Dimenticare a memoria. La forza delle emozioni contro tutte le discriminazioni

di Sabrina Raffaghello

Anamnesi, Monalisa Tina

La fotografia rende istantanea la memoria, determina un momento preciso e ne scrive indelebilmente la storia, il video va oltre e cattura le sequenze complete di tutte le sollecitazioni suoni, voci e rumori.

Semanticamente tutto è scritto, preciso nella sua definizione non si confonde con le nebbie del tempo. In questo modo non è più possibile mitigare la forza di un’emozione, sia essa positiva o negativa, non è più possibile dimenticare. Eppure nonostante la potenza dell’immagine scritta dimenticare si può. Il ricordo si può falsare, i colori possono svanire e la memoria mutare.

Qual è il senso storico di ciò che resta scritto o  emotivo di ciò che muta e svanisce? Questa è la potenza e la forza dell’immagine di parlare infiniti linguaggi di restare punto di riferimento indelebile nella storia umana, vedi ad esempio l’immagine di piazza Tiananmen nella memoria collettiva, istante condiviso inalienabile per la sua forza intrinseca di partecipazione. Poi ci sono le immagini univoche quelle incondivise o di scarsa partecipazione e quelle biunivoche ove ognuna delle parti coinvolte dimentica nella sua corruttibilità emotiva l’istante e fornisce una interpretazione personale.  Si può allora dimenticare? È possibile dimenticare a memoria? Nel lavoro artistico l’immagine è manipolata attraverso una componente emozionale e creativa che traduce l’istante in divenire, ogni soggettiva lettura potrà acquisire uno status di partecipazione e condivisione empatica, non canonizzata dall’evento storico, per cui il tempo potrà intervenire come elemento portante nel processo del divenire.

Certo su queste premesse il titolo scelto per questa mostra – Dimenticare a memoria – vuole evidenziare come la diversità si esplicita in diverse fasi emotive ed emozionali e  come sul fenomeno dell’olocausto in tutte le sue deportazioni, possa alla fine essere dimenticato attraverso le esperienze individuali ma salvato e salvificato grazie alla memoria artistica che rende collettive e mutanti le esperienze singole, anche se non vissute o immortalate.

La giornata della Memoria serve a riportare alla mente anche il non vissuto, il celato o l’orrore, la visione artistica come catarsi permette di affrontare discussioni sui temi difficili o scomodi senza perdere l’incisività delle azioni e delle conquiste. Parlare attraverso l’arte libera le parole da preconcetti da schematismi o convenzioni di dialogo, parlare attraverso l’arte per non dimenticare riporta la memoria a uno stato storico di realtà pur senza la forza di una documentazione storica universalmente condivisa. Perché l’emarginazione dell’oblio può essere inviso dal racconto artistico, il senso dell’emarginazione partecipato dalla forza dell’empatia, il concetto di termini  come “straniero” o “diverso” estrapolato in tutte le sue valenze fino ad arrivare alla totale comprensione e condivisione.

La violenza della dimenticanza vinta dalla forza del ricordare a memoria attraverso il gesto e la valenza di un’opera d’arte. Questa è la forza della contemporaneità, rendere possibili differenti stati d’animo, differenti realtà, differenti linguaggi, arrivare alla compartecipazione emotiva e alla forza del ricordo. Perché ricordare aiuta a superare le barriere a progredire attraverso la contaminazione il progresso,  il mutamento eracliteo si trova ora come non mai nei principi stessi dell’arte contemporanea. Il ricordo produce memoria, la memoria produce emozioni le emozioni cambiano gli uomini. E proprio l’uomo è l’elemento che unisce Loredana Galante, Monalisa Tina, Massimo Festi, Stefano Scheda, Giancarlo Marcali, Gianluca Chiodi, Julia Krahn e Pierpaolo Koss.

Iam, un uomo quello di Gianluca Chiodi dove le fotografie diventano strati di convenzioni, pregiudizi, false apparenze spogliate in nome di una consapevolezza di pirandelliana memoria, centomila  nessuno uno e proprio quell’uno, rappresenta la forza dell’essere umano nudo di fronte a se stesso e al mondo perché l’essere pesa sempre più che l’apparire.

Monalisa Tina e Loredana Galante, Ich Höre Dir Zu.
Monalisa Tina e Loredana Galante, Ich Höre Dir Zu.

Tra realtà e finzione appaiono i doppelgänger figure oniriche, ovvero copia spettrale o reale di una persona vivente, come “il sonno della ragione  genera mostri“ di Francisco Goya: così Giancarlo Marcali concepisce queste duplici  figure nate dalle fobie, i due lati di un’anima in precario ma saldo equilibrio tra loro fluttuanti e rarefatte come fantasmi, ma presenze certe cariche di forza in perenne legame con chi le ha generate. Questo lavoro fotografico rende la memoria di un corpo impressa su una pellicola trasparente invasa dalla proiezione di una paura ancestrale,  il lato oscuro dell’esistenza.

Massimo Festi ripercorre nel suo lavoro fotografico un amarcord di felliniana memoria soprattutto nel riproporre con la metafora dei freacks, figure rese icone universali in Circus of Love. Sono figure che svelano in chiave pop una natura di alienazione, di rovina, di banalità, di estetica spinta agli eccessi, di sesso, di violenza fisica ed emotiva, di assenza totale di cultura. Ne emerge un’umanità diversa, una bellezza alternativa dove l’identità si perde in una realtà dimenticata, come uno specchio dove l’immagine riflessa non è reale, si perde nei meandri di memorie raccontate e disperse,  come disperso è il nichilismo della perfezione, l’essere superuomini non paga, quello che l’immagine salva è un superamento dei generi una nuova estetica dove bellezza è sinonimo di diversità ed entrambi i concetti si fondono in un’unica parola libertà.

giancarlo marcali
Giancarlo Marcali

La memoria storica di un greve atto di disumanità: l’Olocausto è il punto di convergenza dell’opera di Stefano Scheda Fuoridentro/artifici, un tappeto della memoria che come la Zattera della Medusa di Théodore Géricault rappresenta la ricerca della salvezza per i naufraghi, la diversità che si amalgama tra corpi nascosti e aggrovigliati, dove la pulsione erotica del corpo nudo perde ogni sua carica sessuale e diventa forza vivifica a contrasto con gli umori di morte e affossamento. Il mare diventa il pavimento ove il tappeto è steso, la zattera la cassaforma contenitore di corpi, l’interazione con la memoria collettiva è quella di una compartecipazione, si può aggirare il mare lambirne le acque per sfuggirne l’immensa tragedia, si può calpestare ed entrare in contatto empatico a celebrazione di una rinascita alla vita, o ci si può sdraiare o sedere sopra con gesti che fanno parte della nostra quotidianità, sognare dormire pregare amare.

Monalisa Tina con tutta la forza emotiva e dirompente dell’immagine nell’opera fotografica Anamnesi parte da se stessa, per dimenticare l’identità individuale e trasfigurare in un soggetto a identità ibrida, dove il maschile, il femminile e il ferino compongono un genere nuovo, o neutro se vogliamo mettendo in discussione le leggi della stessa natura. Un nuovo equilibrio, dove il corpo liberato da un’estetica forzata di massa si esprime per valenze in sintonia con un percorso antropologico e antropomorfo teso all’ideale ripartizione tra fisicità e psiche. La bellezza parla a se stessa attraverso segni che marcano il tempo e scrivono un novo capitolo della consapevolezza del sé.

La memoria di una nazione compare con tutta la sua forza e la sua fragilità in perenne dicotomia nell’installazione video di Pierpaolo Koss Propaganda Ortodossa. Una Memoria storica e politica osservata e recuperata dall’artista durante i suoi vent’anni di lavoro in territorio sovietico. La campagna moralizzatrice politico religiosa varata dalla Duma nel 2013 prende di mira l’omosessualità paragonata alla pedofilia e le minoranze razziali discriminate e centro di gravi episodi di violenza tollerati dalle istituzioni come propaganda moralizzatrice. Una realtà che riporta indietro a quello mai più dovrebbe accadere, che abbruttisce il genere umano perché l’ignoranza fa dimenticare, cancella la storia e rimette gli errori all’attualità della contemporaneità. La violazione dei diritti umani è denunciata senza clamori con i colori accesi di un’icona pop che brucia, non arde, si cancella nell’identità del potere.

Loredana Galante espone la foto Made with your affective contribution, un’immagine che gioca sul senso della memoria e sull’anacronismo. La sospensione dello stato spazio e tempo coincide con i rammendi che compongono la veste, parti di differenti abiti di famiglia, la storia che si ricompone e riscrive le sue gesta attraverso la preziosità del singolo che diviene collettivo, quasi che ogni singolo frammento di memoria si inequivocabilmente necessario nella costruzione di uno status di collettività. L’identità singola perde la sua valenza di principio individuale e si sposa a una dimensione di partecipazione e realtà multipla. Un sui generis a cui attraverso il proprio frammento ognuno può contribuire.

Massimo Festi, Circus of Love.
Massimo Festi, Circus of Love.

Julia Krahn, con il video Die Taube, affronta il percorso della memoria attraverso i simboli  sacri. Un’alchimia di gesti e figure, immersi in una dimensione ideale, quasi che l’iperuranio sia uno stato effettivamente visibile. Una sacralità che conferisce un senso di forza e tracciabilità emozionale. Si percepisce il dolore, quello comune a uomini e donne, si percepisce la coerenza di un racconto arcaico che è parte delle nostre radici e del nostro percorso.  Non servono parole nitide e frasi articolate bastano pochi frammentari atti di rivelazione a rendere i simboli chiari e fruibili, non servono codici per decifrare un semplice messaggio di umanità e fratellanza.

Infine nell’opera Ich Höre Dir Zu, Monalisa Tina e Loredana Galante regalano una performance site specific al tema della Shoah coinvolgendo direttamente il pubblico. Deportazione, disuguaglianza, emarginazione, immigrazione, differenza di genere e razza. Limiti di una società che hanno generato dolore attraverso i secoli scrivendo pagine diffamanti e vergognose nella storia degli uomini. Le artiste ,attraverso un percorso di positività e superamento dei limiti, cercano di portare la dimensione d’ascolto, la comprensione emotiva verso l’altro al di là di qualsiasi appartenenza religiosa, di etnia e di orientamento sessuale, certe che soltanto una mente priva di pregiudizi e aperta all’accoglienza possa essere la soluzione che permette di oltrepassare l’orrore e l’incomprensione degli atti di violenza inaudita che hanno segnato e continuano a segnare la storia.

A corollario della performance Monalisa Tina e Loredana Galante raccolgono in un video il percorso performativo inserito nell’istallazione 17Quintali. Un antico armadio raccoglie come sacro involucro l’universalità di un gesto ripetuto meccanicamente, ininterrottamente dalle due giovani donne che pelano patate, raccolgono bucce e nell’assoluta povertà del cibo riflettono ansie, sofferenze, trasporti emotivi e privazioni. Una simbologia  che apre al tema  della “sopravvivenza” e del “sostentamento di molti deportati” nell’abominevole permanenza dei campi di sterminio. Un concetto di  rivisitazione intima e familiare di un’immane tragedia.

La memoria racconta, parla, scrive, dimentica per ricostruire, placa, educa, apre e consolida. La memoria rinnova le emozioni che permettono agli esseri umani di affrontare con dignità il ricordo. L’arte in questa mostra ha riunito e rappresentato differenze e oblii, perché dimenticare non sempre genera confusione e disperazione, qualche volta affrontare il dolore o la gioia rinnova quello spirito di evoluzione che chiamiamo vita.

Dimenticare a Memoria
Riflessione emozionale sulla diversità ricordando l’Omocausto e tutte le deportazioni
Mu.MA – MuseoTeatro della Commenda di Pré
Genova
25 gennaio – 2 febbraio 2014