Un connubio felice quanto inaspettato. All’insegna della convivenza sociale e dell’accoglienza di chi non ha più nulla e fugge dalla guerra, come accade drammaticamente proprio in questi giorni, con lunghissime file di migranti che premono alle frontiere dell’Europa o che muoiono in mare, cercando la pace e la salvezza. Un progetto che è insieme artistico e sociale, e vede riunite la musica degli Almamegretta, uno dei gruppi più innovativi del panorama musicale italiano, e la creatività di Christian Leperino, tra gli artisti più interessanti della nuova scena artistica italiana (di recente vincitore del premio “Show_Yourself” al Museo Madre di Napoli).
Tutti partenopei, i membri della band e l’artista si sono incontrati proprio grazie all’opera di Leperino esposta al museo napoletano, incentrata sul tema della migrazione e del riconoscimento dell’umanità dell’altro: intitolata The Other_Myself, l’opera di Leperino è infatti costituita da 21 teste di migranti prese con la tecnica del calco. “Sono partito dal bisogno di entrare in contatto e di immaginare un’opera che dell’incontro si facesse traccia visibile”, ha raccontato l’artista proprio al nostro giornale. Così, ha chiesto a migranti e rifugiati politici incontrati tra Napoli e le campagne circostanti di posare per un calco, che sarebbe poi andato a fare parte dell’installazione intitolata “The Other Myself”, l’altro me stesso. Il progetto si è via via ingrandito, coinvolgendo una onlus che si occupa di accoglienza ai rifugiati e ai migranti, diventando un laboratorio e un’occasione per conoscersi e scambiarsi i ruoli. “Il titolo”, ha raccontato l’artista, “è nato dalle parole di Abraham, mio amico ivoriano, davanti alla sua testa in gesso: “è bella, è un altro me”, ha detto. Così ho chiamato l’installazione The Other Myself”.
Dopo aver visto l’opera al museo Madre, gli Almamegretta, assieme al regista Emmanuele Pinto, incaricato della regia del video, hanno così voluto conoscere l’autore. “Mi hanno contattato”, racconta Leperino, “e mi hanno invitato allo studio di registrazione assieme al regista, per ascoltare in anteprima assoluta il loro nuovo singolo, proponendomi di collaborare insieme alla realizzazione del nuovo video”. Già, perché il video del gruppo partenopeo parla proprio del tema della diversità culturale e della necessità di aprirsi alle culture degli altri: a cominciare dal suono, che mescola tra loro sound differenti e complementari, dal reggae, al rock, passando per la musica elettronica, house e sonorità dubstep. Ma è proprio il titolo dell’album (“Not in my name”) a costituire il perno attorno cui è nata l’idea della collaborazione con Leperino e il suo “The Other Myself”.
“Not in my name è stato lo slogan dei movimenti arabi e musulmani che rifiutavano di riconoscersi nei crimini commessi in nome della loro religione”, spiega Gennaro Tesone, batterista del gruppo. “Ma questo vale, in generale, per tutte le ideologie e le religioni, quando alcune persone si arrogano il diritto di commettere dei crimini efferati in nome di tutti i credenti. Quando questo avviene, è sempre un pretesto per compiere delle guerre o delle azioni che con quella religione hanno poco o niente a che spartire…”. “C’è sempre qualcuno che dice o peggio commette cose terribili e dice di farlo anche per te”, spiega ancora Raiz, leader e voce del gruppo partenopeo. “Da chi taglia teste e violenta donne in nome di Dio a chi vorrebbe lasciare in mezzo al mare migliaia di poveracci perché non “inquinino” il suolo patrio… il pezzo allude a questo”.
Così è nata l’idea del titolo dell’album. E così è nata anche la collaborazione con l’artista napoletano. “Dopo essere stato nella sala di registrazione ed aver ascoltato il brano ad occhi chiusi”, racconta Leperino, “ho capito subito che, sotto forma musicale, il brano rifletteva la stessa poetica della mia scultura The other myself, che esprime la realtà e l’attualità di un territorio, il bacino del Mediterraneo, non inteso solo come luogo di flussi migratori, ma anche come luogo d’incontro tra le culture e i popoli. Cosi, insieme, abbiamo scelto una delle 21 teste della mia opera che potesse esprimere quelle tensioni emotive perché diventasse l’immagine della copertina, e la base per il video”.
Il video dell’album, girato da Emmanuele Pinto con la collaborazione artistica di Leperino (che firma anche la copertina dell’album), vede appunto una delle 21 sculture come sfondo, sul quale si stagliano storie di migrazione, di violenza, ma anche di speranza, di lotta e d’amore. “Sul calco della testa che abbiamo scelto”, dice Leperino, “passano, in sovrimpressione, immagini provenienti da fatti di cronaca, sbarchi, risse, recuperi di corpi in mare, campi profughi, fughe… immagini che, proiettate e fuse sul viso della scultura, in continua trasformazione e riconfigurazione identitaria, si fondono in un unico grido di protesta: Not in my name!”.
guarda il video: http://youmedia.fanpage.it/video/af/VeQBVOSwAGPiTLvQ