L’ultima sentinella delle avanguardie leniniste

in margine alla pubblicazione del pamphlet “Ars Attack. Il Bluff del contemporaneo” di Angelo Crespi, pubblichiamo questa riflessione sul ruolo dell’arte nell’avanguardia artistica nell’èra del “contemporaneo avanzato”.

di Alessandro Riva

Giuseppe Veneziano, Rivoluzione D'agosto, 2007, acrilico su tela, cm 180x159.Ogni tanto possiamo far finta che tutto questo sia normale. Che sia normale vivere in un mondo dove la tivù è ormai governata unanimemente dal cazzeggio, dall’ignoranza, dalla volgarità ovunque diffusa, dove il degrado ambientale e architettonico è pari solo al degrado culturale delle intere classi dirigenti, dove i giornali sono diventati un letamaio in perenne ricerca del gossip più estremo e demenziale, dove esistono persone che, per entrare nel Guinness dei primati, si sono sottoposti a 55 interventi di chirurgia estetica, o si ricoprono il 97% del corpo di tatuaggi, altri che sollevano 12 chili con la lingua, e altri ancora che mangiano un centinaio di hamburger in 11 minuti. Che l’eterno spettacolo della nostra stessa esistenza, questo “brutto sogno della società  moderna incatenata”, come lo definì con precisione chirurgica Guy Débord nel ’67, replicato, come una farsa ridicola e grottesca, giorno dopo giorno su migliaia di schermi, incessante, monotono, inutilmente e perennemente uguale a se stesso, sia diventato l’unico modello comportamentale per milioni di persone disarcionate dai loro valori identitari tradizionali, e incapaci di trovarne di alternativi se non nella brutta imitazione di ciò che vedono in tivù o nei brutti scenaggiati americani, è un dato di fatto ormai ineluttabile, a cui ci siamo inevitabilmente assuefatti.

Ma l’arte? Che ruolo avrebbe l’arte, in tutto questo? Un tempo faro e maestra di civiltà, è da decenni diventata, leninisticamente, “l’avanguardia” del degrado e dell’idiozia generalizzata. A codici e riferimenti estetici (l’idea di “bello” in primis finita in soffitta a furor di popolo, non essendo più in grado nessuno di decretare cosa sia bello e cosa brutto, in una società mutilata di qualsiasi gusto e codice estetico condiviso), l’arte ha – primo segno del degrado imperante – sostituito terminologie e parole d’ordine dalla politica “rivoluzionaria”: gli artisti diventati “l’avanguardia” delle masse nella ricerca di sempre “nuove” strade e di idee sempre più “rivoluzionarie”, critici “militanti” autonominatisi soldatini di piombo del sistema per decretare, a proprio insindacabile e inoppugnabile giudizio (e senza uno satraccio di giustificazione estetica, né di studi alle spalle), ciò che è “contemporaneo” e ciò che non lo è, il pubblico – versione moderna e spettacolarizzata delle “masse” – trasformato, come nei peggiori incubi staliniani, in un branco di pecoroni incapace di vedere, di giudicare, di distinguere, financo di guardare: poiché, in ogni caso, nell’arte contemporanea (al contrario di quel che avviene nella letteratura, nel cinema, nella musica) il pubblico non ha più alcuna voce in capitolo: non essendo importante, in quello strano fenomeno chiamato “arte contemporanea”, chi piaccia a un maggior numero di persone e chi venda più quadri (rivelandosi anzi, questo, a volte un handicap per accedere ai giri “che contano”), e spiccando invece, unicamente, solo chi è più “engagé” col sistema, chi è più “protetto” e “sostenuto” da critici e mercanti meglio inseriti nel gruppo di potere dominante, chi ha il grado giusto di amicizie e di “protezioni” adatte ad accedere ai grandi musei internzionali, ai giri del collezionismo “giusto”, al grande oligopolio della finanza artistica internazionale. Nessun metro di giudizio, nessun principio di merito, nessun criterio estetico è dunque più possibile, in un mondo dove tutto è concesso, dove non c’è “bravura” che tenga, poiché il concetto stesso di “bravura” (o di stile, o di capacità di maneggiare il linguaggio) è stato abolito.

Piero Manzoni, Merda d'artista.
Piero Manzoni, Merda d’artista.

Sto esagerando? No, è, drammaticamente, tutto vero: solo, a volte ci pare, appunto, che tutto questo sia normale. Che sia normale costruire immensi momumenti alla merda, da inaugurare in pompa magna, come un tempo si inauguravano i trafori, o le Tour Eiffel; che sia normale trovare nei musei e nelle gallerie mucchi di assorbenti, di calzini, di ossa, di sangue, di peli pubici, di vomito, di sterco animale, e poi montagne di fotografie idiote, di video porno, di iconoclastie, di opere vuoi insultanti, ributtanti, idiote o blasfeme (purché non contro l’unica religiosa monoteista oggi ancora realmente intollerante, l’Islam, poiché va bene essere blasfemi e provocatori, purché non ci sia mai da rischiare del proprio); che sia normale girare non per mostre, nelle quali sia possibile vedere oggetti belli, o ben fatti, o comunque degni di valore e di apprezzatemento per le loro qualità estetiche e la capacità dei loro autori, ma semplicemente idee e ideuzze che stupiscano di più, che provochino di più, che creino più spettacolo di altre, senza alcuna pretesa estetica né formale, ma solo “concettuale” (parola vuota e detituita di ogni significato intrinseco, utilizzata come specchietto per le allodole per non dire null’altro che il deserto culturale che avvolge chi la utilizza e se ne riempie la bocca). Che sia normale un luogo – l’Arte contemporanea – dove la gran parte dei critici e dei curatori costruiscono immense e costosissime macchine del Nulla – quei carrozzoni che in gergo si chiamano Biennali, condite sempre dagli stessi artisti, con gli stessi progetti-luna park, dove non si espone più alcun quadro, alcuna scultura, alcuna opera, ma solo un immenso, autoreferenziale gioco a rimpiattino “concettuale” con l’attonito e spaesato spettatore.

Sì, ogni tanto, possiamo far finta che tutto questo sia normale. Poi, alle volte, ci svegliamo da questo cattivo sogno, e pensiamo che vorremmo tanto vivere in un altro posto – dove l’arte ha ancora qualche senso estetico, dove la gente compra un quadro semplicemente perché gli piace, e per capire un’opera non ci vuole il libretto di istruzioni, ma solo un po’ di cultura, un po’ di gusto, un po’ di capacità di guardare e di riflettere. Forse un giorno – tramontata anche l’ultima avanguardia leninista del Novecento, la cosiddetta arte contemporanea – tutto questo sarà di nuovo possibile.