Una strana oligarchia finanziaria

“Una strana oligarchia finanziaria mondializzata, comprendente due o tre grandi gallerie parigine e newyorchesi, due o tre case d’asta e due o tre istituzioni pubbliche responsabili del patrimonio di uno Stato, decide della circolazione di opere d’arte che restano limitate alla produzione, quasi industriale, di quattro o ciunque artisti. Questa microsocietà di pretesi conoscitori, a essere sinceri, non possiede niente, solo dei titoli immateriali, non gode di niente, perché non prova gusto a niente. Ha sostituito la vecchia borghesia ricca e raffinata che viveva circondata dagli oggetti d’arte, dai quadri e dai mobili che si sceglieva e di cui a volte faceva dono alla nazione… Ma, soprattutto, società colta, che amava incontrare, frequentare, a volte stringere anche amicizia, non con un homo mimeticus, anche lui trader o banchiere, che le avrebbe sbattutto in faccia la sua stessa caricatura, ma con un uomo diverso da essa, singolare, un artista, un “originale” nel doppio senso della parola, di cui avrebbe apprezzato l’intelligenza e il gusto. (…) Oggi questa storia è finita. È qui che l’arte può gettare una luce decisiva sul senso di una crisi che viene detta economica ma che è in realtà morale e intellettuale. L’arte produce non idee, non transazioni elettroniche, non valori virtuali, ma oggetti materiali, fisici, sostanziali. E questi oggetti non rientrano nell’ambito di un capitale intellettuale o cognitivo, ma di un capitale spirituale, termine desueto che non figura nel vocabolario dell’economia dell’immateriale”.

Jean Clair, L’inverno della cultura, Skira 2011.