di Alessandro Riva
Finalmente è arrivato. Lo schiaffo più duro, la denuncia più netta e inappellabile alla scandalosa mostra-beffa di Bologna che si aprirà mercoledì 18 marzo, intitolata Street Art, Banksy&co. L’arte allo Stato urbano – una delle più vergognose operazioni condotte negli ultimi anni sulla street art in Italia, voluta dalla società Genius Bononiae dell’ex Rettore dell’Università di Bologna Fabio Roversi Monaco, che dalle colonne di If Magazineabbiamo più volte denunciato, nel silenzio tombale di molti dei solitamente assai petulanti protagonisti della street art italiana e nel cerchiobottistico atteggiamento “super partes” di molta stampa specializzata, impegnati unicamente a “dar voce a tutti”, a cominciare naturalmente dai curatori della mostra in questione, nel maldestro tentativo di non scontentare nessuno –, lo schiaffo più duro, dicevamo, è arrivato proprio dal primo, più celebre e più esposto degli street artist italiani, Blu. Che in una notte di passione, quella appena trascorsa (11-12 marzo), ha cancellato (con la collaborazione di numerose persone, ragazzi e adulti occupanti dei centri sociali XM24e Crash) tutti i suoi dipinti bolognesi, creati in oltre vent’anni di lavoro.
Uno schiaffo, un atto drammatico e radicale (l’unica vera azione realmente radicale possibile, forse, di fronte alla tracotanza di chi crede di potersi sempre appropriare di ogni bene, pubblico o privato che sia, basta pagare e avere appoggi giusti nelle élite intellettuali e in chi gestisce il potere economico e politico), che produce un vulnus irrecuperabile e definitivo per la creatività, per l’arte e per la cultura bolognese e italiana, la cui intera responsabilità è da addossare unicamente agli organizzatori, agli ideatori e ai fiancheggiatori della mostra-beffa di Roversi Monaco & co., messa in piedi, com’è noto, appropriandosi, unilateralmente e senza consultare alcun artista, dei dipinti e dei graffiti di molti street artists, scardinati dai muri sui quali erano stati dipinti e ridotti a fare da specchietti per le allodole a una maldestra operazione commerciale camuffata da goffa esposizione didattico-culturale.
Piaccia o meno, noi, come abbiamo rivendicato più volte, le mostre le facciamo e le abbiamo fatte (quando ci sono stati concessi gli spazi) sempre e solo con gli artisti, e non contro di loro, sopra le loro teste e di fatto contro i principi da cui le stesse opere hanno avuto origine, che sono di condivisione sociale e pubblica dell’arte, e non di bieco sfruttamento mercantile del loro valore d’uso. Quando abbiamo potuto e quando ce ne è stata data la possibilità, abbiamo infatti dato voce agli artisti, in maniera allargata, condivisa e democratica, senza se e senza ma (attirandoci critiche e alzate di spalle dagli eterni fighetti del sistema, quando ancora nessun altro curatore italiano si sognava di sdoganare alcuno street artist in un museo o istituzione pubblica). Proprio a Blu e a Ericailcane (quest’ultimo poche settimane fa aveva già denunciato pubblicamente gli organizzatori della mostra bolognese sulla sua pagina Facebook, definendoli “parassiti”, “tombaroli”, “ladri di beni comuni”, “sedicenti difensori della cultura” e altre contumelie del genere), a Blu e a Ericailcane, dunque, io stesso, nel 2007, con l’appoggio e la complicità di Sgarbi, all’epoca assessore alla cultura al Comune di Milano, ho (abbiamo, io e Sgarbi) scelto di concedere, senza chiedere alcun progetto preventivo e dando assoluta libertà di espressione e d’arte, la parete esterna del Pac nel corso della mostra Street Art Sweet Art,unico caso in Italia di facciata di uno dei più importanti musei italiani data in permanenza a uno street artist.
I due artisti, come sono soliti fare, l’hanno utilizzata con straordinaria libertà e intelligenza visiva ed etica, creando un grande murale in cui sono raffigurati centinaia di personaggi, umani, umanoidi ed essere zoomorfi, che sniffano montagne di cocaina (metafora di un più generale asservimento generale alla cultura e ai credo dominanti e al dio danaro), vendendo il culo, il cervello, la propria libertà e la propria dignità agli eterni padroni del vapore. Per quel muro “regalato” alla città di Milano, di cui, grazie all’appoggio e alla complicità di Sgarbi, mi sono assunto interamente la responsabilità e l’onere (peraltro bassissimo: i due artisti si sono fatti pagare giusto i colori e il tempo impiegato ad eseguirlo, calcolato in ore “come normali imbianchini”, e sborsati interamente di tasca mia), non ho (non abbiamo) mai avuto alcun riconoscimento, né pubblico, né privato, né dal sistema dell’arte, né dal marcio e fascistoide sistema dell’informazione, d’arte o non d’arte, italiano; e neppure dal cosiddetto “mondo della street art”. Ma tant’è. I giornalisti-servi, i funzionari pubblici codardi, i critici-chierichetti e il marcissimo sistema dell’arte italiano che gli gira intorno, e spesso anche molti street artists, preferiscono semmai celebrare post-mortem il martirio di Pasolini, che tanto ormai è morto e non dà più fastidio a nessuno, e che se fosse vivo oggi sarebbe invece linciato e mandato in galera come deviato e molestatore di giovinetti dagli stessi che, post-mortem, ne celebrano invece le gesta e gli scritti, anziché ragionare sui silenzi e sulle censure, più che mai reali e palpabili, e più che mai presenti oggi nel sistema del potere e dell’informazione, imposte dal conformismo e dalla legge del politicamente corretto dilagante, che è una forma di fascismo di gran lunga peggiore e più ammorbante del fascismo storico tradizionale.
Dal canto loro, Roversi Monaco e i suoi compagni di merende hanno deciso invece, con un’arroganza senza precedenti nella storia delle mostre d’arte italiane e internazionali, di appropriarsi di ciò che non è loro, strappando, con consumata perizia tecnica e con la collaborazione di professionisti del settore, disegni e dipinti da esporre poi in una mostra pubblica, ideata e gestita senza la collaborazione degli artisti (che per la maggior parte sono stati dunque invitati a partecipare a loro insaputa e contro il loro stesso volere). Da un’azione così tetra e arrogante non poteva che arrivare una risposta dura, al limite dello sfregio. Risposta che oggi è arrivata dalla più famosa (e contesa) delle vittime designate – Blu, appunto.
Le motivazioni di questo gesto estremo e drammatico sono state affidate al collettivo letterario di impronta post-situazionista Wu Ming, che in un comunicatoha per l’appunto denunciato l’operazione di Roversi Monaco & compagni come il “simbolo di una concezione della città che va combattuta, basata sull’accumulazione privata e sulla trasformazione della vita e della creatività di tutti a vantaggio di pochi”. “Non stupisce”, scrivono Wu Ming, “che sia l’amico del centrodestra e del centrosinistra a pretendere di ricomporre le contraddizioni di una città che da un lato criminalizza i graffiti, processa writer sedicenni, invoca il decoro urbano, mentre dall’altra si autocelebra come culla della street art e pretende di recuperarla per il mercato dell’arte. Non importa se le opere staccate a Bologna sono due o cinquanta; se i muri che le ospitavano erano nascosti dentro fabbriche in demolizione oppure in bella vista nella periferia Nord. Non importa nemmeno indagare il grottesco paradosso rappresentato dall’arte di strada dentro un museo”. “Dopo aver denunciato e stigmatizzato graffiti e disegni come vandalismo, dopo avere oppresso le culture giovanili che li hanno prodotti, dopo avere sgomberato i luoghi che sono stati laboratorio per quegli artisti, ora i poteri forti della città vogliono diventare i salvatori della street art. Tutto questo”, dicono, “meritava una risposta. …Di fronte alla tracotanza da landlord, o da governatore coloniale, di chi si sente libero di prendere perfino i disegni dai muri, non resta che fare sparire i disegni. Agire per sottrazione, rendere impossibile l’accaparramento”. “Questo atto”, scrivono i Wu Ming, “lo compiono coloro che non accettano l’ennesima sottrazione di un bene collettivo allo spazio pubblico, l’ennesima recinzione e un biglietto da pagare. Lo compiono coloro che non sono disposti a cedere il proprio lavoro ai potenti di sempre in cambio di un posto nel salotto buono della città. Lo compiono coloro che hanno chiara la differenza tra chi detiene denaro, cariche e potere, e chi mette in campo creatività e ingegno. Lo compiono coloro che ancora sanno distinguere la via giusta da quella facile”.
Un gesto difficile, certo, a tratti quasi drammatico. Un’azione radicale, la più radicale possibile, che priva la città e la comunità di opere straordinarie, uniche, irrecuperabili, per colpa di un atto violento e arrogante, quello di Roversi Monaco & co., di portata limitata nello specifico, ma di enorme portata a livello simbolico. Quello di Blu è, politicamente ed eticamente, un gesto estremo di un artista coerente con se stesso e con la propria storia fino all’auto-immolazione. Dal punto di vista artistico, è un gesto radicale come quello che fu di De Dominicis, che negava la possibilità di riprodurre le proprie opere per non adeguarsi alla banalizzazione e falsificazione imperante. Un gesto drammatico, certo, di cui ci da un lato ci rammarichiamo, perché ci priva per sempre di opere straordinarie e meravigliose, ma che nella sua assoluta radicalità non possiamo che apprezzare e appoggiare, senza se e senza ma.
12 marzo 2016