Bello Figo, col suo libro “Swag Negro” si apre l’era delle nuove icone pop brutte, sporche e cattive

di Alessandro Riva

Bello Figo? Un’icona pop. Naturalmente, un pop nuovissimo, postcontemporaneo, destrutturato, remixato, fluido e difficilmente etichettabile, insomma un vero e proprio “Pop 3.0”. È questa, in poche parole, l’idea che sta alla base del libro-diario “Swag Negro”, appena uscito per Rizzoli e già stravenduto fin dalla prima giornata in libreria, in cui il celebre trapper italiano, autore di “No pago affitto”, si racconta ai suoi fans (ma anche ai suoi “haters”) in una sorta di diario non cronologico, ispirato alla lontana ai celebri “Diari” di Keith Haring. Lui, Bello Figo, già Bello Figo Gu in omaggio al suo primissimo nome, Gucci Boy (poi è stato costretto a cambiarlo in seguito alla minaccia di cause milionarie arrivate dalla celebre casa di moda), lui, che anche nella scena trap è tutto sommato un solitario, un apripista, amato e odiato, guardato un po’ con invidia e un po’ con sospetto, uno che non si mescola granché coi suoi “colleghi” trapper, insomma una primula rossa della nuova scena trap italiana.

Felipe Cardena

Giacon

Soprattutto, un tipo attentissimo al suo personaggio ma nella realtà più serio, posato e compassato di quel che ci si potrebbe aspettare (è astemio, non si droga, le sue passioni sono le griffe, la Mini Minor, la pasta col tonno e naturalmente la “figa bianca”, di cui decanta sempre le lodi nelle sue canzoni). Lui, dunque, il trapper italiano (in realtà italo-ghanese) più strano, bizzarro e originale che sia comparso sulla scena italiana (fino a questo momento, almeno: ma vogliamo parlare di Young Signorino, su cui la rete si sta dividendo da settimane?), amato dai ragazzi che ne apprezzano la totale trasparenza e semplicità dei testi al limite del tautologico e anche del demenziale (la sua prima hit, del 2012, che oggi su youtube conta la bellezza di 2 milioni e 900 mila visualizzazioni, si intitola “Mi faccio una sega” e ripete per tutto il tempo il titolo della canzone); lui, proprio lui, dunque, è approdato da Rizzoli con un libro che, sul modello dei Diaridi Keith Haring, appare oggi come una sorta di “prova generale” per la trasformazione di alcuni “miti” giovanili, contemporanei e freschissimi – tanto freschi da non essere ancora stati metabolizzati dalle grandi masse – in vere e proprie icone pop contemporanee.

Squaz

La “rivoluzione” di Bello Figo, dunque, non è che la spia di un cambiamento. Nella musica, dove la trap spopola ormai da qualche anno, ma anche nelle varie forme della produzione culturale più allargata: non è un caso che giornali fortemente connotati e molto letti tra i ragazzi, come Rolling Stonese Vice, abbiano dedicato al “fenomeno” Bello Figo articoli, interventi e interviste, come non è un caso che un editore popolare come Rizzoli si sia fatto convincere a dedicare al trapper italo-ghanese un libro, forse il primo, dicono, di una serie dedicata ai nuovi miti musicali giovanili; e che a questo libro abbiano partecipato, con le loro opere, una decina di artisti della scena neo-pop europea, che lo hanno “immortalato” come una vera e propria icona postcontemporanea.

Marco Teatro

Dunque, si potrebbe dire che, se nella musica l’aria è cambiata radicalmente, tanto cambiata che oggi milioni di ex rockettari (e anche di ex rappettari) guardano stupefatti e un po’ inorriditi alle nuove anti-melodie portate sulla scena dai trapper più estremi, a volte così strane, assurde e bislacche da arrivare al limite della cacofonia, anche l’arte, dal canto suo, comincia a guardare con interesse, stupore e divertimento (e a volte anche in maniera fortemente critica) a questi nuovi fenomeni. Così, se fino a ieri la maggior parte degli artisti si spingeva al massimo a rielaborare per la centesima volta l’ennesimo volto di Marilyn à la manièredi Andy Warhol, oggi anche questi nuovi personaggi, autenticamente pop – per lo meno nel senso di “popoular”, dal momento che sui loro canali youtube e sui loro social contano milioni di followers e di like – stanno piano piano cominciando a essere guardati da alcuni artisti come un nuovo, possibile soggetto di riflessione, e, se non proprio di mitografia contemporanea, certo come degli strani simboli del nuovo paesaggio sociale, radicalmente mutato nel giro di una manciata d’anni, non solo dal punto di vista musicale ma anche da quello estetico- antropologico.

Ecco allora che, mentre in rete ci si scanna tra favorevoli e contrari al nuovo corso musicale e alle sue star; mentre le riviste culturali e musicali provano invece a interpretare e a spiegare il fenomeno a chi non lo capisce o non intende capirlo (un ottimo esempio di analisi antropologico-culturale del fenomeno è l’articolo Gli alieni della trap spiegati ai quarantennipubblicato sulla rivista on line Il lavoro culturale), anche nel mondo dell’arte qualcosa comincia a muoversi.

Laboratorio Saccardi

Ma che cos’è esattamente questo “Swag Negro”? Un diario d’artista, prima di tutto: un diario privato, scritto in maniera non sempre cronologica, che oscilla tra l’intimista, il paradossale e il demenziale, ma con parti anche molto serie: benché sia scritto in un linguaggio più che mai folle e destrutturato, una sorta di argot meticcio, iperbolico e grottesco, che “ricalca” in scrittura il linguaggio parlato di Bello Figo (zeppo di “minghieee”, “SwaG”, “Vaffachiulo”, etc.), in “Swag Negro” si parla di musica, di speranze, di sogni giovanili, di divertimento, di sesso, di futuro, di razzismo, di stereotipi, di violenza, di discriminazione e di ricerca della felicità. Ma non solo: “Swag Negro” è, infatti, anche una sorta di catalogo d’arte, o una sorta di mostra collettiva su carta. A “illustrare” il libro di Bello Figo, infatti, sono stati chiamati dieci artisti contemporanei: oltre a Felipe Cardeña, che ha realizzato la copertina del volume, ci sono Francesco De Molfetta, Max Ferrigno, Massimo Giacon, Pao, Pablo Pinxit, Laboratorio Saccardi, Squaz, Gigi Tarantola e Marco Teatro; i quali, ognuno col proprio stile e la propria carica ironica o provocatoria, hanno reinterpretato il personaggio Bello Figo in chiave vuoi neo-pop, vuoi punk, vuoi fumettistica, vuoi ironico-concettuale, vuoi giocosa, vuoi politico-sociale.

“Bello Figo ha importato in Italia un genere musicale che qua ancora non esisteva, la trap, che negli Stati Uniti era già molto diffusa”, spiega Christian Gangitano, che ha curato la parte artistica del volume (la parte dei testi è curata invece da Marta Boggione), “aggiungendovi una carica ironica che ha spopolato tra i ragazzini (quello che lui chiama ‘trollare’). Piaccia o no, lui è stato il primo, e questo gli va riconosciuto. In più, anche come personaggio, con i suoi abiti griffati, i suoi modi di fare, la sua ironia folle e divertita, persino con un nome ‘trollato’ da una casa di moda, ha letteralmente sfondato, colpendo l’immaginario dei più giovani. Ecco allora che la grande sfida con Rizzoli è stata quella di provare a unire la musica e l’arte, come da sempre storicamente è accaduto nei momenti di vivacità e di fermento culturale, trasformando il personaggio Bello Figo da ‘semplice’ star del web in un fenomeno più complesso, più stratificato anche, che interagisse o ispirasse gli artisti più provocatori e più anticonformisti del tempo”.

Bello Figo con la T-shirt del Laboratorio Saccardi

Bello Figo con Christian Gangitano

Eccoli, allora, gli artisti chiamati da Christian Gangitano a interpretare il nuovo “corso musicale” interpretato da Bello Figo: c’è Massimo Giacon, famoso come fumettista fin dagli anni Ottanta e oggi artista e designer di grande successo, che lo trasforma in vero e proprio personaggio da striscia comico-satirica; c’è Marco Teatro, presente fin dai tempi non sospetti sulla scena street italiana, ma anche tra i protagonisti del movimento punk milanese, riportarlo all’estetica punk dei volantini e dei ciclostilati movimentisti degli anni Settanta.

E c’è il Laboratorio Saccardi, coppia di artisti anti-sistema che più anti-sistema non si può (o, come si autodefiniscono provocatoriamente sui social, “l’unica avanguardia artistica italiana”), che ne ricalcano messaggi provocatori e linguaggio paradossale nelle loro stranissime t-shirt “brutte, sporche e kattive” come se ne sono viste poche, che sembrano calzare a pennello a questa nuova generazione di trapper disturbanti, provocatori al limite e spesso oltre la decenza, senza buonismi, perbenismi e peli sulla lingua né timori reverenziali di alcun genere, e soprattutto senza la voglia di piacere a tutti i costi agli adulti, ai giornali e alle case discogarfiche; e ancora, Gigi Tarantola che lo stilizza come un personaggio da cartoon underground, Max Ferrigno che lo ritrae col suo inconfondibile stile iperpop, lo street artist Pao che lo trasforma in pinguino urbano, Pasquale Squaz Todisco che ne metta in scena le gesta in una graphic novel da avventura metropolitana, Pablo “Pinxit” Compagnucci che ne nette in risalto la tendenza psichedelica, Francesco De Molfetta che ne fa un ritratto simbolico-parodistico, a partire dalle sue due passioni, la pasta col tonno e la figa bianca…

Bello Figo con la Felipe Cardena Crew

E, infine, Felipe Cardeña, che ne immerge la silhouette nel classico pattern pop-floreale che contraddistingue i suoi quadri, dando vita, assieme alla sua crew di ragazzi giovanissimi (che, per età e storia generazionale, la trap la ascoltano realmente, e da anni, e non come puro fenomeno di curiosità sociologica o mediatica del momento), a una sorta di performance-sfilatadurante la prima data di presentazione del volume, a Milano, per ringraziare il trapper della sua visita al loro “atelier”, raccontata per filo e per segno nel volume (“Sono una crew di giovani artisti e dicono robe strane, pazze, incazzate: Gioia, Rivoluzione, Libertà e Psichedelia del desiderio. Parlano di bellezza, immaginazione, dicono che se ne fottono di questo e di quello, di chi comanda, dell’ipocrisia… ci sta, bella, mi piace!”, annota il trapper, chiosando: “Oggi qui alla Factory Cardeña ho trovato altre persone che come me vogliono essere libere di esprimersi e basta. Che vogliono fare arte e se non lo capisci sono cazzi tuoi”).

“Bello Figo si rivolge proprio a questa generazione, la generazione Teen Trap”, dice Gangitano. “Ragazzi che non si sentono rappresentati dai vecchi miti, dalle vecchie melodie e dai vecchi mezzi di comunicazione ormai moribondi, ma si reinventano i mezzi e i modi per farsi conoscere, naturalmente attraverso la rete, per parlare ai loro coetanei, per raccontare la loro vita, i loro sogni e le loro passioni in maniera diretta e spesso molto radicale. A volte, come in Bello Figo (e in maniera ancora più estrema in Young Signorino), registrando quel senso di vuoto, di mancanza di stimoli e di ideali, di desolazione e a volte anche di disperazione, che bene o male contraddistingue questa nuova generazione. Ed è proprio questo che fa scattare l’identificazione da parte di molti di questi ragazzi con i nuovi trapper: proprio perché sono immediati, schietti, privi di filtri e di schermi, e vanno a ruota libera dicendo quello che pensano e che provano, senza moralismi e senza schemi prefissati. E che, in questo modo, diventano veramente le nuove icone popolari giovanili”.

Ed è con questa nuova generazione di star, webstar e relativi fans che, piaccia o no, anche l’arte d’ora in poi dovrà fare i conti. A meno che non voglia rimanere chiusa per sempre nella sua arida e noiosissima torre d’avorio, fatta di megalomani, inutili, ininfluenti e pretenziose esercitazioni mentali, nei suoi giochini intellettuali e nelle sue masturbazioni linguistiche per pochi eletti, che ormai non interessano più a nessuno, non appassionano più nessuno, non incantano più nessuno.