Fidia Falaschetti: l’artista contemporaneo come “bambino assoluto”

Jean Clair, nel suo bellissimo pamphlet De immundo, paragona l’artista contemporaneo al “bambino assoluto”, quel bambino non cresciuto e non ancora ridotto al principio di realtà: il bambino dei primi mesi, affetto, secondo Freud, da “egocentrismo assoluto”, in uno stato di completa identificazione tra se stesso, i propri desideri, i propri capricci e il mondo circostante.

Fidia Falschetti
Fidia Falschetti

La trasformazione dell’arte da teoria estetica regolamentata da giudizi di valore universamente condivisi, com’è stata fino all’Ottocento, al delirio post-avanguardista, caotico, indistinto, capriccioso oltre ogni limite, iconoclasta e coprofiliaco, è, secondo Jean Clair, il segno di “una fissazione del desiderio a uno stadio infantile”: dal momento che l’artista contemporaneo, “che pretende di esercitare un potere assoluto sui suoi spettatori soggetti, è diventato, lui solo, l’individuo totale, il bambino assoluto”.

Fidia Falaschetti, Poppanties Rauschenberg

Lo era già Warhol, geniale e capriccioso precursore della società dello spettacolo integrato e teorico della teoria dei “quindici minuti di celebrità” ai quali ciascuno avrebbe potuto aver diritto, indipendentemente dalle sue qualità o capacità personali; e lo è, più che mai, oggi, un artista come Jeff Koons, plasticatore di banali sculture rappresentanti, non a caso, giocattoli infantili ridotti alla stregua di idoli moderni, e con lui i vari Damien Hirst, Cattelan, Abramovic, Matthew Barney, e tutti gli altri sparsi e capricciosissimi dèi dell’art-system di oggi, che impongono, senza remore né sensi di colpa, agli attoniti spettatori della contemporaneità i propri capricci, le proprie ossessioni, i propri escrementi e le proprie ideuzze, spacciate (e apprezzate) alla stregua di capolavori, esattamente come il bambino dei primi giorni impone ai genitori la propria merda come la cosa più sacra e più importante del mondo.

“L’individuo totale, l’artista mancato, il plasticatore degli ultimi tempi, colui che impone agli altri la propria merda”, scrive Jean Clair, “è il bambino dei primi giorni”.

Non so se a Fidia Falachetti sia venuta in mente questa teoria di Jean Clair quando ha messo in scena la sua fantastica, ironica, esilarante parodia “Pop-Panties” alla galleria Graphos:Brasil di Copacabana (Rio de Janeiro); certo è che il paragone, su cui si basa gran parte della mostra, tra bebè e artista contemporaneo, capriccioso, instabile, desideroso di imporre qualsiasi idea, ideuzza o semplice schiribizzo che gli passi per la testa – geniale, banale o idiota che sia – come dogma indiscutibile e assoluto, da venerare sempre e comunque come “opera d’arte”, da imporre al mercato a cifre deliranti e fuori da ogni criterio di buon senso, a una presunta opinione pubblica (il pubblico degli “art addicted”, peggiore, più conformista e ignorante, se possibile, di quello delle “faschion victims” amanti dei marchi di moda), èlite ristretta e vagamente paranoica di amatori di bizzarrie estetiche e di capricci concettuali, ormai completamente inebetita e suonata come un pugile che, avendo preso troppi cazzotti in faccia, sia ormai completamente incapace di discernere, di giudicare, di valutare tra opera e opera, tra sofisticata operazione concettuale e banale operazione mercantile, tra calembour e serio lavoro sullo spazio e sulla forma, tra un buon quadro e una crosta da quattro soldi; ebbene, certo è che tale paragone oggi (anche alla luce di ciò che ha scritto Jean Clair) appare, comunque, una perfetta, originale, esatta parodia dello stato dell’arte contemporanea, dei suoi tic, delle sue idiosincrasie e dei suoi universali conformismi. E di tale stato, l’installazione con i pannolini Pampers al posto delle scatole di “Brillo” di Andy Warhol appare come la più plastica e la più chirurgica delle rappresentazioni.

Alessandro Riva

Fidia Falaschetti, Poppanties wharol, 2014.
Fidia Falaschetti, Poppanties Wharol, 2014.

FIDIA FALASCHETTI

6 maggio – 21 giugno 2014

Graphos:Brasil

http://www.graphosbrasil.com