Accoltellamenti, performance e la sparizione del reale. Una modesta proposta per tornare più normali

Ormai siamo abituati a tutto, nel mondo impazzito e sempre più stretto nella deriva spettacolar-demenziale di stampo americano. Certo è che l’arte, oggi, non è null’altro che la perfetta cartina di tornasole di un mondo che ha ormai completamente perso il senso del limite e del confine tra il vero e il falso (come predetto da Baudrillard a proposito della “sparizione del reale”), tra il bello e il brutto, tra l’idiota e l’intelligente – dal momento che a furia di sdoganare idiozie per ironizzarci su, o per giocare a chi è più furbo, o semplicemente per abbattere i confini tra cultura alta e bassa, siamo diventati noi stessi dei portatori, più o meno sani, di infantilismi e di idiozie diffuse; un mondo in cui la paranoia e la paura sociale sono ormai diventate la normalità quotidiana, in cui la cretineria, la volgarità e la demenza dettano legge in ogni anfratto della società, dalla tivù a youtube ai social network, dove il narcisismo e la megalomania la fanno da padroni.

Marco Battaglini, The Victoria's Secret.

Un mondo governato, però, anche da un’immensa, straripante, maleodorante ipocrisia diffusa, per cui se per sbaglio dici la parola “frocio” sei un omofobo, se dici “nano” sei un razzista che odia le minoranze, se dai della “tettona” a una tizia o le fai delle avances un po’ spinte finisci in galera per violenza sessuale, se fotografi un bambino e non gli metti i pixel sul volto commetti un reato, e di questo passo succederà presto che, per uccidere un ragno, un topo o uno scarafaggio, dovrai prima chiedere il permesso alle associazioni animaliste e seguire la procedura srtabilita da un’apposita commissione dell’Unione Europea.

Beh, in tutto questo, non poteva che accadere tra gli stand della Fiera più chic del momento, Miami Basel, che un tentato omicidio venisse scambiato per una performance. E infatti è accaduto. Mentre a Bolzano, pochi mesi fa, le donne delle pulizie di Museion, il museo pubblico cittadino, avevano fatto il loro normale lavoro con diligenza, buttando nella spazzatura una decina di bottiglie di spumante vuote e altra robaccia finita al centro di una sala, salvo poi scoprire che queste povere cose non erano altro che un’opera (concettuale, ça va sans dire) del duo Goldi&Chiari, oggi (se è vero quel che raccontano i giornali, cosa che più che mai va presa con le pinze, al giorno d’oggi), il mondo dell’arte avrebbe superato, se possibile, il mondo per così dire “normale” in idiozia e dabbenaggine, scambiando appunto la realtà vera con quella pseudorealtà congelata, molto spesso noiosa, retorica, conformistoide e tragicomica, e tutto sommato un po’ idiota e insensata, che è la cosiddetta “performance” (Abramovic docet).

Che cos’è successo, in sostanza? Che i visitatori di Miami Basel, vedendo appunto una tizia che si scagliava contro un’altra con un coltello in mano, e che cominciava a scagliarle fendenti, cosa credete che abbiano pensato? “Credevamo fosse un’installazione e che il sangue fosse finto”, avrebbe (il condizionale è sempre d’obbligo) raccontato un testimone di quella che, a conti fatti, era invece un’aggressione in piena regola, con tanto di sangue (vero) che colava dalla camicetta della vittima.

Non c’è granché da dire: quando il mondo fittizio dell’arte, fatto di provocazioni mediocri, di patacche spacciate per capolavori e di battute scadenti, prende il sopravvento sul mondo reale, vuol dire che si è proprio arrivati alla frutta, come uomini e come persone ragionanti, prima ancora che come artisti, galleristi o altro tipo di esperti del settore Patacche & co.

Signori medici, signori infermieri, e tutti voi che vivete ancora nelle corsie d’ospedale, dove le persone vivono davvero, perché, vivendo, soffrono e piangono e sanguinano davvero, fateci un favore: la prossima volta, alle fiere d’arte, chiamate preventivamente un’ambulanza. Non perché ci sia da aspettarsi un altro accoltellamento – nient’affatto. Ma per caricarci su tutti i visitatori, e magari anche tutti i galleristi, e tutti i critici e i curatori, e con loro qualcuno di quelli che si autodefiniscono artisti, e portarli, tutti insieme, all’ospedale psichiatrico, e lasciarli lì per un po’.

Chissà che allora anche il mondo per così dire “reale”, senza più quell’idiota, sciocca, banale e folle cartina di tornasole che si fa chiamare “arte contemporanea”, non cominci a tornare un po’ più normale. Senza più cessi da venerare nei musei come fossero Gioconde, e merde da collezionare, e pisciate, calzini sporchi, peli pubici e piatti sporchi da mettere sottovetro, e da mostrare agli amici come fossero chissà cosa, solo perché li si è pagati un fottìo di soldi. E, soprattutto, senza più performance banali da scambiare con i fatti della vita, quelli veri, dove la gente, quella vera, vive, e soffre, e si ama, si lascia, si ammala, ride, piange, si arrabbia, sogna – e a volte capita pure che si accoltelli e che persino si ammazzi. Senza bisogno di retorica, di bla-bla-bla critici, di riprese video e di pubblico intorno.

Alessandro Riva