Canova, l’arte batterà la “cosa immonda”

Bruno Canova è stato un artista di grande intensità e forza creativa. Pittore, disegnatore e incisore straordinario, ha lavorato per oltre quarant’anni a un progetto che, nella sua estrema coerenza e nella lucidità del messaggio politico e sociale – sempre all’interno di una forte coerenza formale – ha del ciclopico e del donchisciottesco. Internato, a soli diciannove anni, in un lager tedesco, colpito dalla perdita di tre famigliari nella strage di Marzabotto, Canova si è infatti dedicato, a partire dalla fine degli anni Sessanta fino al 2012, anno della sua scomparsa, a un lavoro di raccolta e testimonianza degli orrori dei lager nazisti e della guerra, reinterpretandoli poi in forma artistica, con diversi linguaggi: dal collage, al disegno, alla pittura. Ha così raccolto e collezionato documenti, lettere, manifesti originali dei tempi della guerra; li ha poi via via rimontati insieme, mescolati, alternati a disegni ed appunti, in una rielaborazione critica e formale della memoria storica di grande impatto emotivo e dalla grande tensione etica. Ne è nato un progetto intitolato “L’arte della guerra”.

Ecco allora alternarsi manifesti degli oscuri Tribunali di guerra del periodo dell’occupazione, lettere dei deportati, titoli di giornali degli anni più bui del conflitto, le copertine della rivista più oscena del fascismo italiano (la famigerata “Difesa della Razza” di Telesio Interlandi), montati con disegni dal segno scarno e drammatico che raffigurano le vittime dell’orrore nazifascista, cadaveri, stelle di David, cupe scritte antisemite. Tra i quadri, ve n’è uno, particolarmente significativo (scelto non a caso come copertina del catalogo, edito da Maretti, della mostra che il Comune di Roma gli ha dedicato, al Museo di Villa Torlonia): riporta semplicemente una frase, scritta sulla tela con gli stencil, quasi fosse un lavoro di un moderno street artist (ma che a Canova deriva invece dalla sua formazione, che ha visto tra gli altri un grafico del calibro di Albe Steiner come suo maestro). È una frase di Bertolt Brecht, che dice: “Il grembo che partorì la cosa immonda è ancora fecondo”. In tempi di rinascente (o forse mai del tutto scomparso) odio razzista e antisemita, l’avvertimento è quantomai attuale.

A.R.

Bruno Canova, La cosa immonda, 1974.
Bruno Canova, La cosa immonda, 1974.

Bruno Canova

La memoria di chi non dimentica

Musei di Villa Torlonia |  Casino dei Principi

Dal 15 dicembre 2013 al 2 febbraio 2014

Catalogo Maretti Editore