Fulvio Di Piazza è uno tra i maggiori rappresentanti del neobarocco contemporaneo. Nell’arte di questi anni, il barocco – passata la sbornia postmoderna che aveva caratterizzato il lavoro delle generazioni immediatamente precedenti – si è presentato sotto la forma di differenti sensibilità venate da caratteri comuni, sottilmente o platealmente praticate da artisti di diversa specie ed estrazione – così, ad esempio, si potrebbe far risalire a una forma di sensibilità neobarocca, o barocca contemporanea, sia il lavoro di un artista come Matthew Barney che, per altri versi, quello di Hanish Kapoor.

Il barocco contemporaneo si presenta sotto varie forme e nei più svariati linguaggi, ma, nello specifico della pittura, ha avuto uno sviluppo che solo in Italia conosce, in isolati e non sempre compresi percorsi artistici, quello che potremmo chiamare il suo vero splendore. Fulvio Di Piazza è, di questo tutt’altro che codificato per quanto diffuso sentimento, il rappresentante più eclatante e più originale. Nei suoi dipinti, infatti, Di Piazza ha scartato di lato rispetto a un’intera generazione – la sua, quella degli artisti nati in Italia intorno alla fine degli anni Sessanta, interessati per la maggior parte ad un approccio mediale e fotografico delle forme pittoriche -, per ritrovare una sorta di disarmonica unione di bizzarro e anacronistico impasto di sensibilità naturale e artificiale, di straripante, carnevalesca e ridondante umanità popolare e beffarda, di gergale vitalità pittorica che si esplica in un accumulo di elementi differenti e difformi, di animali inesistenti e buffoneschi, di paesaggi incantati e variopinti, di emozioni esasperate e contrastanti – in breve, proprio quell’atteggiamento di “esuberante sensualità, vibrante di vitalità non repressa, armonioso nonostante la sua reattività a ogni tipo di impressione ed emozione” di cui parlava Panofsky a proposito del barocco nei suoi bellissimi “Saggi sullo stile” (riconducibile anche, per citarne un altro passo significativo, a quell’idea tipicamente barocca “di raffinata ridondanza: un moto sfrenato, un’esuberante ricchezza di colori e composizione, effetti teatrali prodotti dal libero gioco di luci e ombre, un’indiscriminata commistione di materiali e tecniche”).
La pittura di Fulvio Di Piazza si caratterizza, fin da suo primissimo apparire, proprio per lo spiccato carattere di ricchezza compositiva e coloristica, dell’esuberanza, della teatralità e della ridondanza dei suoi fantastici e non di rado onirici paesaggi (giungle imoprobabili, irreali e avvolgenti, montagne di pesci, mari o case pullulanti di animali). Ma la straordinaria originalità della pittura di Di Piazza si rivela anche e soprattutto nella sua duplicità: oniricità, fantasticheria (o rêverie, secondo la definizione di Gaston Bachelard) e ridondanza visiva al limite del paradosso da un lato, e straordinaria veridicità della composizione e verosimiglianza della rappresentazione dall’altro.
Quella di Di Piazza è infatti una pittura insieme assolutamente fantastica e terribilmente ancorata al reale. Pensiamo ai suoi paesaggi assolati, alle sue città siciliane brulicanti di vita, ai suoi paesaggi notturni solcati da una luce metallica e minacciosa, ma anche ai suoi animali metà Walt Disney e metà fauna geneticamente modificata: non sono forse, tutti, paesaggi e animali possibili (anche se forse non probabili), perfettamente verosimili, malgrado un piccolo scarto, una piccola smagliatura nella visione che li trasforma improvvisamente in luoghi e personaggi del tutto fantastici e grotteschi? Quella di Di Piazza è infatti una pittura fatta di casuali disarmonie, di normali paradossi quotidiani, dove è sufficiente spostare un elemento del nostro paesaggio abituale per vedervi rispecchiata l’altra faccia del reale: il meccanismo utilizzato dall’artista è quello dell’artificio barocco, ma anche quello del miglior cinema horror, dove la sorpresa, la meraviglia deriva ed è provocata da un minimo scarto percettivo, da uno spostamento di significati, dalla semplice trasposizione di un elemento da un contesto ad un altro: spostamenti alle volte eclatanti (i pesci volanti ad esempio), altre volte quasi impercettibili, o perfettamente mimetizzati in una situazione solo apparentemente plausibile (gli uomini-cactus per fare un altro esempio) che ci permettono però di aprire una piccola e decisiva crepa nel reale, come quel famoso varco nello specchio di Alice, porta segreta verso il regno della fantasia.
Proprio in questa commistione di bizzarria e di realismo, di mostruosità e di precisione nei dettagli sta il segreto e la novità del suo lavoro, sempre in bilico sul sottile crinale che separa sogno e realtà, infernale devianza e disarmante normalità, horror e quotidinianità. Di Piazza ha così saputo coniugare la grande tradizione del barocco italiano con il filone della fantasy internazionale, e specificatamente americana; ha saputo mettere insieme Bernini e Stephen King, Bosch e Romero, Böcklin e Buñuel, in un mix inedito e strabordante, raffinato e divertentissimo che lo rende una della figure più interessanti dell’attuale panorama artistico italiano.
Alessandro Riva

Fulvio Di Piazza | L’isola nera
GAM Galleria d’Arte Moderna, Palermo
31 maggio – 1 settembre 2014
Via Sant’Anna 21
+ 39 091 8431605