofferente, rappreso in una pasta densa, un impasto di fango, muschio, legno marcio, melma, ruggine, fumo, scura luce, senza sole, senza luna”; lo era con quelle straordinarie distese di colore senza più orizzonte, dove l’artista sembrava “voler tastare il polso della terra” (questa volta, la definizione è di Giovanni Agosti, grande esperto di pittura quattro e cinquecentesca e attento esegeta dell’opera di Frangi). E lo era ancora con le sue bellissime foreste, quelle foreste che un giorno, inaspettatamente, “sono entrate nei miei quadri, semplicemente, senza un perché”, come l’artista raccontò in un’intervista.

Un ritratto di Giovanni Frangi davanti a un suo quadro.
Un ritratto di Giovanni Frangi davanti a un suo quadro.

E lo è ancora oggi, quando l’immagine, o meglio l’immaginario di Giovanni Frangi, ex giovane “scapigliato dei Navigli” (come lo definì il mensile “Arte” quando era ancora un giovane pittore solitario e pieno di energia, in cerca di compagni di strada con i quali condividere la sua avventura artistica), deborda dalla stessa superficie dei quadri per dilagare dalla tela allo spazio della galleria o del museo, tra sassi, tronchi, strani serpenti dalle sinuosità geologiche, forme ancestrali e primitive che danzano intorno a boschi, foreste, laghi, mari, ancora distese d’acqua senza fine e senza confini.

Nella sua ultima mostra (“Sherazade”, a Pisa, al Museo di San Matteo dal 15 settembre al 3 novembre 2013), Frangi ha riunito vari quadri provenienti dai diversi cicli della sua produzione pittorica, come fossero un tutto unico, una sola, grande opera concepita in un solo tempo. Idea espositiva che è connaturata al senso stesso della pratica artistica del pittore lombardo: “Da sempre”, ha raccontato Frangi in un’intervista, “ho visto la mia pittura come una serie di cicli che si rincorrono l’un l’altro, come un insieme di momenti nei quali i singoli quadri assumono il ruolo di tanti tasselli di un insieme più vasto. Non ho mai concepito il quadro come un momento a se stante, separato dagli altri, ma sempre come un frammento, come un tassello di un percorso che non può essere guardato correttamente se non assieme al resto dei lavori di cui fa parte”.

Giovanni Frangi, Allegri, cm 40x50.
Giovanni Frangi, Allegri, cm 40×50.

Non c’è allora da stupirsi se via via i suoi quadri hanno perso la pretesa di raccontare in una sola immagine un intero universo, ma hanno cominciato a volte a lanciare vaghi accenni che rimandavano ad altre immagini, ad altri quadri, quasi a voler lasciare un discorso in sospeso, come se solo attraverso la lettura comparata dei diversi lavori di una mostra o di un ciclo si potesse cogliere il senso compiuto della poetica dell’artista. L’attenzione di Frangi è stata così richiamata maggiormente dal singolo frammento, dal particolare, più che dalle visioni d’insieme.

Ecco allora i giochi di luce catturati sull’acqua di una laguna, o le forme ambigue d’uno stormo di uccelli nel cielo, o i contorni, vaghi, di campi, di terre, di orizzonti, di elementi naturali quali fiori e piante appena accennati attraverso la liquidità alchemica del colore. Forme ambigue, rarefatte, appena accennate, che, se viste separatamente dal contesto in cui sono maturate, potrebbero, ingannandoci, semplici segni astratti; ma che, se analizzate con più attenzione, rivelano invece la loro origine, quasi fossero dei dettagli ingranditi di altri quadri, o di un intero ciclo di lavori.

Ma non c’è da ingannarsi: non sono mai quadri astratti, quelli di Giovanni Frangi. Non bastasse la pittura stessa a dimostrarcelo, è lui stesso a sottolinearlo: “L’idea che la mia pittura di questi anni tenda sempre più all’informale è frutto di un sostanziale equivoco. A me interessa, e sempre interesserà, l’immagine. Soltanto, la mia figurazione in certi momenti è più libera, meno strutturata. E questo a volte crea sconcerto”. Sconcerto? Forse. Certamente crea il disorientamento e l’intima felicità di trovarsi di fronte alle prove di uno straordinario cantore della natura e del colore.

A.R.

Giovanni Frangi, Fontainemore, 2007, tecnica mista su tela, cm 240 x 200.
Giovanni Frangi, Fontainemore, 2007, tecnica mista su tela, cm 240 x 200.