Appropriazione, furto, poesia. Alex Urso e lo Strano Caso di Monsieur G. e delle sue “cartoline galanti” in salsa camp

di Alessandro Riva

Alex Urso: Monsieur G., d’après Leonardo, Bacco

Come il famoso manoscritto trovato in un cassetto, anche un altrettanto misterioso fascio di collagesscovato in un mercatino dell’usato può diventare il pretesto per una riflessione sul senso stesso del fare arte oggi, sulla pratica – ormai più che usata, abusata – dell’appropriazionismo, sulla messa in discussione di ciò che ci perviene dal fondo della nostra storia, recente o passata. Ci sono ancora, è lecito chiedersi, artisti e possibili capolavori nascosti, mai emersi, e viceversa altri presunti capolavori oggi considerati “simbolici” di un’epoca passata che potrebbero essere tranquillamente consegnati all’oblio? E quanto di quello che creiamo, tutti noi – artisti, critici, scrittori e curatori d’oggi, nell’epoca del post-post modernismo avanzato –, ha il pregio e la dote dell’originalità, e non è invece un eterno rimaneggiamento, un’infinita ripetizione di cose e di idee già masticate, di immagini e di opere già fatte, già sperimentare, già viste, già create in precedenza da qualcuno?

Di questo tratta, se si può dire, un progetto anomalo di un artista anomalo. L’artista è Alex Urso, italiano residente a Varsavia, artista ma anche critico, curatore, agitatore culturale. Come altri agitatori e intellettuali irrequieti dei nostri giorni, oggi, in questo luogo virtuale sempre più fluido che è il mondo dell’arte contemporanea, dove gli artisti curano e organizzano mostre, i galleristi si sostituiscono ai critici e fanno a meno di loro, i curatori decidono i trend del mercato, le case di moda prendono il posto dei musei e i critici tornano, a volte, a fare (anche) gli artisti, Alex Urso ha deciso, come altri, di slittare tra una professione e l’altra con leggerezza, con gioiosità, con spavalderia, con la consapevolezza che oggi pratica e teoria, nell’arte, vanno necessariamente a braccetto, intrecciano i loro percorsi, si interscambiano senza complessi di inferiorità dell’una rispetto all’altra, poiché è il senso stesso dell’arte del dopo-avanguardie che ha di fatto abbattuto regole e codici predefiniti, e dunque il ragionare sull’arte e il fare arte non possono che interfacciarsi, rincorrersi e abbracciarsi in maniera sempre più mutevole, incerta, indeterminata, al di fuori di ogni definizione precostituita e da qualsivoglia regola fissata a priori.

Così, come artista – ci informa la sua biografia – Alex Urso si lascia spesso andare alla realizzazione di “assemblaggi tridimensionali, realizzati in seguito alla lavorazione o al semplice dislocamento di readymade e materiali sottratti al quotidiano e riproposti in un contesto artistico autonomo”. “Sono attratto dalle cose”, dice l’artista, e precisamente: “oggetti in disuso, strumenti che hanno finito la loro utilità, elementi del reale che decontestualizzo e faccio miei caricandoli di nuovi valori poetici” (è il caso, ad esempio, dei telefonini su cui l’artista ha innestato frammenti dell’Annunciazionedel Beato Angelico, o dei vecchi LP in vinile sui quali ha riproposto invece la figura del Cristo del Trittico di Danzicadi Memling, raffigurante il Giudizio Universale: ironico gioco metonimico di associazioni di idee tra immagine e concetto, dove l’annuncio è rappresentato dal media telefonico, e il suono delle trombe del Giudizio Universale dalla forma del vinile). “È qualcosa di naturale”, dice l’artista: “cercare poesia nei frammenti più distratti e inosservati del quotidiano. A questi elementi, sottratti alla storia, aggiungo poi elementi della mia vita, cercando il contatto tra esperienza personale e collettiva”.

Alex Urso, Annunciation (The call), after Fra Angelico, 2016

Alex Urso: Monsieur G., d'après Bronzino, Ritratto di Scultore

Ed è anche il caso, ora, dei curiosi ready madeche costituiscono il corpus del suo ultimo progetto, Musée de l’Oubli, Eight collages by Monsieur G. (Museo dell’oblio, otto collages di Monsieur G.). Un progetto nato attorno a una serie di collages, che hanno un po’ il sapore delle “cartoline galanti” d’inizio secolo, ma che ha in realtà uno scopo più ampio: quello, appunto, di un “Museo dell’oblio”, per sottrarre all’indifferenza il lavoro di artisti finiti nel dimenticatoio. “Mi piace”, dice Alex Urso, “l’idea di un museo dell’ignoto, nel quale siano catalogati migliaia di artisti mai conosciuti. Ho mantenuto un titolo in francese in omaggio all’autore di questi collages: ognuno di essi è infatti firmato sul retro (in modo illeggibile) e datato 1979, riportando spesso delle dediche – in francese – ad amici ai quali, probabilmente, i collages erano stati inviati. Da qui la nascita di tale Monsieur G., che è un nome fittizio, simbolico”.

Ma chi è, dunque, questo misterioso Monsieur G? Un anonimo, appunto. Di cui la storia ha perso le tracce (ma che, chissà, forse è ancora vivo oggi), le cui opere sono state ritrovate, per caso, in un mercatino delle pulci (almeno stando a quello che ci dice in proposito l’artista: il dubbio di un’ulteriore e sofisticata falsificazione da parte sua è dopotutto lecito, come esempio di estremo artificio artistico contemporaneo, così come il manoscritto ritrovato è stato, appunto, un classico artificio letterario, usatissimo nella narrativa del passato, da Cervantes a Manzoni).

Che sia vera o no, certo la storia raccontata da Alex Urso ha una sua indubbia coerenza, e un suo altrettanto indubbio fascino: “Il progetto”, spiega infatti l’artista, “è nato due anni fa, dopo aver trovato otto collage di provenienza sconosciuta buttati tra mille cianfrusaglie in un mercato dell’usato nella periferia di Varsavia. Sparpagliati a terra, rovinati dal tempo e dalla pioggia, hanno attirato la mia attenzione per la sensibilità, l’ironia e la minuzia tecnica con cui erano stati realizzati. Ho domandato al venditore di chi fossero e da dove venissero, senza tuttavia avere risposta. Così, pur non sapendo bene cosa ci avrei fatto, ho deciso di salvarli”. E quindi? “Dopo averli comprati, ho dedicato del tempo a ripulirli, risistemarli, cercando di restituire loro quella dignità estetica che il tempo aveva rovinato. In questo caso la mia funzione non è stata propriamente quella di artista o di creatore, ma piuttosto quella di archeologo, che scava tra le pieghe del passato e conferisce nuovo valore a un oggetto artistico caduto nell’oblio”.

Alex Urso: Monsieur G., D'Après Jacques-Louis David, Madame Récamier.

Ma perché, se tutto questo è vero, far ruotare un intero progetto intorno alle opere di un altro? “Personalmente”, dice l’artista, “sono legato a tutto ciò che gira intorno all’appropriazionismo, ovvero l’utilizzo di immagini altrui, che siano opere d’arte passate o esempi visuali sottratti al mondo quotidiano. È una costante che caratterizza da anni tutta la mia ricerca. Questa operazione di dislocamento delle immagini non è fine a se stessa, ma mi serve per stabilire un contatto con un autore passato, creando un gioco di corrispondenze tra le epoche. In questa situazione l’appropriazione è totale: i collage non sono miei, ma io sono il pretesto per portarli nuovamente in vita. Sono un mediatore, una specie di traghettatore. Sono un rappresentante della cultura “istituzionalizzata” che si guarda indietro e riconsidera in modo critico l’atteggiamento selettivo della storia dell’arte, ridando nuova funzione a ciò che era – per qualche motivo – stato dimenticato”.

Che cosa rappresentano, dunque, i collages di Monsieur G.? Sono, a loro volta, ironiche riappropriazioni, che riprendono, ricontestualizzandole come moderne “cartoline galanti”, alcuni capolavori della pittura moderna: dal Bronzino a Raffaello, da Leonardo a Rubens, passando per Jacques-Louis David e François Boucher. Quadri celebri, riprodotti in fotografia, sui quali si innestano degli interventi decontestualizzanti: foto di ragazzi in déshabillé, in pose seducenti e con l’aria ammiccante, che fanno pensare alle fotografie di una rivista pornosoft, a carattere omosessuale, degli anni Sessanta o Settanta.

Ecco allora Madame Récamier, la famosa “regina dei salotti” della Francia napoleonica, dipinta dal David adagiata su un sofà (e poi a sua volta ripresa centocinquant’anni dopo da Magritte, con la figura spiazzante di una bara al posto della donna, e col titolo Perspective de Madame Récamier), tenere in braccio un baldanzoso giovanotto seminudo, vestito, come lei, “alla greca”; ecco il cardinale Richelieu, l’uomo ombra della monarchia assolutista di Luigi XIII, ritratto da Philippe de Champaigne nel 1640, ripreso ora di nuovo con un giovanottone seminudo, in tanga, che gli volge le terga, e sembra guardarlo in tralice, come in attesa di qualcosa.

Alex Urso: Monsieur G., D'Après François Boucher, Diana al bagno.

Ecco, ancora, il giovane uomo (uno scultore, nel quadro originale) del Bronzino, abbracciare però non la propria opera (una scultura, appunto), come nel capolavoro cinquecentesco, ma, nuovamente, un ragazzotto dalle membra ben tornite e il membro bene in vista. E via di questo passo: ecco Giovanna d’Aragona, ritratta da Raffaello (o dal suo allievo Giulio Romano), stringere sempre un bel tomo dal fisico scultoreo; ecco l’armonia delicatissima di Diana al bagno, il celebre quadro di Boucher, spezzata dall’intromissione di un prestante giovanotto che si inserisce, beffardo, tra la dea e la ninfa;  eccoI Quattro Continenti, celebre dipinto di Rubens, nel quale si vedono rappresentati appunto i continenti, raffigurati come figure femminili, ciascuna delle quali è accompagnata da un personaggio maschile, che rappresenta il fiume più importante della regione: c’è l’Europa a sinistra che abbraccia il Danubio, l’Africa nera con il Nilo, l’Asia, a destra, che si appoggia al Gange, e la più giovane America con il Rio delle Amazzoni, al centro. Ma ecco che, all’estrema destra, nel collage di Monsieur G. fa capolino, a cavalcioni di una tigre, il solito bel fusto, con gli attributi bene in vista.

È la spavalderia della sessualità contemporanea che si fa beffe della purgata sensualità dei moderni? O un semplice divertissementa sfondo erotico dell’era postmoderna? E che dire, poi, del Bacco di Leonardo (ridefinizione, pare, di una precedente iconografia del San Giovanni Battista nel deserto), che indica col dito verso l’alto, simbolo di spiritualità e di ascetismo – ma che questa volta è accompagnato, invece, da un trasognato giovanotto in tanga, le mani dietro la schiena, quasi fosse legato in un gioco sado-maso, con lo sguardo rapito, anch’esso rivolto verso l’alto, come in estasi? Estasi divina, estasi sessuale; sessualità (e omosessualità) annidata sotto le vesti del divino… tutte le interpretazioni, dopotutto, sono lecite, essendo l’identità del vero autore dei collages rimasta sepolta nell’oblio.

“Il progetto di Monsieur G.”, dice Alex Urso, “nasce come una riflessione sul concetto di storia dell’arte, che intendo come insieme di eventi fittizi e discutibili: quello che conosciamo è quello che ci è pervenuto, ma non necessariamente la parte migliore. Di certo è la parte che, per motivi per lo più legati al gusto dominante delle varie epoche, è stata selezionata e ritenuta idonea ad entrare nei libri di storia. L’obiettivo di questo progetto è omaggiare un artista caduto nell’oblio, dimenticato o mai conosciuto perché considerato non meritevole di attenzione o memoria da parte del sistema culturale”. Forse, è un giocoso monito per gli artisti di oggi e quelli futuri: il successo, la fortuna o la sfortuna delle opere non sono mai scontati. A volte arrivano, e passano. Altre volte il successo non vi arride (Monsieur G., se mai è esistito, docet), ma qualcuno, un giorno, potrebbe arrivare a tirar fuori le vostre opere dall’oblio. La storia, come il nostro presente, è fluida, e sempre in procinto di venire scritta e riscritta, ed eternamente letta e riletta.

Alex Urso | Musée de l’Oubli, Eight collages by Monsieur G.

DZiK, Ul. Belwederska 44 A, Warsaw

10th – 25th November 2016

This project is a part of 1st Worldwide Apartment and Studio Biennale

www.wasbiennale.com