L’iconografia è fondamentalmente classica. Il bambin Gesù appare come nelle più tradizionali delle raffigurazioni religiose. Con una leggera differenza: anziché trovarsi nella mangiatoia col bue e l’asinello, si trova in piedi (e in bilico) su un orinatoio. Già, proprio lui: l’orinatoio, debitamente firmato “R. Mutt”, al quale tutti i testi di storia dell’arte riconducono, di fatto, l’inizio della storia dell’arte contemporanea. Ma questa non è che la prima di una serie di singolari “Annunciazioni”: come quella che raffigura la Madonna in preghiera, nell’atto di ricevere l’annuncio del concepimento, come appare in molti quadri rinascimentali. Solo che, al posto dell’Arcangelo Gabriele, c’è il solito orinatoio.

L’autore è Virgilio Rospigliosi, spezzino, classe 1967, artista concettuale sui generis (ma lui preferisce chiamarsi un “illusionista”), fuori dai giri classici del contemporaneo più à la page, amato però (non a caso) da Philippe Daverio, col quale ha collaborato in diverse occasioni, oltre che da intellettuali e critici fuori dagli schemi come il compianto Giorgio Soavi e persino l’imprendibile Umberto Eco.
Ma cosa sono queste “Annunciazioni”? Delle semplici provocazioni? Dei giochi allegorici, perfettamente in linea con il linguaggio del concettuale ironico, del quale Rospigliosi potrebbe a buon diritto definirsi uno dei tanti figli e figliocci più o meno illegittimi? “Ho realizzato più d’una Annunciazione”, spiega l’artista. “E in tutte il messaggio è lo stesso. Anche le più estreme rappresentazioni artistiche e i più estremi tentativi che ci propone l’arte contemporanea sono direttamente riconducibili a operazioni concettuali partite, e spesso rimaste ferme, a Duchamp. La frattura, il cambiamento sul modo di pensare e di praticare l’arte si sono attivati a partire da lui. Io ho creato una conversione metaforica: al posto della genesi del Cristianesimo, ho raffigurato la genesi dell’arte contemporanea. L’icona del Cristianesimo che prega l’opera shock e rivoluzionaria, l’orinatoio; il paesaggio primitivo e desertico che li circonda accentua la relazione tra i soggetti principali. È una presa di coscienza della grandezza di un’opera che ha condizionato tutto il 900 fino ad oggi”.

Eppure, l’opera, nella sua carica ironica, sembra voler mettere a nudo anche un’altra questione, un vero e proprio cancro dell’arte contemporanea: l’eterna santificazione e acclamazione dell’ultima ideuzza provocatoria, dello sberleffo fine a se stesso, diventato lo specchietto per le allodole di un sistema autoreferenziale e in perenne ricerca di “novità” anticonformiste e sempre più “scioccanti” con cui coprire il deserto – culturale e ideale – che caratterizza buona parte del lavoro degli artisti osannati dal sistema oggi. Sì”, conferma l’artista. “Il problema dell’arte di oggi è proprio quello di prendersi troppo sul serio. Oggi è più facile trovare l’arte nella pubblicità o sui media che nelle gallerie d’arte”. Parola di artista concettuale sui generis. Anzi, di illusionista.
A. R.
