Nelle opere di Ester Grossi (Avezzano, L’Aquila, 1981), tra gli invitati all’edizione della Biennale di Venezia 2011 e vincitrice, nel 2010, del Premio Italian Factory per la giovane pittura italiana, si riconosce a prima vista, anche quasi senza conoscerne la biografia, la sua particolare formazione cinematografica, la laurea al DAMS di Bologna, e una passione per il cinema “classico”, che ha lasciato un’impronta indelebile nella composizione dei suoi quadri.
“Ciò che mi porto dietro dagli anni di studio del cinema”, racconta l’artista, “e da una formazione soprattutto critica e teorica, più che strettamente tecnica, è sicuramente un certo taglio cinematografico delle immagini, oltre all’aspetto narrativo delle tele, e una propensione all’analisi delle tematiche da affrontare, al lavoro progettuale”.
Alcuni cicli delle sue tele, infatti, prendono ispirazione direttamente dalle grandi pellicole americane degli anni Cinquanta, come il progetto del 2012 “Written on the hays”, esposto alla First Gallery a Roma, che si richiama, anche nel titolo, alla pellicola americana “Written on the wind”, diretta da Douglas Sirk, uscito durante gli anni della censura holliwoodiana, o la serie “Funeral”, nata nel 2010 come mostra itinerante e come riflessione personale sul terremoto dell’Aquila, ispirata però alla seguitissima serie televisiva americana “Six feet under”, surreale e parodistica saga di una famiglia di becchini.
Partendo da qui, dunque, come all’interno di una serie successiva di frames, Ester Grossi ritaglia nelle sue opere i personaggi come colti durante un colloquio o un gesto, un movimento, un’espressione, che, pur nell’apparente semplicità delle immagini, nelle intenzioni dell’artista non sono che un rimando a una storia più complessa e più articolata. “La spinta alla narrazione deriva molto dai miei studi di cinema. Credo che sia anche un desiderio istintivo di coinvolgere lo spettatore, di catturarlo all’interno di un frame che molto probabilmente è parte di una storia più complessa. Vorrei che l’apparente semplicità delle immagini fosse la porta d’accesso per un mondo complesso”.
Con uno stile essenziale e intenso, erede della tradizione grafica e dell’illustrazione americana, e con un cromatismo forte, dalle campiture piatte stese con colori acrilici e smalti brillanti (“il colore”, ha sottolineato Chiara Canali, “rimane chiave di lettura per decriptare i significati più profondi della sua opera”), Ester Grossi racconta così delle vere e proprie storie, assemblando iconografie e immagini tratte dalle fonti più diverse: dalla pittura, all’illustrazione, alla pubblicità, al mondo della moda come, naturalmente, anche da quello della storia della pittura (come nel caso dell’installazione del 2011 “Colazione sull’erba”, libera rivisitazione del celebre “Déjeunere sur l’herbe” di Manet), con un procedimento di commistione caratteristico della tradizione della pop art americana. Non a caso, la sua pittura è stata spesso accostata al filone del nepop internazionale, oggi molto in voga. “Io, però”, sottolinea l’artista, “non sento di appartenere a un filone ben preciso; solitamente vengo ricondotta al così detto Dream Pop, definizione usata spessissimo anche nella musica, dalla quale traggo molto ispirazione”. Se il suo lavoro non è classificabile tourt court come neopop, non c’è dubbio, però, che il Pop sia stato uno dei suoi modelli indiscutibili.
“Ho sempre guardato con interesse il lavoro di Warhol”, dice l’artista, “perché lo trovo concettualmente molto più stratificato di quanto potrebbe sembrare in apparenza. Riuscire a parlare di morte e decadenza con toni accesi è una grande qualità che ammiro nella sua arte. Ma, in ambito Pop, sono attratta soprattutto dagli artisti inglesi, come Richard Hamilton o David Hockney”.
“D’altro canto”, racconta ancora l’artista, “la scelta di attingere sia dalla cultura bassa che da quella alta deriva, fondamentalmente, dal mio carattere e dalla mia formazione. Sono fortemente attratta sia dal classicismo, dalla tradizione, dalla storia (sicuramente ciò lo devo anche a un padre archeologo), che dal “funzionamento” della comunicazione di massa nella nostra società. Per questo motivo sono incuriosita dalle campagne pubblicitarie, dal percorso creativo di un marchio di moda, dall’evoluzione o involuzione, in alcuni casi, della musica contemporanea. Ho sempre avuto un forte desiderio di conoscenza del mondo che ho intorno, che è chiaramente uno strano miscuglio di forme classiche e contemporanee”.
Un interesse che più volte nelle sue opere l’ha portata a collaborare con artisti che provengono da discipline differenti, come con il musicista italo-canadese Jonathan Clancy, con cui ha realizzato alcune installazioni sonore, o con il videoartista Nico Murri, che ha tratto delle animazioni video dalle sue opere, e in generale con il mondo della musica, per cui ha disegnato cover di dischi e di libri, locandine e manifesti. Ora lo scrittore Camillo Langone, giornalista e polemista con una spiccata passione per la pittura contemporanea, soprattutto italiana, ha scelto di dedicarle la copertina del suo ultimo libro, “Eccellenti Pittori” (Marsilio Editore), nel quale, a proposito dell’artista, inizia il testo raccontando che Ester “abita in via dell’Oro e trasforma in oro qualsiasi cosa”, dal momento che il suo stile “ipnotizza sfruttando, quasi strumentalizzando, modi grafici vicini alla pop e post-pop art americana (da Wwesselmann a Katz, da Marjorie Strider a James Benjamin Franklin), trasportati a migliaia di chilometri e/o secoli di distanza.” E poco dopo, sintetizzando con una frase di Gaudì: ”L’originalità consiste nel ritorno alle origini… questa pittrice possiede la pietra filosofale che trasforma il folklore in fashion, la formula segreta capace di portare o riportare nell’immaginario nazionale una regione [l’Abruzzo] che ha dato all’Italia tante cose che gli italiani apprezzano senza conoscerne la provenienza”. Non è un caso che, in un ciclo di opere recenti, si sostituisca l’immaginario della sua terra d’origine in una rivisitazione dei luoghi d’infanzia, dedicata agli scavi della monumentale necropoli di Arciprete, o all’antico lago Fucino, a leggende dimenticate, a luoghi sperduti, distillati da una tavolozza dai colori piatti e brillanti e da un segno grafico nitido ed essenziale, apparentemente antitetico rispetto ai contenuti narrati o evocati. E forse anche in questo sta la grande abilità di Ester Grossi: nel riuscire a far rivivere il microcosmo di un mondo sconosciuto e oscuro con una tecnica “inappropriata” e globalizzata (secondo la celebre teoria della riscoperta del “glocale”, che consiste in un mix di localismo e globalismo), sempre caratterizzata da un cromatismo carico e intenso, ma anche da una carica divertita e ironica che, facendole accostare il suo lavoro a quello delle artiste americane Salma Hayuk e Aurel Schmidt, crea atmosfere magiche e surreali.
Silvia Fabbri