David Bowie: la vita è un’opera d’arte

di Giuditta Elettra Lavinia Nidiaci.

Il concetto di contemporaneità è una nebulosa spesso millantata, sicuramente difficile da decifrare. Se, come sostiene Giorgio Agamben, “è davvero contemporaneo chi non coincide perfettamente col suo tempo né si adegua alle sue pretese ed è perciò, in questo senso, inattuale, ma, proprio attraverso questo scarto e questo anacronismo, egli è capace più degli altri di percepire e afferrare il suo tempo”, dovremmo sicuramente incoronare l’esile Duca Bianco come il re della contemporaneità, un punk prima del punk, un darkettone prima della new wave: Low(1977) ad esempio, è un disco già post-punk rispetto all’epoca in piena punk explosion, a tinte nere ed infernali, intrise di dolore, tipiche della new wave, con i colori della copertina rassomiglianti ad un girone dantesco.

Bowie ha anticipato tutto senza mai accorgersi di farlo, ed è ciò che è davvero encomiabile in un autentico artista contemporaneo: neanche il mostro sacro Warhol lo comprese a pieno al suo tempo, nonostante in Hunky Dory(1971) ci fosse un brano dedicato proprio a lui, il cui ritornello recita “Andy Warhol looks a scream / Hang him on my wall / Andy Warhol, Silver Screen” (Andy Warhol è uno spasso / Appendetelo al muro / Andy Warhol, schermo d’argento), Warhol infatti, non toccò certamente il cielo con un dito, non si esaltò e non ringraziò a dovere, si, perché grazie a David poi, alias Ziggy di quegli anni (immediatamente successivi all’era di Hunky Dory), alle maschere, ai colori, ai “ragni di Marte” (The Spiders From Mars), all’essere artefatto con classe, Warhol torna a dipingere “a braccetto” con Mao, ritraendolo tante volte quasi in quante dimensioni differenti, ciò lo condurrà successivamente a Roma, perché ABO, altro mostro sacro, inaugura nel ’73 la sua Contemporanea, promossa dagli Incontri Internazionali d’Arte, associazione fondata da Graziella Lonardi Bontempo, a cui il buon Andy, da brav’uomo di marketing, fa il ritratto.

Bowie dunque, senza accorgersene e senza volerlo, innesca un processo di carattere non solo internazionale, ma anche interdisciplinare: ne è un altro chiaro esempio la copertina dell’ancor precedente album Space Oddity(1969), per il quale Bowie sceglie il fotografo Brian Ward, il quale abbina ad un primo piano frontale di Bowie uno sfondo blu, ispirazione fedele ad un disegno di Vasarely, niente di meno che padre dell’Optical Art. Mai contento, Bowie uccide uno ad uno i personaggi che incarna, con la foga di essere il vate custode di una verità da dischiudere, da svelare in note, in piena regola simbolista e decadente, mai banale: celebre il concerto del 3 luglio 1973 presso l’Hammersmith Palais a Londra, nel quale Ziggy Stardust (alias Bowie), annuncia la morte del gruppo che lo accompagna, The Spiders From Mars, ma ancor di più quando decide di spogliarsi di tutti i precedenti, stravaganti look per essere solo un timido Pierrot, come nel video del singolo Ashes To Ashes, dal mitico album Scary Monsters(1980), proprio all’inizio del decennio più eccessivo e glitterato che mai, per poi tornare, solo qualche anno dopo, agli stravizi tipici del Bowie super star, di cui è chiaro esempio il singolo Let’s Dance(1983), tratto dall’omonimo album. Si può dire dunque che Bowie sia stato al contempo fanciullino pascoliano e superuomo dannunziano, uno “starman” che parla ai bambini, una stella polare che si fa portavoce della diversità, che c’invita a vivere l’esistenza come un’opera d’arte profondamente autentica e singolare, Bowie che aveva diverso perfino il colore di un occhio dall’altro.

bowie streetIl suo ultimo video, dal profetico titolo Lazarus, si apre inquadrando uno stipo, nel quale egli alla fine entra nascondendosi, come per “stiparsi”, come a simboleggiare l’alfa e l’omega delle sue espressioni artistiche ed esistenziali. E se come D’Annunzio sosteneva “bisogna fare della propria vita come si fa un’opera d’arte”, possiamo dire che il “Thin White Duke” ci è riuscito in piena regola.