Preghiere del silenzio per Enrico Lombardi

di Arnaldo Romani Brizzi.

Molto spesso la notte giunge con tutto l’onore del proprio mistero nei dipinti di Enrico Lombardi. È, la sua, una notte che non perde mai del tutto la luce, sperimentando se mai un illividimento delle tracce cromatiche; potresti dire, infatti, che un’illuminazione al neon, o il riflettore antico di un film in bianco e nero, si fa strada con la propria azione, e a tradimento, con l’intenzione bene espressa di stabilire il turbamento visivo, spesso giungendo al risultato perturbante di un fare pittorico che non lascia mai un sentimento di tranquillità, ma di disagio visivo, segnale di un disagio esistenziale.

Enrico Lombardi, Custodi dell'ombra, 2010, acrilico su tela, cm 100x80.
Enrico Lombardi, Custodi dell’ombra, 2010, acrilico su tela, cm 100×80.

Il fare artistico di Lombardi è inquieto per sua stessa formazione: egli non fa mai tacere il «penso, dunque sono», quel cogitare incessante, esercizio proclamato di vita e di azione che rende i suoi supposti paesaggi altri luoghi da quelli che paiono. Colui che osserva è avvertito: non ceda alla tentazione di licenziare la pur preziosissima visione dei dipinti di Lombardi, e con atteggiamento di distratta sufficienza, catalogandoli sbrigativamente nel genere pittorico del paesaggio o del vedutismo. Nei suoi dipinti, spesso e più che spesso, per non dire quindi sempre, tutto il segreto della visione, il senso più riposto, è consegnato al titolo, mai dato a caso, ma ragionato e vissuto nella propria interiorità sino al gusto di una macerazione interiore, spinta suprema per passare all’azione della pittura. E per questo non ci sarebbe bisogno di citare Michelangelo, che pure e invece cito, il quale come si sa asseriva con piglio sicuro che «si dipinge col cervello et non con le mani». Ne sono esempio alcuni dipinti del 2013 che Lombardi ha esposto con il titolo di Esercizi spirituali, dicendola lunga su cosa si intendesse dover vedere, oltre a quanto dichiarato in apparenza e in apertura di visione. Lombardi è, a suo modo e per strade tutte sue, tutte da lui elaborate da se stesso, su se stesso e per se stesso, un esoterista che fa assurgere a simboli segreti e alteri ombre, alberi, ipotetici cipressi, case, rocce, montagne, colline, ciminiere, serbatoi d’acqua che sembrano pronti a trasformarsi in navi spaziali, in missili destinati a perlustrazioni lunari (si guardino attentamente, qui in mostra, Moloch e Monito, entrambi del 2012).

 Le Ombre, titolo di questa esposizione e presenza ineliminabile della poetica visionaria di Lombardi, racchiudono, come scrigni del segreto, l’altro da sé che è la vera, l’autentica intenzione di racconto di quanto ci appare sotto mentite spoglie. Lo ribadisco, è vero ed è necessario: se si riesce a «entrare» sul serio in un dipinto di Lombardi più che luoghi della realtà o del sogno si perlustreranno territori dell’astrazione, o di quella terra di mezzo, non figurativa, non astratta, ma solo pertinente alla pittura.

Lombardi non cede a vibrazioni emotive, pertinacemente attaccato, come pare ed è, all’orgoglio aristocratico della propria inattualità: egli è freddo, spietato, implacabile nello stabilire la precisione del tratto personale del disegno che sa rendere appieno il gelo delle notti e delle basse maree, delle luci lontane, segnali di vite lontane dal campo d’azione e di visione. È in tal modo che egli «entra fuori», come asserito in alcuni titoli, collocando in punti diversi lo stare di tutti noi, qui e altrove, in alto e in basso, dentro e fuori, per l’appunto. O, anche, in una terra di mezzo, come ho già sostenuto.

Enrico Lombardi, Custode dell'eterno presente, 2011, acrilico su tela, cm85x60.
Enrico Lombardi, Custode dell’eterno presente, 2011, acrilico su tela, cm85x60.

Nella paziente ombra, si collocano anche i numerosi custodi cui Lombardi cerca di affidare quella necessaria azione di salvaguardia di «tradizionali» e, per molti di noi, ineliminabili tesori: custodi della saggezza, antica o semplicemente eterna, del pensiero che non sa rinunciare a se stesso, della consapevolezza che gli alteri territori del fare artistico, della creatività sono stati intaccati da tutte le disattenzioni del presente, quando proprio il presente rifiuta di consegnarsi all’eternità (Custode dell’eterno presente, recita il titolo di un dipinto del 2011), cui è per sua stessa natura, e innegabile necessità, votato.

Si può anche sostenere che se il tempo è innocente, la responsabilità è tutta umana. Il rammarico di Lombardi è per tutte le zone di cecità delle intelligenze che vengono meno a una naturale vocazione, quasi sacrale del fare artistico. Innocenza del tempo, del 2009, ce lo dimostra in maniera che non può essere smentita: quella piccola fonte (quella «fontanella» che sembra rinviare a una vecchia, melodica canzone, e così di sovente da lui raccontata anche in molti dipinti del ciclo dei Custodi) da cui proviene l’acqua, è ben capace di fornire uno spunto di meditazione sull’origine delle idee, in una dimensione di silenzio che pervade un ambito di tracce della presenza umana e della natura di serena, armoniosa bellezza; ma con cadenze talmente semplici da causare commozione come per una sentita preghiera di omaggio e ringraziamento.

Un altro dono della pittura di Lombardi è, infatti, la proclamazione dell’armonia del silenzio, azione arditissima che alle mie orecchie rinvia a quei prodigiosi Silent Songs di Valentin Silvestrov, in piena, flagrante azione di ossimoro. Se il silenzio in musica sembra essere impossibile, possibilissimo appare in pittura (basta riferirci al concetto di vite silenti tanto opportunamente a suo tempo definito dal vate Giorgio de Chirico); ma che il silenzio possa essere colmo di armonia sacrale è un omaggio di consapevolezza che ci viene fatto da Enrico Lombardi, attraverso l’intelligenza pittorica e un oculato uso della sinestesia. Così come, quindi, (ricordando Yevgeny Baratynsky, uno dei poeti dei Silent Songs di Silvestrov) l’armonia ha il potere mistico di curare gli spiriti malati, l’azione pittorica di Lombardi risulta essere una cura benefica capace di trasferirsi dallo sguardo al sentimento.

Il testo di Arnaldo Romani Brizzi è stato scritto in occasione della mostra di Enrico Lombardi alla Catania Art Gallery, via San Michele 32, Catania, aperta dal 4 ottobre al 3 novembre 2014.

per info: cataniaartgallery@libero.it