Alessandro Russo è un pittore dal talento naturale e spontaneo, in grado di dipingere il cielo di Calabria arrossato dai fumi densi di una qualche ciminiera, o l’immobilità di un porto industriale con i suoi tozzi pachidermi galleggianti, o ancora il nuovo paesaggio verticale di una città in rapida trasformazione come la Milano del 2015 con stessa, identica fluidità e felicità di tratto e di colore, con la stessa accesa intensità dei toni, con la stessa gioia e libertà di segno che fa sì che ogni suo lavoro, anche il più insolito o il meno prevedibile, sia comunque facilmente attribuibile a lui, poiché vi si riconoscono indiscutibilmente la stessa caratura dei toni, la stessa felicità del tratto, la stessa freschezza del segno che scorre veloce sulla tela senza incertezze, senza inciampi, insieme solidamente costruendo l’architettura del dipinto e allo stesso tempo lasciando che esso si compia in qualche modo da sé, quasi magicamente, in forma potremmo dire alchemica, attraverso il libero gioco delle linee che vanno rincorrendosi lungo la superficie, e l’instabile movimento del colore, e il flusso vibrante delle pennellate che, come nella migliore tradizione dell’informale europeo, e quasi richiamando istintivamente alla mente lo spandersi morbido e sapiente dell’acquerello sulla carta, gradatamente si fa esso stesso struttura, composizione, schema.
La felice invenzione e novità del lavoro di Alessandro Russo si compie tutta lì, in quel suo saper mescolare insieme l’assoluta libertà del segno e la solidità della struttura architettonica, la sapienza nell’uso dei toni e dei colori e la ferrea scienza della composizione, in breve nel saper unire, in una singola, armoniosa libertà inventiva, levità e rigore.
Ma è oggi soprattutto la città, e in particolare la Milano in rapida trasformazione di questi ultimi anni, a divenire uno dei temi portanti della nuova e più interessante produzione dell’artista. In questo ciclo di paesaggi urbani Alessandro Russo riesce, con un gioco d’equilibrio straordinariamente bilanciato e tenuto come su un filo di un costante precipizio, a mediare tra necessità di rimanere ben saldo all’interno dei codici e degli statuti propri del mezzo pittorico e una certa, vaghissima allusività ai mezzi tecnologici della fotografia, del cinema, dell’immagine riprodotta; le sue sono, non c’è dubbio, città pittoriche in tutto e per tutto, che a tratti richiamano alla mente echi di certo informeleuropoeo, di certa libertà espressiva assai poco radicata nella tradizione italiana: pensiamo a quei cenni, a quei tocchi di rossi, di gialli, di azzurri che compaiono, come misteriose apparizioni, qua e là sulle strade della nuova “Milano verticale”, in rapida e ben organizzata espansione, come reminiscenze d’altri sguardi, d’altre fantasie e d’altre tinte, che parrebbero prescindere dalla tavolozza d’un classico pittore di paesaggio urbano italiano, in un complesso e fluido gioco a rimpiattino con lo spettatore, un felice gioco di rimandi e di toni che ci illude quasi di ritrovare un tocco alla De Stael in mezzo a un banco di nebbia milanese, travestito però da spartitraffico, o da cartello stradale; o magari, anche, assai incongruamente, uno squarcio alla Wim Venders in mezzo alla rigida ripetitività delle linee dei nuovi grattacieli della città lombarda, in quel trovare inaspettate vie di fuga, e improvvise atmosfere da road movie americano in mezzo alle strutture e alle ben calibrate geometrie novecentesche milanesi.
In questo modo, Alessandro Russo riesce a declinare il tema del paesaggio, pur già battuto in quest’ultimo decennio da tanti suoi colleghi e compagni di strada, con un’attitudine del tutto nuova, quasi avesse portato, in quel nuovo sguardo sulla nuova “città che sale” di boccioniana memoria, da una parte un po’ della sua fremente vocazione mediterranea, come se avesse recato con sé la memoria del colore e della luce della sua terra d’origine, e dall’altra la grande libertà di certa pittura europea, che gli ha permesso di volare alto, lontano da certe rigidezze di molta pittura italiana di paesaggio di questi ultimi decenni, arrivando così a delineare una diversa visione del paesaggio, sia quello urbano che quello postindustriale, con la realizzazione di uno scenario nuovo: uno scenario fatto di colore, di atmosfere, di toni cangianti e di linee verticali e orizzontali che, nella loro felice geometria e nel loro progressivo rarefarsi rispetto all’immagine reale del paesaggio milanese, di cui pure mantengono intatto il puntuale riferimento iconografico, sembrano realmente andare a creare un immagine del tutto nuova, inedita, una sorta di nuovo scenario simbolico della postmodernità avanzata, del tutto libero, quasi astratto, privo di confini e quasi anche di immediati riferimenti geografici o temporali; uno scenario che potremmo dire fluido, o addirittura liquido(secondo l’immagine felice – e fortunata – di Zygmunt Baumann, teorico della Liquid modernity): dotato, cioè, di quella freschezza aerea, immaginifica e visionaria che solo certi pittori alla soglia della migliore maturità artistica sanno felicemente (ri)trovare.
Alessandro Riva
Alessandro Russo | Profili Urbani
Galleria Pisacane Arte
via Pisacane 36, Milano
fino al 10 novembre 2015
tel. 02.39521644