di Vlady Art.
È scomparso da poche settimane l’artista americano Richard Hambleton, una delle ultime figure “romantiche” a essere sopravvissute fino ai giorni nostri, rappresentante di quella scena newyorkese ormai leggendaria alla quale, insieme a Haring e Basquiat, viene attribuita la nascita della street art. Le sue silhouette nere, schizzate sui muri, gli guadagnarono già nei primi anni ’80 la fama di “Mr. Shadowman” (“uomo ombra”).
Canadese ma newyorkese d’adozione, ha vissuto una vita intensa, tumultuosa. È stato un personaggio carismatico, iconico, difficile. Asceso come artista misterioso e volubile, coinvolto dall’interesse mediatico e pure dalla seduzione delle grandi mostre, travolto dal successo e poi percosso dagli insuccessi, ha alternato soldi facili a improvvisa povertà, spese e stenti, eccessi e ristrettezze. Più volte finito per strada, la sua maschera portava tutti i segni di una vita percorsa a grande velocità, nella città più frenetica e folle del mondo. Droga e malattie hanno prevalso, a 65 anni.
Hambleton nasce a Vancouver il 23 Giugno del 1952. La sua formazione scolastica è interamente artistica, presso l’istituto superiore d’arte e l’università d’arte e design della sua stessa città. Eppure, sul finire degli anni ’70, ancora ventenne, inizia a operare ben lontano dai luoghi deputati e preferire l’habitat che fin lì conosceva meglio: la città, di notte. Almeno 30 anni prima che Banksy ingaggiasse i passanti con simili gesti artistici, Hambleton disegnava sagome di persone sull’asfalto, scene di crimine con tanto di vernice rossa. La morte per colpi di armi da fuoco non era cosa inusuale e la risposta di Hambleton fu quella di disseminarle con una logica che interessò parecchi giornalisti e vari distretti di polizia in vaste zone del nord America. Rimase anonimo a lungo, fino a quando non si trasferì definitivamente nel Lower East Side, a Manhattan. Come ogni vicenda storica che si rispetti, anche questa scena artistica (un po’ romantica e maledetta) aveva il suo punto di ritrovo: era il Club 57, un bar seminterrato su St. Marks Place nell’East Village. Qui conosce molti degli artisti che avrebbero segnato per sempre la storia dell’arte urbana americana. Da buon bohemienne, sregolato, condusse una vita notturna, piuttosto che diurna. Non deve stupire che Hambleton vedesse tutto in bianco e nero, in modo oscuro. I suoi erano gesti violenti, un’action painting primordiale, di nero sui muri. Sagome spettrali, a grandezza d’uomo, a molte delle quali sembrava fosse esplosa la testa. Negli inizi degli anni ’80 Manhattan ne contava centinaia. Considerabile un outsider con l’ottica di chi oggi vuole che la street art venga necessariamente dal graffiti hip hop, Hambleton visse effettivamente in una New York che si stava riempiendo di graffiti, tuttavia non ne fece mai parte. I suoi erano veri colpi, a sorpresa; in città, non lungo i binari. Alcune sagome erano centralissime, dietro molti angoli emblematici della grande mela.
Con l’attenzione dei media arrivò la notorietà, che sfociò nelle prime partecipazioni a mostre e interviste. Iniziò dunque a produrre tele, dipingendo esattamente le stesse ombre che aveva sempre fatto solo sui muri. La fama raggiunse un livello internazionale e anche il muro dei muri, quello di Berlino, vide la sua vernice. Alle inquietanti sagome di uomo, seguì la serie cosiddetta “Marlboro man”: la silhouette di un cowboy a cavallo, schizzato su tela. Ma all’apice di un certo primo successo, Hambleton incomincia a combattere con l’abuso di droghe, specie di eroina. Le tele diventano, come capita in questi casi, merce di scambio per mantenere uno stile di vita assolutamente distruttivo. Forse ingannato da trend del mercato, a inizi ’90 inizia a produrre dipinti totalmente nuovi, spiazzando galleristi e collezionisti. Scene marine, paesaggi, colorati, brillanti. Bellezza ma senza anima. Erano passati anni da quando girava di notte con bottiglie forate dalle quali spruzzava colore, e dal correre via dalla polizia tenendo in mano un cestello di nero. Quella svolta verso il “bello” però non fu per niente benvenuta. Hambleton deluse il suo pubblico, le sue quotazioni scesero e l’interesse su di lui quasi svanì.
Agli inizi degli anni 90, dopo le morti di Basquiat e Haring, inizia progressivamente a ritirarsi dalle scene. Era diventato paranoico, combattuto. Non riusciva – tra le tante cose – a trovare la libertà necessaria attraverso le gallerie. Una vera lotta, aggravata dal cancro alla pelle e dalla scoliosi. Il caso volle che nel mondo stesse esplodendo il fenomeno della street art: la sua notevole grandezza fu giustamente riesumata negli anni 2000: pubblicazioni, partecipazioni e citazioni. Il mercato gli rivolse nuovamente attenzione chiedendogli però le sue sagome di sempre, impedendogli di poter cambiare. Era arrivato il secondo periodo di successo. Quasi a sugellare la sua rinnovata popolarità, Hambleton fu invitato a produrre nuove opere d’arte in associazione con il brand Giorgio Armani, che sponsorizzò una sua grande retrospettiva nel 2009, a New York. Armani ha cucito a lungo gli abiti dei più noti film di gangster americani, vestendo Al Pacino e De Niro. Hambleton fu subito ribattezzato “Il padrino” della street art, con tono di profondo rispetto dal sistema dell’arte. Effettivamente, è un’artista che durante tutta la sua carriera, fatta eccezione per il suo incompreso periodo “bello”, ha fatto perno sul mistero, sulla paura e sulla morte violenta, in strada.
Tutto riprese ad andare bene, almeno negli affari, ma non era destinato a durare per molto. Richard Hambleton è invecchiato molto in fretta; ha dipinto fin quando ha potuto, discontinuamente, perché negli ultimi tempi era piegato sulle tele, impossibilitato anche a muoversi. Tra le persone che fino alla fine l’hanno sostenuto e assistito nella sua casa-studio, c’è Kristine Woodward, nella sua molteplice veste: amica, gallerista (Woodward Gallery) e infermiera qualificata. “Per lo meno Basquiat è morto. Ma io ero vivo quando sono morto. Questo è stato il problema”, ha dichiarato una volta in un’intervista. Ora, però, è morto per davvero…
(Richard Art Hambleton, 23 Giugno 1952 – 29 Ottobre 2017)