di Alessandro Riva
Il David di Michelangelo trasformato in un guerrigliero, ritratto con un mitra in mano. La Madonna, in una street artist, che offre al suo piccolo bambin Gesù una bomboletta spray. Il pifferaio di Manet, in un incantatore di ratti. Sono solo alcune delle icone tratte dal grande alveo della storia dell’arte, trasfigurate (e messe in mostra ora a Milano, nella nuova sede della galleria Wunderkammern di via Ausonio 1A) da uno dei più famosi, e celebri, street artists europei, quel Blek le Rat che lo stesso Banksy considera un maestro: “Ogni volta che dipingo qualcosa in strada”, ha dichiarato una volta lo street artist britannico, “finisco per scoprire che Blek Le Rat l’ha già fatto vent’anni prima di me”; ed è un omaggio non puramente formale, di facciata, ma sincero, in qualche modo dovuto e doveroso, da parte del più celebre street artist vivente, dal momento che è stato proprio il suo collega francese a “inventare”, prima di lui, non solo il personaggio del ratto, che in seguito, seppure con diverse declinazioni formali, diverrà il marchio di fabbrica di Banksy, ma anche la tecnica dello stencil, che sempre Banksy utilizzerà in seguito per la maggior parte dei suoi lavori. Blek le Rat (al secolo Xavier Prou, parigino, classe 1952), dal canto suo si è sempre schermito: “Come artista, penso davvero che, oggi, nessuno inventi più niente”, dirà una volta. “Per me, si tratta semmai di concentrarmi su una suggestione che ho ricevuto, più che di inventarmi un nuovo trucco. Tutti ricreano quello che hanno già visto, ma ciascuno lo fa a modo suo”.
Eppure, Blek le Rat è stato davvero un pioniere, e un apripista, per molta street art europea, e non solo. A cominciare appunto dalla tecnica (lo stencil, che oggi giustamente la mostra di Milano trasforma a sua volta in opera a se stante, quasi un’icona-feticcio del suo percorso e dell’intera sua pratica artistica), per continuare con i temi, le simbologie, l’approccio ironico-demistificatorio, e lo stesso modo di porsi di fronte alle icone storiche, artistiche e culturali, come a quelle popolari e politico-sociali.
Dopo un viaggio a New York nei primissimi anni Settanta (“Era il 1971, e sono subito rimasto molto impressionato dai graffiti. Vedendo nella metropolitana una tag con sopra una corona [la caratteristica firma di Basquiat, ndr], ho chiesto al mio amico Larry: ‘che diavolo è quella roba?’, e lui: ‘non lo so, questi sono completamente pazzi’”), Blek le Rat comincia a dipingere in strada solo all’inizio degli Ottanta. “A quel tempo”, ricorderà ancora l’artista, “studiavo architettura, e ci ho messo dieci anni a capire che l’arte dei grafiti era un fenomeno molto importante. Avevo ancora in mente i graffiti visti a New York, così a un certo punto ho iniziato a dipingere in strada con un amico. Ho disegnato centinaia di ratti e il mio amico ha disegnato una banana. Ci firmavamo entrambi Blek”.
Il nome Blek (in seguito, quando rimarrà solo a dipingere in strada, perché il suo amico nel frattempo ha abbandonato i graffiti, trasformato ironicamente in Blek le rat) lo prende di peso da quello di un celebre personaggio dei fumetti, il Grande Blek (o Blek Macigno, in francese appunto Blek le roc, Blek la roccia). Come prima azione di demitizzazione e di rovesciamento ironico dei significati e dei simboli, sia provenienti dalla cultura alta che da quella popolare, ecco che, nella visione dell’artista, l’altisonante e retorica “roccia” del Grande Blek si trasforma più prosaicamente in “ratto” – che da quel momento diventerà il segno distintivo dell’artista –, in perfetta coerenza con lo stile tagliente, demistificante e latamente “punk” del suo linguaggio e della sua pratica artistica futura.
Da subito, del resto, le caratteristiche del lavoro di Blek le Rat sono proprio uno stile asciutto, severo, quasi sempre in bianco e nero, con figure realizzate a stencil, una tecnica ancora non utilizzata, o pochissimo utilizzata, dagli street artists a quel tempo, e che l’artista francese dichiarerà di aver cominciato a usare ispirandosi alle immagini di propaganda fascista in Italia, quando gli capitò di vedere, nel corso un viaggio nel nostro paese fatto assieme al padre, il volto di Mussolini che campeggiava sui muri (“che roba è?, chiesi a mio padre; e lui mi spiegò che durante la guerra utilizzavano gli stencil come forma di propaganda”). Da lì, l’idea che tutta l’arte di strada, in fondo, sia una forma di propaganda, portando così all’estremo l’intuizione di Warhol dell’arte come prodotto di massa, sottoposta cioè alle stesse regole del markewting e della società dello spettacolo e del consumo: “L’arte urbana è di per sè ripetitiva”, ha dichiarato infatti l’artista. “Non realizziamo una sola immagine, la riproduciamo decine, centinaia di volte nella stessa città e questo ha a che fare con la propaganda. Siamo degli artisti “di propaganda”. Abbiamo il desiderio di farci conoscere e la ripetizione è il nostro mezzo per farci pubblicità”.
E poi, ancora, il rimescolamento di icone della cultura alta con immagini e metafore prese dalla strada e dalla quotidianità; e soprattutto molta ironia, uno stile graffiante e divertito, che non risparmia e non guarda in faccia niente e nessuno, in un mix di surrealismo quotidiano, dai tratti latamente punk, e di satira politico-sociale; oltre, non da ultimo, a una forte conoscenza della storia dell’arte, che traspare da quasi tutti i lavori, spesso riferiti a grande opere del passato – dalla Gioconda all’Ultima cena passando per Raffaello, Botticelli, Michelangelo, Antonello da Messina, Degas, Manet e gli altri maestri della storia dell’arte di tutti i tempi, in un gioioso, divertito e caotico museo d’arte rivisitato, demistificato, demitizzato, in cui anche i grandi capolavori del passato sono riportati anch’essi al grado di “semplici” icone della civiltà di massa – approccio in seguito divenuto molto di moda anche nell’arte contemporanea, ma che l’artista francese cominciò a utilizzare in grandissimo anticipo sui tempi.
Nel corso degli anni, Blek le Rat ha realizzato anche molte opere d’arte riferite a situazioni politiche o sociali: come il David con il mitra (che l’artista, ebreo per parte di madre, dichiarerà di aver fatto “in supporto a Israele”, benché sia contro la guerra tra Israele e Palestina, e contro tutte le guerre in generale), alla figura del mendicante, realizzata per ironizzare, e sensibilizzare, sul problema degli homeless a Parigi. Ma oggi l’artista si smarca anche da una visione dell’arte troppo schiacciata su problematiche politiche o di attualità: “L’arte per me è ribellione, ma soprattutto ribellione contro l’arte e la cultura dominanti”, dice. Forse, anche in questo caso, un segno, in anticipo sui tempi, di ritorno a un’arte che sia meno banalmente “politica”, come negli ultimi anni è stata, ed è tutt’ora, molta parte della street art più di tendenza (a cominciare dalle opere dello stesso Banksy, troppo spesso riferite, soprattutto negli ultimi anni, a singoli fenomeni socio-politici, come la tragedia dei migranti e dei rifugiati, col rischio di una certa stucchevolezza retorica), e invece più divertita, più ironica e disincantata.
“Nessuno è profeta nella sua epoca”, dice Blek le Rat, parafrasando il celebre motto “nemo propheta in patria”. “Io ci ho messo 27 anni a portare in giro il mio messaggio, e ancora non sono riconosciuto come dovrei: sono poco conosciuto, il mio lavoro non è nei musei e la gran parte dell’establishementartistico considera i graffiti una merda”. Forse è davvero venuto il momento che la musica cambi, per lui e non solo per lui. E allora anche Blek le Rat sarà celebrato nella maniera che davvero si merita.
Blek Le Rat | Propaganda
Wunderkammern, Milano
Via Ausonio 1A, Milano
Dal 20 gennaio al 5 marzo 2016