Arte Pro-Tav? Sì, no, ni. Il tunnel delle polemiche fa discutere. Ma Beatrice non ci sta: l’arte deve far discutere, se no a cosa serve?

di Alessandro Riva

Dopo l’arte dichiaratamente “No Tav” di Blu (autore di ben tre murales in Val di Susa contro il progetto dell’Alta Velocità), ora c’è, per contrasto, anche l’arte “Pro Tav”? Così sembrava, all’apparenza, con il disvelamento del nuovo progetto TAW (acronimo per “Tunnel Art Work”), a cura di Luca Beatrice, che ha affidato a due artisti italiani, Simone Fugazzotto e Laurina Paperina, e a un francese, Ludo, la decorazione dei muri e del trenino di servizio che porta gli operai nel tunnel della Maddalena di Chiomonte, in Val di Susa, appunto nel cuore del contestatissimo progetto della Tav, che da anni vede manifestanti italiani e stranieri impegnati a fianco di una parte rilevante della popolazione locale nel tentativo di bloccare i lavori di scavo con proteste, blocchi, presidi, manifestazioni, picchetti. Oltre che con la realizzazione di concerti, happening e opere d’arte pubbliche: come quelle, appunto, ormai arcifamose, di Blu, bandiera e simbolo di un’arte impegnata ed estranea (oltre che esplicitamente contraria e antagonista) alle logiche del sistema dell’arte e di quello politico “ufficiale”.

Sembrava, dicevamo. Perché, a pochi giorni dalla conferenza stampa che ha visto schierati, di fianco al curatore Luca Beatrice, gli artisti che erano intervenuti pittoricamente nel tunnel, assieme a Mario Virano, direttore generale di Telt (Tunnel Euralpin Lyon-Turin), la società binazionale che sta costruendo la Nuova Linea Torino-Lione, e all’Assessore alla cultura della Regione Antonella Parigi, ecco che già due su tre artisti sembrano volersi “sfilare” dal progetto, o per lo meno dalle sue intenzioni.

“Non ero a conoscenza (mea culpa) di tutto quello che sta avvenendo in quella zona e mi dispiace che il mio intervento possa sembrare un’azione di propaganda, che ribadisco, assolutamente non è”, ha scritto Laurina Paperina in una lettera pubblica di scuse dopo essere stata subissata di mail di proteste e, pare, anche di insulti per aver partecipato a un’operazione da più parti considerata (con più d’una ragione, inutile negarlo) “di propaganda” alla Tav, per lo più un po’ sibillina in quanto utilizza, in maniera sottilmente provocatoria, un linguaggio (la street art) storicamente appartenente alla cultura antagonista; arrivando al paradosso, nelle parole del direttore generale di Telt Mario Virano, di definirlo un progetto che “si inserisce nella cultura dell’underground” (sic), mistificando così oggettivamente il significato di “underground” – che letteralmente sta per “sotterraneo”, ma che nella sua accezione culturale è invece storicamente appannaggio di una cultura anti-sistema, libertaria, estranea e contraria alle logiche di potere e di denaro, indubbiamente e di fatto preponderanti, invece, nel progetto Tav.

“La scorsa estate”, scrive Laurina Paperina, “sono stata invitata dal curatore Luca Beatrice a partecipare a questo progetto, il cui scopo era far entrare l’arte in un luogo inusuale, dove solitamente l’arte non ha nulla a che fare; il lavoro l’ho realizzato mesi fa, il mio intervento è stato dipingere due dei treni che usano gli operai per lavorare nel cantiere, e l’ho fatto in maniera ‘inconsapevole’, convinta del fatto che il mio intervento non voleva essere né provocatorio, né tanto meno pro Tav”.

L'allegro trenino di Laurina Paperina

Un dietro-front in piena regola, dunque, nonostante (sottolinea il curatore Luca Beatrice) i soldi già regolarmente intascati (una cifra non eccelsa, peraltro, che non supera certo i 5 mila euro ad artista, se è vero che per l’operazione totale si è speso, pare, 20 mila euro).

Ma non è finita. Anche Simone Fugazzotto, il secondo dei due artisti italiani coinvolti, autore di un mega-cruciverba in cui compaiono alcune della parole-chiave che circondano il progetto (“Velocità”, “Sottosuolo”, “Profondità”, “Tunnel”, “Tav”, ma anche “Controllo”, “Polemica”, “Soldi”), travolto (parole sue) da circa mille mail al giorno con proteste, insulti, inviti a ripensarci e a smentire il lavoro fatto, oltre a contumelie e derisioni pubbliche (ultima in ordine di tempo, quella di Erri de Luca: “Molti artisti si sono messi al servizio di potenti e prepotenti. Di solito espongono le loro opere in gallerie d’arte. Qui si espone nella galleria dell’infamia”), fa ora un (mezzo) dietro-front: “Non mi aspettavo queste polemiche e non vorrei alimentarne di nuove”, assicura, per poi precisare: “L’idea del cruciverba nasce dal conceptche ci ha dato Beatrice, che era quello del sottosuolo: visto che si trova 3 km sotto la montagna era anche pertinente, ma io ho dato una lettura di un sottosuolo interiore, che parlasse della malinconia e della solitudine che riusciamo a provare sommersi da tutte queste parole, da tutti questi social e alla fine i cruciverba diventiamo noi, caselle vuote o piene dove spesso la definizione è sbagliata e non si incastra con le caselle vicine, rendendo tutto un caos. Per quanto riguarda le polemiche non ho pensato a nient’altro (anche in modo egoistico se si vuole) di collaborare con Luca Beatrice e avere la possibilità di dipingere una grande opera in un posto impensabile come quello. Trascorrendo molti mesi all’estero non mi sono reso conto dell’impatto che questo tunnel ha sulle persone e, ripeto, in caso questo rimane un mio limite, ma tant’è”.

Unica voce dissonante, quella del francese Ludo, autore di un murale che rappresenta una sorta di robot-farfalla, dal titolo “Casus belli”. “Ho voluto sottolineare come da sempre il progresso trova opposizioni, gente che non sa o non è in grado di seguirlo e resta indietro, a volte con suo proprio danno”, ha dichiarato, schierandosi dunque a favore della Tav. “Questo genera conflitti, ma il mondo va avanti e non può fermarsi”.

Ludo

Insomma, escluso Ludo, il leitmotivdegli altri artisti coinvolti sembra essere: non sapevo, non mi ero reso conto, e comunque non sono e non voglio essere etichettato come un artista pro-Tav. Paura delle conseguenze? Conformismo ex-post? Volontà di non schierarsi? Certo, è legittimo non volere, e non dovere, per forza prendere posizione, per un artista, di fronte ai grandi o piccoli temi della politica e della vita civile del proprio paese, ma di rischi, se si è persone pubbliche, dopotutto ce ne si prende sempre. Soprattutto se si decide di partecipare a progetti che, volente o nolente, hanno implicazioni oggettivamente “politiche”.

Ne è ben consapevole, per dirne una, Luca Beatrice. Che, a domandarglielo, non ha dubbi: “Se a qualcuno interessa, certo (e non sono così sicuro che interessi), sono pro Tav, e l’ho dichiarato più volte. Non è una questione politica, la Tav è un dato di fatto, non è come il Ponte di Messina su cui si può discutere se sia opportuno o meno farlo, la Tav è da tempo in fase di realizzazione e sarà certamente finita, non ci sono dubbi: quindi essere contro la Tav oggi è come essere contro il semaforo rosso. Detto questo, però”, ci tiene a precisare, “io non ho voluto fare un’operazione di propaganda con il treno e i bambini che salutano dai finestrini: ho chiamato degli artisti a realizzare dei lavori in un posto incredibile, un tunnel sotterraneo, lasciando loro completa libertà di scelta e di espressione”.

E alle obiezioni di chi denuncia un intento latamente provocatorio nell’utilizzare un linguaggio storicamente appartenente alla cultura antagonista, o comunque antisistema, come la street art, per celebrare la Tav (per dirla con le parole dei No Tav: “una goffa risposta alle nostre iniziative mascherata da operazione culturale”, dal momento che “pittori, writer, musicisti, scrittori, scultori, attori, artigiani, intellettuali e molti altri, hanno sempre scelto da che parte stare, schierandosi dalla parte di chi lotta per la libertà di tutti e tutte, per un futuro diverso da quello prospettato dalla voce del padrone. L’arte è una forma di espressione che incarna la libertà, per chi la fa e per chi la vive e pensare di esporre all’interno di un tunnel che scava la montagna, contestato dalla popolazione del luogo, chiuso a tutti, con polizie ed eserciti a presidiarne gli ingressi, ci sembra quanto meno surreale”) – a queste e alle molte altre voci che si sono levate contro questa operazione, come risponde Beatrice?

“Non rispondo”, dice, “perché è sono obiezioni risibili, gli artisti sono e devono essere liberi di operare, e quelli chiamati per questa operazione, anche Ludo, il più ‘politico’ dei tre, che ha sempre realizzato opere dichiaratamente sociali e anche latamente politiche, erano ben consapevoli di quello che facevano. E poi questo, semmai, dimostra che un linguaggio ‘antisistema’ come quello della street art, checché ne dicano, non è sempre unilateralmente schierato”.

Ma oggi alcuni degli artisti coinvolti sembrano prendere le distanze dal progetto… “Forse alcuni, come Laurina Paperina, si sono fatti intimorire e si sono sentiti indifesi di fronte alle mail ricevute, ma certo nessuno di loro può dire di essere caduto dal pero, perché hanno lavorato in totale libertà e consapevolezza, ribadendo quasi tutti, anche in conferenza stampa, di voler fare gli artisti senza voler essere strumentalizzati, in nessun modo. In ogni caso, se poi uno vuole dissociarsi di dissocia prima, non dopo che la fattura gli è stata regolarmente pagata. Così è troppo facile. Io sono un professionista e ho realizzato un progetto che mi sembra soddisfacente, grazie anche agli artisti coinvolti. Poi, credo che fare operazioni che facciano discutere sia tutt’altro che negativo, altrimenti di cosa stiamo a parlare?, sempre di artisti e di lavori mosci, senza nerbo e senza nulla da dire? No, a questo punto meglio la discussione, e anche la polemica”. Della serie: bene o male, l’importante è che se ne parli.

Beatrice, dopotutto, è coerente: da professionista (per altro dichiaratamente pro-Tav) ha fatto il suo lavoro, e l’ha fatto bene. Un po’ meno coerenti gli artisti, coi loro tentennamenti a seconda di come tira il vento. Ma, soprattutto, paiono davvero poco comprensibili le intenzioni degli organizzatori: se volevano fare un lavoro che unisse, o che portasse favori e simpatie alla Tav, forse hanno sbagliato clamorosamente i conti. A giocare con l’arte, e con le parole – per esempio maneggiando a sproposito termini come “underground” –, si rischia che le parole, e di conseguenza anche i fatti, vi si ritorcano contro. L’arte e la cultura hanno percorsi non sempre facilmente comprensibili, ma cristallini: non si può manipolarle a piacimento, parlando di “cultura underground” solo perché si fa dipingere un artista in un tunnel, peraltro massicciamente presidiato dai militari per timore delle proteste popolari. È un po’ come se Pinochet, per giustificare le deportazioni di massa allo Stadio di Santiago, avesse parlato di “grande prova agonistica” del neonato regime…

Quel che è certo è che, piaccia o non piaccia, in arte come nella politica, la Tav continua (e presumibilmente continuerà a lungo) a far discutere. Molto, molto di più del semaforo rosso.