di Anna Lisa Ghirardi
Le avventure di Pinocchio di Carlo Lorenzini è il libro della letteratura nazionale più letto, più tradotto, più interpretato; è stato passato al setaccio attraverso letture critiche e modificato da numerose riscritture e ispirazioni. Dall’illustrazione al cartone animato, dalle versioni teatrali a quelle cinematografiche, dalla musica all’arte contemporanea, testo e immagini si sono uniti, talvolta scissi, per creare la visione di un nuovo Pinocchio, vivo quanto rigenerato. Sull’Isola del Garda dodici artisti contemporanei rileggono il racconto, intessendo un fondamentale dialogo con l’ambientazione. Il progetto ha infatti avuto una lunga gestazione e la maggior parte delle opere sono state create site specific. La suggestiva Isola è la location ideale per ospitare l’evento. Mentre ci si avvicina con la barca, scorgendo il suo profilo che evoca un grande pesce, riemergono numerosi ricordi degli episodi della storia che si svolgono in un contesto marino. La perlustrazione, attraverso il percorso espositivo, conduce tra le pagine collodiane in un viaggio di scoperta e di rinnovamento, tra meditazione, riflessione, talora leggerezza.

Armida Gandini, che da anni esplora il tema della fiaba e dell’infanzia, ha realizzato stratificate rielaborazioni fotografiche attingendo dall’album della famiglia Cavazza, proprietaria e custode di questo luogo magico. Fa interpretare personaggi collodiani ad alcuni componenti della famiglia, adottando un linguaggio dalla sottile ironia, capace di riferimenti allusivi anche ad altri racconti; ogni figura ritratta è trasformata in un piccolo eroe, in cui lo spettatore, captato dalla metafora, tende a specchiarsi. Trasforma la memoria da privata a collettiva e apre, con la discrezione che le appartiene, uno spiraglio sui mondi interiori. I personaggi, come afferma lei stessa, rappresentano “i labirinti che si atttaversano nella vita, i luoghi dell’esperienza, della perdita, della scoperta del sé” e la fiaba, come l’arte, “uno degli strumenti più efficaci di presa di coscienza del rapporto uomo-mondo”. Al nostro arrivo sull’isola ci accoglie Il figlio della terra del giovane artista Calogero Canalella. L’uomo stante, immobile, posto sulla sommità di un tronco, con le braccia aperte e il naso lungo sembra dirci: “benvenuti Pinocchi!”. L’immagine, che riecheggia quella vitruviana ed ha pertanto una valenza universale, per il suo naso rimanda immediatamente all’inganno, alla bugia, con cui tutti facciamo i conti. La natura per l’essere umano è fonte generosa di energia, rappresenta la via di salvezza, qualora, trattenuto dai suoi inganni, riuscisse ad entrare in armonia con essa, ma la tensione con la Madre terra è perenne e non rescindibile. Non manca nemmeno l’eco della figura di Cristo crocifisso; la simbologia dell’albero del resto, in Canalella come in Collodi, è simbolo di vita, morte e rinascita.
Proseguendo il percorso nel parco incontriamo la Locanda. Ai nostri occhi questa casetta si trasforma nella casina candida. All’interno troviamo l’installazione I bambini sono cattivi dello scultore Ettore Greco. Egli unisce nella sua visione le suggestioni letterarie della prima apparizione della Fata al ritorno desolato di Pinocchio alla casina. La casetta è una soglia, una via di uscita dall’ordinario, il luogo del non conosciuto. Nella suggestiva installazione il volto della Fatina, bello e luminoso, è conservato in una teca, mentre l’intero suo corpo esanime è sdraiato a terra. Grandi mascheroni con volti di bambini dalle bocche aperte le sono attorno e da esse sembra uscire un lamento, come suggerisce il sound design di Matteo Buzzanca. L’Artista rilegge Pinocchio in chiave psicologica, interpretando in primis il legame Fata-Pinocchio come emblematico del rapporto genitore-figlio. Coglie inoltre il senso di sconforto e paura che percepisce ogni essere umano, spaventato dalla solitudine, una solitudine generata dalla connaturata propensione al male. Greco non solo reinterpreta il testo di Collodi, ma prosegue la tensione propria della sua opera, quell’anelito di quiete che pare non giungere mai alle mani dello Scultore, trepidanti e vitali nel generare dalla creta.
La Fata ha ispirato anche lo scultore Paolo Schmidlin, il quale ha realizzato un suggestivo ritratto che ha trovato la giusta collocazione all’interno della Villa. L’Artista coglie appieno la sua natura gotica, quell’immagine di Romanticismo nero che -secondo Italo Calvino- tanto sarebbe piaciuta a Edgar Allan Poe. Plasma nella creta, che pare morbida come la cera, una fanciulla dal volto bianco e dai capelli cerulei, con la mano sul cuore e dalla cui arsa bocca socchiusa sembrano uscire parole mortifere. Ella è apparentemente impotente di fronte al destino che conduce alla morte, un tema che l’Artista esplora da anni, nei corpi percorsi dal tempo, tracciati dalla caducità della vita, in cui solo l’immagine del mito trova l’eternità. E la Fatina turchina, che giunge alla morte all’inizio del suo cammino, ma portando il peso dell’intera esistenza, non può che essere annoverata tra le icone eterne che tanto si confanno alla poetica di Schmidlin. Del resto la Fata è una figura atemporale che ci appare come un fantasma, capace di metamorfosi e rinascita.

A penzoloni ad un grande tronco d’ulivo, vicino alla casetta della Fata, c’è l’Appeso di Francesca Casolani, una marionetta in cartapesta. Pinocchio, a cui la Fatina non ha aperto la porta, vive l’esperienza della solitudine, dell’abbandono; è un episodio iniziatico, escatologico. Dalla carta, materiale fragile, leggero e duttile l’Artista dà vita a immagini, forme e parole. Il suo mondo si popola di sculture in cartapesta, quadri illustrati, video, animazioni che prendono anelito sotto i nostri occhi; riferimenti religiosi e alchemici sono velati con la lievità che contraddistingue il suo immaginoso fraseggiare. La figura dell’Appeso appartiene all’imagerie romantica, come la Fata e i conigli neri che trasportano la bara, un’apparizione che Calvino definisce <<dalla forza visiva tale da non poter essere più dimenticata>> e che Casolani non può che ospitare nel proprio repertorio visivo. Nelle cellette rustiche a lago, inglobando l’architettura preesistente nella rilettura e riscrittura della favola, continuano le Avventure dei nostri Artisti. Casolani illustra gli avvenimenti successivi all’impiccagione, non tanto in sequenza cronologica, quanto in flash visivi che rimandano alla storia. In una celletta troviamo infatti l’installazione L’arrivo dei conigli e in un’altra il video di animazione Nel Ventre di Pinocchio -realizzato a quattro mani con Celeste Taliani- che ci conduce con sguardo incantato nell’avventura della rinascita dell’essere umano.
La vicina celletta, allestita con una cucina rustica, si trasforma nella casa di Geppetto ed accoglie i Pinocchi di Mirko Baricchi. Da anni l’Artista ha, tra le sue frequentazioni, queste figure come compagni di viaggio, compagni affidabili o di malaffare. Chiedere a Baricchi un’installazione dedicata a Pinocchio sull’Isola del Garda è stato fargli aprire la sua grande valigia ed estrapolarne il protagonista della scena. I suoi Pinocchi sono esili sculture di ferro, figure smarrite che si addentrano tra le leggere carte, trasformandosi in evanescenze, peregrini pirandelliani in luoghi di nebbia e polvere. Anch’egli coglie il senso delle Avventure come ricerca di iniziazione, di cambiamento. I suoi burattini sono memori dell’immagine dell’Uomo di latta del Meraviglioso Mago di Oz, che ha compiuto una trasformazione inversa a quella di Pinocchio, ma nella quale non è trascurabile l’affinità: da uomo viene mutato dalla Strega dell’Est in “robot” senza cuore e, solo dopo varie peripezie, riottiene un piccolo cuore foderato di seta. Anche per Pinocchio il cuore è al centro della sua salvezza. L’imbuto che i Pinocchi di Baricchi si portano appresso ha invero anche un’origine nostrana e sentimentale attinta dai ricordi dell’infanzia dell’Artista: il nonno paterno costruiva vicino al camino imbuti che poi avrebbe usato per imbottigliare l’olio. Il nonno è un novus Geppetto e Baricchi non può che essere un Pinocchio.
Nella vicina stalla, dove venivano un tempo ricoverati per la notte gli equini, Patrizia Fratus colloca il suo ciuchino, intitolato I(h)o!. È una sorta di autoritratto, l’Artista vi si identifica per quell’anelito verso la coerenza che spesso è affannoso e sovente incontra sconfitte. Il candido asino umanizzato ci guarda infatti desolato e impotente. L’animale ci riporta alla simbologia esoterica; la veste asinina è infatti una sorta di rivestimento per la sapienza celata, o fuoco interiore, che attende di essere portata in superficie, come ci insegnano le Metamorfosi –L’asino d’oro- di Apuleio. L’asino per Fratus è inoltre un diverso, colui che guarda l’umanità da una posizione disgiunta. L’Artista negli anni ha realizzato sculture di animali e insetti di ogni sorta, di cui fanno parte anche il Gatto, la Volpe e il Grillo in mostra. Nei Giardini dell’Isola il Grillo Coscienza di Patrizia Fratus cammina a testa in giù, perchè secondo l’Artista oggi più che mai la coscienza è instabile, ribaltabile. Anch’esso è bianco, in quanto non è figura meramente narrativa, ma è metafora di una morale collettiva; Fratus, del resto, è attiva anche in progetti di arte relazionale, sostenendo la necessità del ruolo sociale dell’arte.

Nei Giardini esotici del giglio spicca la grande architettura circense di Fausto Salvi. Con la sua opera ci addetriamo nel mondo scenico, al quale Collodi riserva più di un capitolo del racconto. Nell’opera di Salvi si fondono i luoghi della recitazione: il circo e il teatro. Nel circo della Compagnia dei pagliacci e dei saltatori di corda Pinocchio-ciuchino si esibisce davanti al pubblico; è uno dei momenti più dolorosi del racconto. Nel Circus di Salvi il visitatore può entrare nella scena, ponendosi nel bel mezzo della costruzione ha la percezione di sé sul palcoscenico, davanti allo sguardo duro delle maschere-pubblico. Dodici maschere identiche lo guardano con occhi metallici, algidi e specchianti; qui si immedesima nella desolata solitudine di Pinocchio deriso. L’opera di Salvi, come quella di Collodi, è una riflessione sul teatro della vita, sugli inganni della società e sulle menzogne che noi stessi ci raccontiamo; la fiaba di Pinocchio del resto è una vera e propria metafora dell’esistenza, in cui tutti siamo Pinocchi, ciuchini e spettatori.
Proseguendo nei Giardini raggiungiamo la maestosa dimora, a piano terreno troviamo l’ingresso che conduce alla cantina. Una musica di organetto ci indica il cammino da percorrere per raggiungere il Paese dei balocchi del lighting designer Stefano Mazzanti. Al nostro arrivo la porta di ingresso è però serrata. Ci si chiede se siamo giunti in ritardo, ma quasi subito ci si accorge che il suono dell’organetto è l’unico rumore rimasto. Non sentiamo più il chiasso, gli strilli, il rumore dei giochi, il suono del canto, della recitazione… c’è solo una giostra di ombre policrome che riusciamo ad intravedere tra le sbarre dell’ingresso. Una giostra fatta di ciuchini! Nessun bambino è sulla groppa degli equini, perché tutti si sono trasmutati in asini, trasformandosi loro stessi nella giostra che continua a girare. L’Artista mette in scena lo spirito originario della favola, invitando il pubblico a lasciarsi trasportare nella cantina buia, il luogo della paura, ma anche dell’immaginazione. Per entrare in questo luogo è necessario abbandonare le sovrastrutture dell’età adulta, Pinocchio rappresenta infatti, come osserva Carmelo Bene, il rifiuto alla crescita: <<L’essermi come Pinocchio rifiutato alla crescita è se si vuole la chiave del mio smarrimento gettata in mare una volta per tutte […]. È rifiuto alla Storia, e alla conflittualità dell’historiette del quotidiano […]”. Lucignolo è infatti un essere perduto, ma in quanto tale metafora dell’artista maledetto per eccellenza.

All’interno della dimora, nella Stanza della Musica, sono collocate tre teste di Lucignolo modellate sapientemente da Livio Scarpella, esse hanno espressioni caricate e sono un esplicito omaggio allo sculture settecentesco Franz Xaver Messerschmidt. Scarpella, che ama dialogare con i grandi artisti del passato, non sceglie il suo riferimento a caso, ma coglie tra le pagine del genio irrazionale e dell’anima tormentata. L’opera del Maestro tedesco nasce da una terapia apotropaica; egli era convinto di essere perseguitato dallo Spirito delle proporzioni, che gli avrebbe inflitto forti dolori, in quanto geloso per la perfetta conoscenza delle proporzioni che stava per raggiungere. Da un lato quindi Scarpella ci riferisce della ricerca perenne e maniacale che presiede anche al suo lavoro plastico, egli modella infatti con una tale rapidità e una conoscenza formale filtrata da un eccezionale sguardo mnemonico, che non possono che stupire, dall’altro unisce nei suoi Lucignoli la forma alla poetica di Collodi. Le orecchie asinine collodiane sono infatti precedute da millenni dalle celeberrime orecchie d’asino che Apollo fece spuntare al re Mida, per aver preferito alla lira del Dio il flauto di Pan, ossia le seduzioni dei sensi all’armonia dello spirito e della ragione. Che si tratti di Mida o di Lucignolo, siamo di fronte al perdimento nell’irrazionalità e nelle seduzioni dei sensi. I Lucignoli sono esseri perduti, senza via di ritorno.
Le Avventure di Pinocchio sono anche ironia, Lorenzini è infatti capace di rapire il sorriso del pubblico, strizzandogli l’occhio. Anche nel nostro percorso non mancano il tono irridente, la leggerezza e le “pinocchiate”. Nella casa, nella Stanzetta Orientale, tra gli oggetti, i giochi e i lettini di famiglia, troviamo la scultura di Francesco De Mnolfetta. Un piccolo burattino, uscito dal cartone animato di Walt Disney, dal viso ingenuo e sereno, dorme – affianco al Grillo- in un lettino di ferro dalle lenzuola rosa. Un spaccato di naiveté, finchè il nostro occhio non scivola sul corpicino del candido Pinocchio e nota una cosa inattesa, in pieno spirito burlesco alla De Molfetta: il lenzuolino è alzato, mosso dell’erezione del burattino. L’Artista, del resto, afferma di aver sempre voluto fare il giocattolaio, ovvero vendere i suoi giocattoli, i suoi divertisment. Egli attinge al repertorio delle immagini popolari, a quelle legate alla sua infanzia e alle icone della nostra società, offrendo loro un altro sense, sorprendendo, talvolta destabilizzando, lo spettatore. Pinocchio è un’immagine pop di cui Demo non poteva che cibarsi. Il giocattolo dello Scultore non è però nella sua fattura di certo prodotto da una catena di giochi per l’infanzia, tanto che l’opera è un pezzo unico in ceramica modellata a mano, cotta e invetriata, nonchè conservata in una teca in quanto toy prezioso di desiderio.
Nel grande parco dell’Isola compare arenata la grande balena di Stefano Bomnbardieri. Non ci stupisce che il mostro marino sia stato trasformato in cetaceo, perchè questa metamorfosi ha una storia lunga nelle illustrazioni del racconto. Per la nostra favola Bombardieri ha reinterpretato la sua celebre grande balena in una sorta di attrazione da Paese dei balocchi, unendo due tra le sue più care tematiche: i grandi animali, che lo hanno reso noto a livello internazionale, e il gioco, non senza l’ironica riflessione della possibilità di un rovesciamento di percezione. La grande balena ospita infatti nella sua bocca una gettoniera, lo spettatore può scegliere di introdurre una moneta o ascoltare il consiglio del Merlo bianco e rinunciare alla scelta. In Collodi Pinocchio, grazie al barlume di una candela posta nella pancia del Pesce-cane, riesce a vedere ed addentrandosi trova una tavola apparecchiata e seduto il padre Geppetto. Cosa mai troverà lo spettatore nel ventre della balena di Bombardieri? Colui che ascolta il consiglio del Merlo non inserisce la moneta e lascia che la sua immaginazione lo conduca dove egli preferisce: tra le braccia del padre o in ogni altrove. Colui che non ascolta il saggio consiglio inserisce invece la moneta e davanti a sé si illumina il grande ventre con un messaggio per lo spettatore, che qui non voglio svelare. Bombardieri non ha voluto tarpare le ali alla fantasia, ma nella pancia del grande mostro ha aperto un nuovo capitolo, una nuova storia da scrivere.
Il finale della fiaba sull’Isola del resto è un finale aperto, chiunque può rileggere Pinocchio, portarlo con sé dall’infanzia all’età adulta e aggiungere altre molteplici pagine al racconto.
Ecce Pinocchio | 12 artisti contemporanei rileggono Collodi
a cura di Anna Lisa Ghirardi
10 maggio – 19 ottobre 2014
Isola del Garda
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